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Piera in la minore
di Giorgia Meriggi
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I tigli del vialetto che conduce alla biblioteca sono in fiore. Piera cammina piano; i piedi, nei mocassini, percorrono la strada con calma. Sopra la sua testa, è in atto un’orgia di pollini, api e altri insetti ingordi. Lei procede dritta sotto questo baccanale soave, si lascia benedire dalla pioggia aromatica che sa di miele e di antico; sottobraccio ha due libri.

I tigli le ricordano suo padre, morto proprio nel mese di maggio, poco prima che lei compisse vent’anni.

Piera sale le scale, la biblioteca è al secondo piano. Apre la porta ed entra. Deve restituire Il Medioevo da Ugo Capeto a Giovanna d'Arco, di Duby e un saggio sul Medioevo Teologico. Ne ha fotocopiato alcune pagine per i suoi studenti. Due chiacchiere con Giulia, la bibliotecaria e con Franca, la macellaia del supermercato. Stanno discutendo dell’open day della scuola primaria, chi fa cosa e quando.

Dopo un quarto d’ora, Piera è di nuovo sul viale; non vedeva l’ora di tornare ancora sotto l’ovulazione festosa degli alberi: tutti in fila, a destra e a sinistra, con la chioma fresca, tutta lucidata e grondante di profumo. Se la prende comoda, Piera, vorrebbe fermarsi un momento, ma non lo fa, non si ferma. Lei è fatta così. Le gambe vanno avanti, e il viale finisce. Una puntura di rimpianto nel petto, un'ansia appena sussurrata. Peccato che il viale sia così corto. Ci tornerò domani, se avrò tempo.

Piera attraversa la strada, cerca di trattenere l’odore degli alberi e si incammina verso casa.

Sua madre la sta aspettando per apparecchiare la tavola. Mangeranno bresaola con crescenza, un panino a testa, insalata di pomodori, fragole con gelato al fiordilatte. Poi guarderanno un po’ di televisione, insieme, fino alle ventidue, ora di andare a dormire.

 

Piera entra nella sua stanza. Sceglie i vestiti puliti da mettere il giorno dopo e li ordina sulla poltroncina vicino all'armadio. Lascia la porta socchiusa. Poi si infila nel suo letto a una piazza, Legge alcune pagine del De consolatione philosophie, fino a quando, oltre il corridoio, non ha inizio il concertare ritmico del respiro materno. Allora Piera si sfila gli occhiali, chiude Boezio e appoggia gli uni sull’altro sopra il piano di marmo del comodino. Recita sottovoce un’avemaria e un gesùd’amoreacceso rivolgendosi alla foto del padre a ventun anni, sul Landini, con la sigaretta e il cappello, e alla madonnina di ceramica con le mani giunte. Si fa il segno della croce, bacia il piccolo crocefisso d’oro che porta al collo e spegne la luce. È distesa a pancia in su. Scosta un po' le gambe. Poi le apre piegando le ginocchia. Finalmente, può dedicarsi al suo rituale segreto. Con le dita raggiunge la zona del suo corpo che solo lei ha mai toccato. Il pensiero si coagula su quell’attore, Raul Bova. In fondo, è solo una specie di ninnananna, che male c’è.

Ogni sera, prima di dormire, lei si racconta la storia del loro primo incontro, una fantasia del tutto innocua, che Piera si concede per svuotare la testa dai pensieri accumulati durante il giorno. Chiude gli occhi, Piera, e dà inizio alla sua storia. L'incontro con l'attore è pura casualità, chi l’avrebbe mai detto. Lui è dietro di lei alla cassa del supermercato. Deve pagare due bottiglie di acqua, ma ha dimenticato in macchina il portafogli. Allora lei gli presta due euro e cinquanta. Lo riconosce, è Raul Bova, ma lei è…si sono io, cosa ci fa qua, mia madre è ricoverata a Villa Esperia.

Tutto ha inizio così. Quando escono nel parcheggio lei nota sul sedile dell’auto le lettere di Abelardo ed Eloisa. Ecco il portafogli, ti posso offrire un caffè? Anche lui è appassionato di Medioevo. Cominciano a parlare, hanno tanto in comune. Poi, lo scambio dei numeri. Due giorni dopo arriva la telefonata, si vedono e… nel mio ambiente le donne non sono vere, tu invece. Si baciano. Allora Piera può lasciarsi esplodere, la fantasia si sfoca, Raul Bova, scompare. Piera si addormenta, giusto il tempo di girarsi sul fianco destro.

Alle sette, Bach la riporta alla luce, come ogni mattina, con la suite in si minore per flauto. Le assomiglia, quell'allegro in tono minore, inquieto e incalzante, ma con un che di trattenuto. Assomiglia anche al mese di maggio, l'allegro di Bach: il mese di Maria, il mese ingannatore, ti incanta con le sue promesse e poi magari, in un giorno di sole, si prende tuo padre e lui finisce sottoterra, nel piccolo cimitero di campagna, con mezza tonnellata di porfido rosso come coperta.

 

Sul tavolo della cucina c'è già il caffelatte, nella tazza comprata a Oxford. In un piattino, le fette biscottate e la marmellata di arance amare, Sua madre si alza presto, di mattina, le fa trovare tutto pronto, apparecchiato, sulla tovaglietta all'americana.

