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Un sorso di vita
di Giulia Calfapietro
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Io sono la morte!

Lo so, lo so, leggo lo stupore nei vostri sguardi. Vi state domandando: dovremmo stare qui a parlare di vita e, allora, cosa c’entra la morte? Di certo vi aspettavate che qui su questo palcoscenico  giungesse una giovane donna con i fiori tra i capelli o, forse, un gruppo di bambini sorridenti che, tenendosi per mano, accennassero un girotondo. E sì, perchè se pensiamo alla vita, pensiamo alla leggerezza, alla spensieratezza, e le tinte della nostra immaginazione divengono tenui, tendono all’indaco, al rosa, all’azzurro, al bianco...

La vita è due che si amano, è acqua di fonte che sgorga limpida e prepotente; la vita è la conquista di una nuova vetta, è un’ anima che nasce e braccia che la stringono; la vita è il mare al tramonto, un lento ballato guancia a guancia, è una voce serena che legge una fiaba.

No, signori, vi sbagliate! Questa è l’immagine ideale di quella che chiamiamo vita. Quello che i genitori desiderano per i propri figli quando sono ancora piccoli, quello che grandi scrittori sono riusciti a descrivere nelle loro opere con esperta maestria per invitarci a percorrere la strada, per proteggere gli esseri umani da qualsiasi timore o incertezza, per convincerli che sono fortunati ad essere qui.

Io conosco un’altra vita!

Ne incontro gli ultimi brandelli fra i letti d’ospedale, sui campi di battaglia, negli ospizi, sui barconi degli immigrati, nei campi profughi, fra gli ultimi che vivono in strada. Sono scampoli di esistenza che puzzano di abbandono, di solitudine, di povertà, di malattia, di stanchezza, di sofferenza.....

Mi avvicino piano, senza far rumore e resto in attesa dell’ultimo gesto, parola o respiro prima di catturare la scena. Voi penserete che, in situazioni come queste, il mio arrivo sia una benedizione per coloro che stanno per lasciare questo mondo e, insieme,  per coloro che li lasciano andare. Io sono la quiete, il biglietto di sola andata per una condizione di sicuro migliore e il desiderio di me, spesso, appare chiaro e indiscutibile.

Sono pronto a stupirvi! Nessuno, vi dico nessuno, seppure solo, malato, sofferente, povero, è davvero pronto a lasciare questa vita. Al contrario è proprio nel momento del distacco che ognuno riscopre la forza per afferrare, a pugni stretti, le sbarre della pesante cancellata di ferro che divide questo universo da un dove sconosciuto ed impedire che il nulla lo risucchi.

Ogni ulteriore sorso di vita diviene un oceano immenso di ricordi, emozioni, sogni, nel quale ogni uomo sarebbe disposto ad affogare. E i pensieri si affollano, disordinati, e io riesco a percepirli e comprenderli meglio che se fossero parole.

Il malato terminale fra le lenzuola bianche si aggrappa agli affetti più cari e ripercorre, in uno scorrere che non può essere segnato su nessun orologio, il tempo oramai alle spalle: i propositi che resteranno tali, i progetti realizzati, gli affetti e gli incontri di anime.

La vittima di guerra ferita dal proiettile di un mortaio si accascia al suolo, fra gli scheletri spettrali delle costruzioni  che riempiono la scena e fanno da contorno, chiude gli occhi e, fra le lacrime, prega che non sia finita. Solo un attimo in più basterebbe per portare con sé l’istantanea di una strada nella quale ha giocato da bambino, di una panchina sulla quale ha scoperto il primo amore, di un portone che ha chiuso tante volte, cercando di lasciare fuori il mondo.

Guardate! Guardate questa scatola di latta!

Vi ripongo quello che ancora pulsa nell’animo di un uomo quando, per svolgere il mio compito, lo avvolgo nel mantello della notte eterna e lo porto via con me. Soffi, sospiri, respiri, battiti di ciglia, accennati movimenti delle labbra, abbandoni...... sorsi di vita dal valore immenso, inestimabile.

Una volta, curioso quale sono, in un pomeriggio freddo di un inverno ancor più freddo, nella solitudine della mia dimora, per qualche secondo, ho aperto la scatola di latta. Che grande rammarico non avere mai vissuto. Cosa avrei dato, io, per un soffio, un sospiro, un battito.....

Ma nulla nella scatola è mio, nulla mi appartiene. Sono il semplice custode di un tesoro, unico e troppo prezioso per poter avere un prezzo. Sono il testimone di un miracolo: muoiono gli uomini, ma non la vita che li pervade tutti. Si trasforma, si dilata, si ripiega in sorsi di esistenza, ma resta vita dalla quale nasce nuova vita.

© Giulia Calfapietro







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dal 2019-04-14
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