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Acruto Vitali: un intellettuale a tutto tondo, dalla poesia alla pittura
di Riccardo Renzi
Pubblicato su SITO


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Acruto Vitali: un intellettuale a tutto tondo, dalla poesia alla pittura

Ai più il nome Acruto Vitali non dice nulla. Qualcosina comunica invece a chi è originario del sud della Marca. Ma perché questa diffidenza nei confronti di un così grande intellettuale?

Acruto Vitali fu uno dei maggiori interpreti di quella temperie culturale che tanto animò il territorio fermano[1] tra gli anni quaranta e sessanta del Novecento. 

Era nato a Porto San Giorgio il 5 ottobre del 1903 da Primo, uno dei più grandi industriali della zona, proprietario di una fabbrica di ghiaccio tra le più grandi delle Marche, e da Ada Cestarelli. Frequentò l’Istituto Tecnico Industriale di Fermo. Agli inizi del 1926 si trasferì a Milano per studiare musica e canto. Qui fu allievo di Alessandro Bonci[2], mentre a Roma di Sammarco. L’esordio avvenne nel 1929 ne I Pescatori di perle di Bizet, nel ruolo di Nadir. Negli anni Trenta si esibì come tenore nei maggiori teatri nazionali e internazionali, ma lo scoppio della guerra interruppe le sue attività. Nel 1940 si vide costretto a tornare a Porto San Giorgio, dove aiutò il padre nella gestione dell’azienda di famiglia[3]. 

Risulta assai difficile parlare di Acruto Vitali poeta e pittore, senza parlare di alcune amicizie illustri che ebbe nel corso della sua vita e che condizionarono il suo gusto poetico e artistico. Per quanto concerne la poesia, la coltivò fin da adolescente assieme a un suo caro amico, Sandro Penna[4]. Il poeta perugino trascorreva infatti tutte le estati con la famiglia a Porto San Giorgio e proprio sulle spiagge di questa cittadella dell’Adriatico i due fanciulli strinsero una salda amicizia. Vitali, anche in tarda età, ancora raccontava di quello splendido periodo della sua vita trascorso con l’amico Sandro a leggere Rimbaud sulla spiaggia. Fu proprio Vitali nell’estate del 1925 a far conoscere la poesia di Rimbaud a Penna[5]. Spesso i due discutevano anche di letteratura francese, in particolare di Gide e Proust[6]. 

Gli amici illustri di Vitali però non si esauriscono qui. Egli parlava infatti dei poeti francesi anche con Ubaldo Fagioli e Franco Matacotta[7]. Mentre con uno dei più grandi pittori del primo Novecento, Osvaldo Licini, parlava di Leopardi.

Per il pittore di Monte Vidone (Osvaldo Licini), Leopardi fu un’ossessione. Spesso si recava a casa dell’amico sangiorgese per farsi recitare qualche verso del poeta recanatese e puntualmente al termine di ogni recitazione, affermava che prima o poi avrebbe dedicato al poeta una serie di quadri. Un giorno Licini si recò da Vitali con un piccolo quadro sotto braccio e gli disse: «Ecco qua il mio Leopardi», era un’Amalassunta luna. Chiusa questa breve parentesi su un altro grandissimo artista del Novecento, continuiamo ad esaminare le amicizie illustri che Vitali ebbe[8].

Durante il soggiorno milanese, nonostante lavorasse come musicista, mai tralasciò l’amore per la poesia e dalle lettere con Penna sappiamo che in quegli anni intratteneva rapporti con Leonardo Sinisgalli, Giovanni Titta Rosa e Sergio Solmi[9]. Nel 1937 anche Penna si trasferì a Milano, ove lavorava come correttore di bozze presso l’editore Bompiani, in quei tre anni i due si incontravano quotidianamente la sera presso la Galleria Il Milione. Quando Vitali era a Roma per motivi lavorativi lasciava le chiavi del suo ampio e confortevole appartamento a Penna e un giorno accadde un curioso episodio, Vitali tornato in anticipo da Roma trovo la porta dell’appartamento chiusa dall’interno e bussando gli venne ad aprire Umberto Saba, che a sua volta aveva ricevuto le chiavi da Penna. Da questo simpatico episodio nacque un’amicizia tra i due. Dunque, ai tanti amici illustri si aggiunge anche il nome di Saba[10].

