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Una riflessione sullo spettacolo di Diego Mecenero: la Marca tra folklore e leggende
di Riccardo Renzi
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Una riflessione sullo spettacolo di Diego Mecenero: la Marca tra folklore e leggende

In data venerdì 23 giugno 2023, alle ore 21:30, presso il teatro del comune di Rapagnano (FM), si è tenuto lo spettacolo “La Notte di San Giovanni, una notte speciale tra miti, tradizione e folklore” del professore e giornalista Diego Mecenero[1]. L’evento è stato organizzato dall’associazione culturale Teste di Rapa in collaborazione con il Comune di Rapagnano. Lo spettacolo si è incentrato sulle leggende dei Monti Sibillini e ha visto l’accompagnamento musicale alla narrazione da parte di Dino Pulcini. Mecenero oltre ad essere uno dei massimi esperti di francescanesimo nelle Marche, è anche un grande conoscitore delle storie e delle leggende legate ai Monti Sibillini, che nel 2021 ha voluto raccogliere nel volume “Le affascinanti leggende dei Monti Sibillini” edito da Ephemeria[2]. Il volume, a parer mio, si può tranquillamente fregiare dei meriti di completezza e scientificità nell’uso delle fonti, ciò fa dell’opera di Mecenero, l’unico reale punto di riferimento, per quanto concerne l’editoria contemporanea, sulle leggende dei Monti Sibillini. 

Lo spettacolo si è aperto parlando di un distinguo netto e obbligatorio, ciò quello tra la leggenda della Sibilla e quella dei Laghi di Pilato, ed ecco spiegato l’uso del plurale “Leggende” e non del singolare. Il Monte Sibilla svetta per 2173 m sul livello del mare, mentre il Monte Vettore, ove si trovano i Laghi di Pilato, per 2476 m. La narrazione origina proprio dal Monte Sibilla, dove sulla cima è ubicata la famosa grotta della Sibilla, ormai però irraggiungibile dopo il crollo dell’ingresso. Il sito è stato frequentato dal periodo pre-romano e teoricamente doveva essere dedicato, come afferma Mecenero, alla dea della terra Cybele. Con i romani la divinità prese il nome di Sibilla e lo mantenne per tutto il medioevo, sino all’età contemporanea. Per comprendere l’importanza del sito, è interessante analizzare da quanti storici e letterati sia stato citato nel corso della storia:

-          69 d.C. - La prima notizia certa è di epoca romana ed è riportata da Svetonio, il quale afferma che Vitellio «celebrò una sacra veglia sui gioghi dell'Appennino»[3].

-          268 d.C. - Trebellio Pollione in Scriptores Historiae Augustae racconta che Claudio II il Gotico si affidò in quell'anno ai responsi dell'oracolo della Sibilla Appenninica.

-          1320-1340 - Frane all'interno della grotta causate anche dal terremoto del 1328 e chiusura dell'antro per azioni politico-religiose messe in luce dallo storico Falzetti (lotte fra guelfi e ghibellini di Umbria e Marche, fra eretici e domenicani; bolle ed editti della Chiesa per contrastare le eresie di templari, alchimisti, spirituali, catari, patarini ecc. che avevano trovato rifugio nelle terre della Sibilla). 

-          1420 - Antoine de La Sale visitò la grotta nel maggio 1420, riportando nel suo diario, dedicato alla duchessa Agnese di Bourbon-Bourgogne, la quale lo aveva inviato nelle terre della Sibilla, la descrizione minuziosa della morfologia dei luoghi e del vestibolo della grotta. È proprio questa la testimonianza storica più importante in nostro possesso, come affermato anche da Mecenero durante lo spettacolo. 

-          1452 - In una pergamena ritrovata nell'Archivio storico del Comune di Montemonaco è stigmatizzata la frequentazione di Montemonaco, del lago della Sibilla (così chiamato nella sentenza dal giudice della Marca Anconitana) e della grotta sibillina da parte di cavalieri che arrivavano dalla Spagna e dal Regno di Napoli per praticare l'Alchimia e consacrare libri magici ad lacum Sibyllae[4]. La scoperta di tale pergamena è di assoluta importanza, poiché suffraga la tesi sull’intensa frequentazione del sito da parte di genti di tutt’Europa. 

-          1578 - Data incisa sulla roccia vicino al vestibolo crollato. La data riporta l’anno 1378 e la firma di Christian Rosenkreuz[5]. La sua presenza collega il sito al mondo dell’esoterismo e dei Rosacroce[6]. 

-          1610-1612 - Martino Bonfini[7] affrescò nel santuario della Madonna dell'Ambro, un ciclo di dodici Sibille fra cui una Chimica o Alchemica.

