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Potrei dirvi che avevo fame e che sono entrato nel primo posto aperto che ho incontrato. Ma non sarebbe del tutto vero. Al Priscilla ci sono venuto sapendo cosa avrei trovato. Ogni tanto mi piace così. È un locale frequentato da gay, froci, checche. Comunque li chiamate rimangono, per la maggior parte della gente, solo una bizzarra minoranza. Proprio come me. In molti mi guardano, mentre mi dirigo sicuro verso il bancone. Ho il mio fascino. Da bel tenebroso, un po’ dannato. Faccio colpo. Di donne ne rimedio quante ne voglio, ma a volte mi prende il gusto per qualcosa di diverso dalla solita minestra. Ordino bloody mary senza vodka. Non bevo e non fumo, quasi esente da vizi. Il tizio seduto sul trespolo accanto mi appoggia una mano sulla spalla. L’istinto sarebbe di spezzargli il braccio, ma mi controllo. Non devo dimenticare il motivo per cui sono qui. Sorride. Mi chiede le solite cose, il consueto noioso rituale prima d’arrivare al dunque. Ma noi due non ci arriveremo mai, bello, per tua fortuna. Sotto il profumo alla moda percepisco un odore di fondo che non mi piace. Troppe sigarette e cene mal digerite. Ho un olfatto sensibile, e l’odore, come in cucina, in certe cose ha la sua importanza. E poi l’aspetto non è dei più floridi. Ha un’aria stanca nonostante il sorriso raggiante, potrebbe non stare bene. Già. La malattia. A volte sono convinto che quel maledetto virus che ci sta rovinando l’esistenza sia stato creato apposta per distruggerci, eliminarci dal pianeta. Solo che deve essere sfuggito di mano e se l’è presa un po’ con tutti, non solo con noi. Dura la vita ai tempi dell’Aids. Sono pronto a scommettere che molti qui dentro hanno le loro belle analisi del sangue in tasca. Il lasciapassare per languidi abbandoni. Come se contasse. Anche io ce l’ho. Falso naturalmente. Cosa ci vuole a farne uno. E poi quando si è al dunque, gli ormoni ti fanno vedere quello che vogliono e fanculo, è proprio il caso di dirlo, a ogni prudenza. Nella sala mi hanno già sorriso in molti. Ma non trovo quello che m’ispira. Sarà perché non lo faccio spesso, ma ho gusti difficili. Poi, eccolo là. Ha alzato il bicchiere nella mia direzione. Alto, non tanto robusto, sorriso aperto. Alla luce delle lampade la sua pelle sembra avere un roseo, sano colorito. È vestito in maniera un po’ pacchiana, ma non è importante. Scendo dallo sgabello e vado verso il suo tavolo, fra gli sguardi dei delusi. I tacchi dei miei stivaletti sembrano battere il tempo nella sala, come se fosse calato il silenzio. Percepisco ondate d’emozioni negative, l’invidia ha l’etereo spessore della nebbia. Mi dispiace per voi allupati, ma c’è già un vincitore. Non ve n’abbiate a male, sarà per il prossimo giro. Mi siedo e ordino un altro drink, sfoderando tutto il mio fascino. Ci presentiamo. Non recepisco nemmeno come si chiama tanto sono impegnato a guardarlo. Proprio quello che cercavo. Parliamo del più e del meno. Sono molto bravo in questo. A un certo punto devo aver detto qualcosa di molto divertente, perché ridendo appoggia la mano sulla mia. Al contatto ho un fremito, che riesco a controllare. Ci stiamo fissando negli occhi. Sono un incantatore, ma lui non lo sa. Mi sussurra piano che gli piaccio. Da morire. Pure lui mi piace, anche se non così tanto. Gli accarezzo il dorso della mano con la punta delle dita. Sembra che da un momento all’altro debba iniziare a fare le fusa. Incomincia a farmi un lungo discorso (solo per arrivare al dunque): lui è sano, ha con sé il certificato delle analisi fatte poco tempo prima. Sorrido, avvicinando le mie labbra alle sue. Gli sussurro che anch’io ho il certificato, e che certe cose amo farle a pelle, senza asettica plastica a rovinare una delle cose più belle della vita. I suoi occhi vacillano. Non si aspettava che gli chiedessi di farlo senza preservativo. Esita, come un bambino goloso davanti alla torta che gli è stato proibito di toccare. Non ce la puoi fare, mio dolce amico, ne hai troppa voglia per resistere. Tiro fuori della tasca il foglio delle analisi e glielo allungo. Lo legge, i lineamenti del viso si rilassano, come se leggesse una lettera d’amore. Sì, ragazzo mio, ti voglio. Ma prima fammi vedere anche le tue analisi. Sai com’è. La casa di cura la conosco. Ci sono stato qualche volta per dei prelievi. Sembrano autentiche. E poi, chi sarebbe mai così pazzo da girare con delle analisi false in tasca. E perché? Bene. Ci alziamo. Gli ho sussurrato in un orecchio che non resisto più. Che ho voglia di lui. E non mento. Ha proposto i bagni. Li usano per quello. Ma ho risposto di no, non in una schifosa toilette con gente che viene e che va, fra piscio e lezzo di merda. No, voglio un posto più tranquillo. Nel vicolo, dietro il locale, c’è un angolo appartato. La cosa lo stuzzica. Sento quasi il suo cuore accelerare e l’odore farsi più intenso per l’eccitazione. Ne abbiamo entrambi una gran voglia, ragazzo mio. Usciamo, fra sguardi distratti. Ho i capelli lunghi, che mi coprono il volto, nessuno si ricorderà di me. Solo dei miei vestiti e delle mie scarpe. Il vicolo è buio. Camminiamo abbracciati. Vorrebbe baciarmi, ma gli dico di aspettare. È in calore. Incrocio un gatto che mi guarda e schizza via terrorizzato. Lo appoggio spalle al muro, dietro alcuni bidoni ricolmi di rifiuti. È così invitante. Mi abbraccia. Io gli bacio la fronte. Lui ha chiuso gli occhi. Gli sfioro un orecchio con la lingua. Lo sento tremare di piacere e tremo anch’io. Ma la mia è fame! I canini affondano nel suo collo. Si dibatte con la forza di una mosca. Lo tengo schiacciato contro il muro mentre succhio ingordo e felice. Che voglia, che voglia che avevo! È così dura la vita per un vampiro gourmet, ai tempi dell’Aids.
©
Luca Occhi
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