Vitali aveva iniziato a scrivere poesie fin da giovanissimo, la prima di cui abbiamo testimonianza risale all’estate del 1909:

Fui un passero, socchiuso tra le ciglia
d’un alba, a la gronda del cielo.
Ora, conchiglia mi nutro di sole,
e mi muove la luna sulle sabbie nei pleniluni[11].

In questi anni ancora non si era legato così profondamente alla poesia rimboudiana, ma prendeva a modello i grandi della poesia italiana, in primis Leopardi e Pascoli. Nel 1925 pubblicò sulla rivista «La Lucerna» la poesia La forma della sera:

Quando il vespro adunò l’ombre ed il cielo
fu come il grande specchio della sera,
io vidi profilarsi la chimera
nel colore del tuo pallido velo.

E un tremore m’invase, uno sgomento,
una paura folle e indefinita
quand’io tentai l’indugio delle dita,
in quella forma vana come il vento;

nulla: parvenza della sera azzurra
coi suoi misteri, in giochi di penombra,
intorno al lembo del tuo lieve velo…

Tu mi scuotesti: Senti? Non sussurra
foglia; il silenzio come un fiume d’ombra,
scorre così che noi sentiamo il cielo[12].

L’onda musicale è prettamente italica, forti sono gli echi pascoliani, ma anche il primo Rimbaud inizia a farsi sentire nella trasmissione di una profonda inquietudine.

I temi trattati da Vitali nella raccolta[13] sono molti e vari: la presenza del cielo, dei monti e del mare; lo scorrere delle stagioni; il sentimento dell’incombenza del male che spesso vede accomunato l’uomo a un filo d’erba sferzato dal vento; il pensiero doloroso del mondo e i continui dissidi a cui il genere umano è sottoposto. A proposito di tali temi, illuminante risulta un suo componimento del 1928 dedicato a Sandro Penna.

Sfiorisce ogni stagione
sull’altra che ringemma
lungo il fiume del tempo.

Dentro l’uomo trema,
le notti avvinte ai giorni,
ed i tramonti l’albe,

e la vita alla morte,
e gli astri al dolce sole
fraterni si confidano[14].

I temi trattati dal poeta sono sempre legati alla vita e alla morte dell’uomo e delle stagioni, e alla ciclicità del tempo, come un continuo ritorno. La lingua è sempre chiara, non ha bisogno di interpretazioni o mediazioni, gli accenti sono quelli della tradizione del primo Novecento italiano e l’endecasillabo si adatta ai timbri verbali.

L’uomo, creatura inquieta,
di timor vive,
e sé stesso inebria.

L’uomo teme in altri
se stesso che si cangia
eternamente mosso;

e dentro questo gioco
antichissimo scorre
rivolo a ogni pastura
la mia obbediente vita.

Il seguente componimento è un inedito di Vitali, databile tra il 1928 e il 1930, rinvenuto dietro la tela di un suo quadro nel 2020 ed oggi per la prima volta pubblicato. Lo stile qui si fa più introspettivo e l’attenzione si sposta dalla natura all’uomo e al suo esistenzialismo.

Il legame con la natia città, Porto San Giorgio, fu sempre molto forte e tale dato è pienamente riscontrabile nella sua opera poetica. Numerose sono le poesie dedicato al paesino marinaro, la più eloquente è quella riportata di seguito, recante titolo proprio: Porto San Giorgio

Bambino, ho visto un giorno dal mio mare,
verso i colli, sull’alto d’una rocca,
tra uno stormo di nuvole e di rondoni
volteggiare il vento, 
libero e azzurro vento,
mi pareva venisse d’oltremare,
a spettinare gli alberi,
a giocar con le torri,
a sussurrar parole ai suoi silenzi.
Tutta la musica de la mia infanzia
È in quel baluardo a guardia del mare,
struggente di bellezza e irraggiungibile,
come la vetta della bellezza,
come la voce della libertà[15]. 

Vitali fu profondamente legato a quella natura marinara, a quelle alture limitrofe al mare, i richiami a Rocca Tiepolo[16], vecchio avamposto fermano, sono continui.  

Vitali amò e coltivò sempre la poesia, dall’adolescenza sino alla piena senilità, ma della sua attività poetica si curò sempre poco. Non puntò mai a farsi conoscere dal grande pubblico, preferiva recitare i suoi componimenti con gli amici cari. Gli amici erano attratti da lui più come cantore/musicista che come poeta.

