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Nascita di un vampiro
di Luca Occhi
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"Radiosa giornata signorino!"

La governante, scostati i tendaggi, spalancò la finestra lasciando che l'aria fresca entrasse a dare il cambio a quella consumata e stantia della notte appena trascorsa.

Il lezzo salmastro che proveniva dalla costa invase così la stanza con l'incedere inarrestabile di una marea crescente.

Abraham continuò a tenere gli occhi chiusi, fuggendo un pallido accenno di sole.

Per lui, costretto da sempre in quel letto a causa  di un'inspiegabile quanto bizzarra malattia, lo stato di veglia rappresentava l'esperienza che, più d'ogni altra, s'approssimava alla morte.

Perchè se nei sogni era libero di correre e giocare come tutti i coetanei, di vivere tutte le straordinarie avventure che la sua fantasia era in grado di creare, il risveglio lo inchiodava di nuovo, spietato, alla sua impotente inedia da degente. Per questo detestava, con tutto se stesso, la luce del giorno. Anche quella tenue e fredda dei cieli d'Irlanda.

 

"La colazione".

Abraham, pur continuando a serrare gli occhi, diede un lieve segno di vita. Si sollevò lento a sedere, con la schiena poggiata alla spalliera del letto e quando la governante richiuse la finestra, sentì svanire di colpo la voce del mondo: niente più allegri schiamazzi di bambini diretti a scuola, suono delle campane, grida stridule e beffarde di gabbiani in volo, padroni di uno spazio infinito.

Solo il tintinnio ovattato di tazze e posate e la pressione, sempre uguale, del vassoio posato con cura sul bordo del letto.

"Mangi signorino che le fa bene".

Immobile, senza mai aprire gli occhi, accennò a una smorfia che poteva ben essere confusa con un sorriso. 

All'anziana governante mancavano i denti davanti, sia sopra che sotto. Solo i canini resistevano al tempo, come torrioni di un vecchio castello in rovina dalle mura crollate.

Tale aspetto da vecchio bulldog, la poteva rendere ridicola la prima volta che te la trovavi di fronte e strappare un'amara risata. Ma la successione ininterrotta delle apparizioni mattutine di quel sorriso deforme, aveva provocato, nel piccolo Abraham, un incontrollato quanto fastidioso disgusto. Così, solo quando la sentì uscire decise che era l'ora di aprire gli occhi sul mondo e quello che vide, non lo entusiasmò affatto.

Gli stessi mobili, la stessa stanza di sempre. Per quanto si sforzasse di sognare un'esistenza libera, restava sempre prigioniero della sua malattia.

 

"No! Ho detto di no e non ne voglio mai più parlare".

Era la voce di sua madre quella che giungeva dal corridoio. Non l'aveva mai sentita alzare il tono con qualcuno, e dal silenzio della persona con cui stava discutendo era facile intuire che fosse la nonna. Parlava assai poco, come le persone abituate a farsi ubbidire. Ma su quella questione la mamma, forse per la prima volta in vita sua, non aveva alcuna intenzione di cedere. Nemmeno con lei.

Il suo Bram, come lo chiamavano tutti con affetto in famiglia, sarebbe stato curato nel corpo dai medici migliori, a costo d'imbarcarsi per Londra, e nello spirito dal pastore della chiesa di Clontarf. Superstizioni e vecchie credenze popolari sarebbero state alla larga dal suo bambino. La scienza e Dio assieme, l'avrebbero guarito.

La scienza era al momento rappresentata dal dottor Lewis. Buon uomo, ma del tutto incapace di produrre con le sue cure in Abraham il più piccolo miglioramento. Anche se, a suo credito, almeno stando alla mamma, andava che neppure peggiorava.

La consueta visita mattutina delle nove era una fra le cose più detestate da Abraham. Il dottore lo faceva denudare e lo visitava allo stesso modo in cui il veterinario aveva ispezionato Emma, la puledra di zio Wells, quando aveva smesso si mangiare e s'era di colpo intristita.

"Gravida" aveva allora sentenziato.

Per Abraham invece, al termine di quelle inutili visite, non v'era mai alcuna diagnosi certa. Solo la prescrizione di costose medicine dal sapore disgustoso e un quotidiano, prezioso incoraggiamento alle tenaci speranze di sua madre: "Vedrà che presto migliorerà".

Con l'uscita del dottor Lewis dalla camera, Abraham tirava un vero e proprio sospiro di sollievo. Perché quell'uomo possedeva l'alito più pestilenziale di tutta la contea.

"Uno spicchio d'aglio la mattina a digiuno è il segreto per vivere a lungo e in salute" era uno dei suoi precetti preferiti e lo metteva in pratica con tenace costanza nonostante l'influsso disastroso arrecato alla sua vita sociale. La mamma l'aveva sottratto a quella cura, ma quell'alito mortifero, lo obbligava comunque a cercare di sopravvivere in apnea per una buona mezzora, tutte le mattine.