Dalla fine del Settecento in poi la grotta inizia ad essere frequentata con sempre maggiore continuità sino al crollo dell’ingresso. 

Conclusa la narrazione relativa al mito del Monte Sibilla, Mecenero ha dedicato gli ultimi dieci minuti alla leggenda del Lago di Pilato. In tale luogo sarebbe infatti sepolto il prefetto della Giudea durante il regno di Tiberio, Ponzio Pilato. Il cadavere di Pilato dopo la morte sarebbe stato legato ad un carro trainato da buoi inferociti, che dopo aver vagato per mezza Italia, si gettarono proprio nel mitico lago, che da allora è frequentato da spiriti maligni. 

A Mecenero è doveroso riconoscere il merito della valorizzazione della storia e del folklore legate alla terra della Marca. Infatti, pur essendo di origine veneta, conosce la storia e le tradizioni marchigiane più degli autoctoni e si spende per la loro valorizzazione.

[1] Direttore della rivista scientifica Il sentiero francescano.
[2] D. Mecenero, Le affascinanti leggende dei Monti Sibillini, illustrazioni di C. S. Salvini, Macerata, Ephemeria, 2021.
[3] Svetonio, Vite dei Cesari, introduzione di S. Lanciotti, Milano, Bur Rizzoli, 2017, p. 695.
[4] In quell’epoca ancora non era in uso il nome Lago di Pilato.
[5] Christian Rosenkreuz compì viaggi in Medio Oriente, intrapresi per poter approfondire le proprie conoscenze sul mondo dell'occulto, evidenziando una forte motivazione mistica ma anche gnoseologica, rivolta allo studio della natura come pratica alchemica. Fu proprio al ritorno da questi viaggi che Christian Rosenkreutz (o Cristiano Rosacroce), rientrato in Germania, che è considerata sua patria di origine, fondò l'ordine segreto dei Rosacroce. Secondo quanto viene riportato in alcuni documenti, egli visse fino all'età di 106 anni. Il suo corpo sarebbe stato rinvenuto, perfettamente intatto, 120 anni dopo, quando alcuni confratelli ritrovarono e aprirono la sua tomba, che recava iscritti diversi motti. Tra i suoi insegnamenti vi sarebbe stato l'acronimo vitriol, che significa: «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem», il cui sigillo apparve però nel 1613, nel trattato Azoth di Basilio Valentino, un anno prima della pubblicazione dei manifesti rosacrociani, e gli verrà attribuito nel Musaeum Hermeticum da Lucas Jennis nel 1635.
[6] Rose+croci scolpite su architravi di finestre e portali in pietra, si trovano riprodotte fino a tutto il XVII sec. in numerose frazioni di tutta la cintura sibillina.
[7] Mancano prove documentarie per stabilire l'appartenenza di questo pittore e scultore del sec. XVII alla famiglia discendente dall'umanista Antonio. Il primo documento si riferisce al suo matrimonio nel 1584. Nel 1601 è priore della confraternita del SS. Sacramento di Patrignone (Amadio, 1928, p. 6 nota 4), notizia che confermerebbe i suoi rapporti di parentela con la famiglia oriunda di Patrignone.

Nel 1607 eseguì lavori di pittura per la confraternita del Sacramento di Montalto. Un atto notarile del 10 apr. 1607 riguardante il pittore Carlo Allegretti fa riferimento all'impegno precedentemente assunto dal B. di intagliare un altare per la chiesa di S. Agostino (Fabiani, p. 359). Nel 1610-12 dipinse gli affreschi con Assunzione, Visitazione, Nozze della Vergine dietro l'altar maggiore dell'antico santuario della Madonna dell'Ambro presso Montefortino (Luzi, 1892). Nel 1617 avrebbe eseguito un altare per la chiesa di S. Cristoforo ad Ascoli, poi sostituito. Per la chiesa di Ripatransone il B. dipinse nel 1622 la pala d'altare con i Santi Filippo e Isidoro, mentre un "... XXVI" che Luzi lesse nel 1884 fa supporre che fossero del 1626 gli episodi della Vita di Gesù dipinti a fresco nella chiesa della Madonna della Misericordia a Tortoreto. Da un pagamento del 3 dic. 1633 per certe figure di Angeli risulta operoso a Montalto. Notevole deve essere stata l'attività del B. sia come pittore sia come intagliatore, insieme con il cognato Carlo Farina, ad Ascoli dove ebbe bottega. Si tratta certamente di artista non di primo piano, ma al di sopra dei mestieranti e dei freddi imitatori.

 

A cura di Riccardo Renzi



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