Il presente lavoro ha solamente introdotto minimamente l’immensa figura intellettuale di Acruto Vitali, poeta, pittore e tenore. L’obiettivo è quello di far riemergere questa figura dall’oblio e le tenebre nelle quali per troppo tempo è risieduta. [17]

Acruto Vitali però non fu solo un poeta e un tenore, ma fu anche un grande pittore. Sull’origine della vocazione artistica in Vitali, poco si conosce, ma a tal proposto illuminanti risultano le parole di Stefano Papetti: «Non so dire se la scelta maturata da Acruto Vitali di dedicarsi alla pittura dopo la scomparsa di Osvaldo Licini possa intendersi come un espediente per mantenere vivo il colloquio interiore con l’amico pittore o se invece sia stata proprio la scomparsa di Osvaldo a sollecitare Vitali a praticare una forma d’arte verso la quale si sentiva inibito in ragione dell’amicizia che lo legava a Licini»[18]. Testimonianza dello strettissimo legame tra i due è il ricco archivio epistolare. Pur abitando a poca distanza uno dall’altro, le occasioni per incontrarsi di persona non sono molte, unico mezzo di collegamento la scomodissima linea ferroviaria Porto San Giorgio – Fermo – Amandola. Gli scambi epistolari invece colmarono a pieno questa distanza fisica, già nel periodo milanese di vitali, quando Licini gli chiedeva impressioni sulle nuove correnti artistiche.  Vitali sembra creare, e trovare, nell’espressione figurativa una complementarietà con la poesia, che nel suo caso, è essa stessa narrazione pittorica. Sebbene Vitali abbia dipinto ininterrottamente per più di trent’anni, sporadiche furono le mostre e le esposizioni: una esposizione a Fermo organizzata da Luana Trapè; una rassegna urbinate interamente dedicata a lui curata da Gaetano Fermani nel 1972; nel 1980 partecipò ad una collettiva a Potenza Picena.  [19]

L’arte di Vitali è costantemente in bilico tra figurazione e astrattismo, però la realtà è sempre presente sotto forma di figure umanoidi stilizzate. Tutto è dettato da una ferrea geometria che però si distacca dai dettami spaziali, le figure sembrano un po' galleggiare/fluttuare nel vuoto, un po' come le Amalassunte e gli Angeli caduti liciniani[20]. L’influenza di Licini sul pittore sangiorgese fu sempre molto forte. I colori sono sempre stesi in campiture piatte, senza la presenza del chiaroscuro o di bordature delimitanti. Vitali ricorda molto la primissima pittura futurista, quella legata ai modelli di De Pero. La figura umana si compone di forme geometriche, solitamente di triangolini. Nella pittura di Vitali sono racchiuse tutte le forme dell’universo. La geometria però non è forzata come nel cubismo, ma è una geometria libera, come quella futurista.

Vitali fu un intellettuale a tutto tondo, che seppe spaziare dalla poesia alla pittura, passando per la musica.