Altra cosa che detestava era l'incontro pomeridiano con padre Brown. Un'ora di salmi noiosissimi,  recitati con fervore assieme a sua madre, aspersioni con acqua benedetta e gelata, e quel crocefisso sempre stretto tra le mani, come zia Cloe nella bara, il giorno del suo funerale.

No! Abraham non nutriva grande fiducia nel suo futuro. Solo la nonna gli dava ancora un po' di speranza. La nonna, silenziosa e secca come un vecchio albero che ne ha viste e ne sa di cose. Sua nonna, lontana e distaccata, che non sorrideva mai, lei sì conservava nel fondo degli occhi l'esile traccia di una speranza che veniva da molto, molto lontano.

 

Notte di luna piena. Abraham, come faceva spesso, s'era alzato a fatica dal letto e scostate le tende aveva preso a osservare il villaggio sprofondato nella notte. Un fremere d'ombre fugaci e cariche di mistero. Rapidi e imprevedibili voli di pipistrelli. Restava ore, incollato al vetro, a fantasticare a occhi aperti. Adorava la magia della notte. Stava cercando d'immaginare le infinite, terribili, creature che dovevano popolarla silenziose quando, un rumore appena percepito dalle scale, lo fece di colpo irrigidire. Era sembrato un passo strascicato accompagnato da un bisbiglio. Abraham s'infilò di corsa sotto le coperte, fingendo di dormire. Sentì così la porta socchiusa della sua camera cigolare appena in un flebile lamento.

"Bram, Bram, svegliati." Era la voce della nonna che gli sussurrava piano in un orecchio. Aprì gli occhi fingendosi assonnato "Che c'è nonna?"

La vecchia increspò appena le labbra in un vago sorriso. Abraham aveva mormorato la frase a voce bassa come chi sapeva bene d'essere complice di uno strano intrigo.

In quello, alla luce incerta di una candela, Bram s'accorse della figura rimasta immobile nella penombra.

Un vecchio che sembrava ancora più vecchio di sua nonna. Vestiva una lunga tunica bianca con cappuccio, scalzo, e in mano stringeva un bastone dall'estremità appuntita. Sembrava scolpito nel marmo pallido, tanto il suo volto era esente dal più piccolo accenno di movimento.

"Ecco mastro druido, in nome della congrega imploro il suo aiuto" disse la nonna con rispetto.

L'uomo s'avvicinò. Sollevata la camicia da notte con una mano che divenne di colpo calda, prese ad accarezzargli piano la pelle disegnando percorsi strani, segni bizzarri. Abraham provò inquietudine, ma al contempo la naturale, rassegnata, curiosità di chi non aveva nulla da perdere.

Il vecchio estrasse, da sotto la tunica, una scatolina di metallo. L'aprì con cura e tirò fuori dei vermiciattoli che, stretti fra le dita ossute,  presero a dimenarsi forsennati.

"Questa poi..." pensò Abraham pieno di stupore.

Quando vennero appoggiati sulla sua pancia provò solo un lieve bruciore e rimase sconcertato a osservarli mentre prendevano lenti a succhiare il sangue e a gonfiarsi.

Trascorse così, nel silenzio, un tempo incerto finché il vecchio non decise di recuperare le sue bestiole. Restarono solo delle piccole macchie rossastre che prudevano appena.

Fu allora che l'uomo puntò minaccioso il bastone verso Abraham.

"Tornerò a trovarti spesso figliolo, ti farò bere pozioni amare, ascolterai parole antichissime e dimenticate, vedrai cose che in pochi hanno visto ma alla fine tu guarirai. Però, non dovrai farne parola con nessuno, mai, altrimenti..." e appoggiò, con una lieve pressione, la punta del bastone sul suo cuore.

"Promettilo!" intimò.

Abraham annuì. Ma non c'era bisogno di spaventarlo per ottenere il suo silenzio. Prigioniero nella monotonia quotidiana della sua vita da infermo, era più che felice di poter condividere con qualcuno, oltre alla speranza, un mistero.

Quando l'uomo si voltò per andarsene, la nonna s'avvicinò e lo fissò a lungo negli occhi. Accadde la cosa più strana di tutta quella nottata: lei gli diede un bacio, rapido, sulla guancia.

"Conserva questo nostro segreto per sempre, piccolo mio" bisbigliò stringendolo forte a sé. La frase più lunga che le avrebbe mai sentito pronunciare anche negli anni a venire.

Fu così che Abraham Bram Stoker guarì dalla sua oscura malattia, a detta di medici e preti, in maniera miracolosa.

Crebbe sano e forte, diventando uno scrittore di successo e, nonostante Dracula, il suo romanzo più famoso, seppe a modo suo mantenere il segreto.

© Luca Occhi





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