Note:  
[1] Territorio dell’attuale provincia di Fermo, un tempo sotto quella di Ascoli.
[2] Nacque professionalmente al Conservatorio "Gioachino Rossini" di Pesaro, dove ebbe modo di lavorare con Carlo Pedrotti e Felice Coen. Fece il suo debutto al Teatro Regio di Parma nel 1896, nel Falstaff di Giuseppe Verdi. Tale fu il suo successo che prima della fine della stagione fu ingaggiato dal celebre Teatro alla Scala di Milano, dove esordì ne I puritani. Seguirono apparizioni in tutta Europa. Il 3 dicembre 1906, salì sul palco della Manhattan Opera Company, ancora ne I puritani. Stette ben due stagioni nella famosa Compagnia, diventando per il pubblico una sorta di competitore di Enrico Caruso, il quale era allora la maggiore attrazione della rivale Metropolitan Opera, per il quale, peraltro, Bonci avrebbe poi firmato nel 1908. Dopo la sua esperienza newyorchese, Bonci intraprese un lungo tour canoro intercontinentale durato più di un anno, fra il 1910 e il 1911 e, quindi, fu messo sotto contratto dalla Chicago Opera, nel 1914. Il 30 dicembre 1913 fu iniziato in Massoneria nella Loggia Otto agosto di Bologna, divenne Maestro massone il 19 marzo 1914. Scoppiata la prima guerra mondiale fu richiamato alle armi e servì fino alla fine del conflitto. Immediatamente dopo tornò negli Stati Uniti d'America per un tour di tre stagioni, che lo riportarono sul palco del Metropolitan e a Chicago. Fra il 1922 e il 1923 fu primo tenore del Teatro Costanzi di Roma. Dopo il 1925 cominciò a diradare i suoi impegni e a privilegiare la sua attività di maestro a Milano.
[3] Acruto Vitali poeta e pittore (1903-1990), a cura di E. Pecora, A. Luzi, S. Papetti, Fermo, Andrea Livi Editore, 2017, p. 12.
[4] G. Altamura, E. Pecora, M. Verdastro, Sandro Penna: il dolce rumore della vita, Asola (MN), Gilgamesh, 2022, p. 34
[5] Acruto Vitali poeta e pittore (1903-1990), cit., p. 9.
[6] Le letture e i discorsi tra i due amici sono comprovati da una fittissima corrispondenza ancora oggi conservata dalla famiglia Vitali.
[7] Si veda: A. Mastropasqua, MATACOTTA, Franco, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 72, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2008. Matacotta dopo l'infanzia e l'adolescenza trascorse a Fermo, si trasferisce a Roma per frequentare l'università. Matacotta ha pubblicato con lo pseudonimo di Francesco Monterosso alcune poesie sparse su riviste. Poi il 20 dicembre del 1941 pubblica i Poemetti col suo vero nome nelle edizioni di "Prospettive" dirette da Curzio Malaparte il cui vero nome era Kurt Erich Suckert. Nel gennaio del 1936 inizia la corrispondenza con Sibilla Aleramo, a quel tempo sessantenne; insieme intrecciano una relazione amorosa difficile e complessa che durerà sino al marzo 1946. Grazie a questo rapporto, Matacotta può consultare numerose carte di Dino Campana custodite dall'Aleramo (che aveva avuto col poeta una relazione durata dall'agosto al dicembre del 1916), e pubblica nel 1949 il cosiddetto "Taccuino Matacotta", in cui riunisce alcuni testi inediti del poeta dei Canti Orfici. Nel 1939 si laurea con una tesi dal titolo "Giuseppe Ungaretti o della parola come mito"; due anni più tardi, nel 1941 parte per la seconda guerra mondiale ed è di stanza in Sardegna; più tardi si unirà ai partigiani. Finita la guerra, collabora con Il Mattino e Paese Sera. Nel 1946-47 fu insegnante di lettere nella Scuola Media di Civitavecchia, di cui era preside Guglielmo Cascino. Nella scuola si volevano portare avanti alcuni esperimenti di "scuola attiva" sui quali Guglielmo Cascino riferisce in un suo testo: Nuovi orientamenti per la scuola secondaria, edito presso Paravia nel 1951.
[8] L. Trapè, Licini, Leopardi e il paesaggio sublime, Macerata, edizioni Ephemeria, 2019.
[9] G. Altamura, E. Pecora, M. Verdastro, Sandro Penna, cit., p. 56.
[10] G. Altamura, E. Pecora, M. Verdastro, Sandro Penna, cit., p. 60.
[11] A. Vitali, Il tempo scorre altrove, All’insegna del pesce d’oro, Milano, Scheiwiller, 1972.
[12] A. Vitali, Il tempo, cit., p. 19. La medesima poesia era già stata pubblicata nella presente raccolta nel 1921.
[13] A. Vitali, Il tempo scorre altrove, All’insegna del pesce d’oro, Milano, Scheiwiller, 1972.
[14] A. Vitali, Il tempo scorre altrove, cit., p. 35.
[15] Acruto Vitali poeta e pittore (1903-1990), a cura di E. Pecora, cit., p. 53.
[16] Fatta erigere nel 1267 dal veneziano Lorenzo Tiepolo, si erge su un piccolo promontorio a difesa dell’antico porto della città dalle incursioni saracene e piratesche. Sopra la porta a sud vi è una lapide, raffigurante due fortezze e tre torri, su cui campeggia uno stemma con una croce a quattro braccia e le chiavi incrociate, simbolo pontificio.
[17] Dalla collezione della famiglia Renzi.
[18] Acruto Vitali poeta e pittore (1903-1990), a cura di E. Pecora, cit., p. 59.
[19] Dalla collezione della famiglia Renzi.
[20] Angelo di Santo Domingo e Missili Lunari.

A cura di Riccardo Renzi



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