Dopo la colazione, in bagno, la pulizia del corpo. Poi i vestiti, quelli preparati la sera precedente. Sul viso un filo leggero di trucco. Ne basta poco, perché lo specchio non restituisce il volto di una donna cinquantenne. Niente segni sotto gli occhi: Piera non ha mai passato le notti a consolare un neonato con l'otite. Niente ferite verticali fra le sopracciglia: che ne sa lei delle litigate con un marito che arriva sempre troppo tardi la sera, Né parentesi chiuse sulla bocca: Piera si è risparmiata le minestre ingollate a forza per non doversi buttare di sotto. La sua pelle non è una mappa di sogni infranti. Il suo viso è un cielo terso. Ha lineamenti da madonna del Beato Angelico, questa ragazza solo un po' invecchiata, con lo sguardo color firmamento.

Mentre sta per entrare in macchina, nota un guanto di raso nero, da sera, abbandonato per terra, di chi sarà mai. Sta per raccoglierlo, ma non è un guanto, è una piccola gazza morta..

 

In classe, oggi è giorno di interrogazione, I suoi studenti sono sempre preparati, non la deludono e lei li ricambia con equità e giusto rigore, Le ore passano veloci. Alle undici, il caffè con le colleghe al distributore automatico, poi altre due ore di lezione e infine a casa, a correggere i compiti. Stasera alle ventuno Piera andrà alla riunione in biblioteca, un impegno dedicato al luogo in cui la sua famiglia vive da sempre, il piccolo paese in collina da cui staccarsi è una sofferenza, anche per andare in vacanza. Poi, finalmente, Piera potrà andare a letto, a celebrare il suo rito intimo: il libro, le preghiere, e poi il buio, il suo nascondiglio segreto.

 

Le dita scendono, la mente prende il volo. Questa volta succede dal benzinaio, il distributore è ormai chiuso, ma lei non ha contanti e il pos non accetta le carte: è in riserva da stamattina e non ce la fa ad arrivare al bancomat per prelevare, Raul Bova scende dalla macchina e la soccorre. Sono proprio sbadata, sempre distratta, potevo pensarci prima, ho la testa fra le nuvole, pensavo ai miei studenti... Di cosa si occupa? Insegno storia…ah, pensi che se non avessi fatto l’attore mi sarebbe piaciuto insegnare... L’orgasmo arriva prima che si siano baciati.

 

Mercoledì mattina, ore undici. Al distributore la collega di italiano sta parlando col nuovo supplente, il sostituto della giovane insegnante in maternità. Avrà trent’anni, questo supplente, un grosso foruncolo rosa sul mento, i capelli scuri, gli occhi chiari, le guance arrossate, gli incisivi separati, È alto e magro, sembra timido, l’accento è calabrese. Si presentano. Piera e la collega sono materne nel spiegargli come funziona con gli studenti, È la sua prima volta in aula. È spaventato. Due pettegolezzi sulla preside per sdrammatizzare, buon lavoro, in bocca al lupo, vedrai che andrà tutto bene.

 

Di sera, dopo cena, la madre le dice

Piera, stamattina ho chiesto al don di fare la messa di suffragio per il papà. Dopodomani saranno trent’anni.

A che ora mamma?

Alle sei. Preferisci alle nove? hai da fare?

No, va bene, per le sei ce la faccio

Non è che prima riesci a fare un po’ di spesa? C’è quel buono da venti euro da spendere prima della fine del mese.

Si, va bene, fammi la lista.

 

Piera adesso è sola, nella sua stanza, a leggere il libro, a recitare le preghiere, ad aspettare che la madre si sia addormentata. Ma cosa cambierebbe se fosse sveglia? Niente, solo che finché non dorme lei non si sente abbastanza al sicuro. O non riesce ad assolversi del tutto.

Stavolta, nella sua fantasia, ha nevicato tutto il giorno e continua a nevicare. Raul Bova è sul ciglio della strada, è finito con una ruota nel fosso. Lei si ferma, lo aiuta, chiamano il meccanico che ha l’officina in piazza. Il meccanico arriva con un trattore, tirano fuori la macchina. Vuoi salire a scaldarti, a bere un tè? La madre non c’è. Dov’è? Particolare trascurabile, procediamo pure con la sceneggiatura. L’atmosfera si fa intima, scoprono di essere due anime affini. Le mani nelle mani. Il bacio. Ma a quel punto al viso dell’attore si sovrappone quello del giovane supplente, i lineamenti si mescolano, Stavolta, l’orgasmo arriva pensando a lui.

 

Il giorno dopo, Piera, a scuola è più brillante del solito, gli alunni la ascoltano con maggior interesse. Al distributore automatico però il supplente non c’è. Non c’è nemmeno in bidelleria, nemmeno in presidenza. Piera gironzola con il caffè in mano, spargendo occhiate qua e là. Torna a casa solo un poco delusa. Di sera, dopo il libro e le preghiere, la sua ninnananna privata è tutta per il supplente. Quando lui le tocca il seno, un grosso fiore le sboccia nelle viscere.

 

Venerdì mattina. Finalmente.

Oggi c’è lui alla macchinetta del caffè. È di spalle, sta aspettando che il liquido finisca di scendere nel bicchierino.

Ciao, come va?

Lui si gira, un sorriso si spalanca sopra il foruncolo.

Bene grazie

Ieri non c’eri

Oh, per adesso ho solo la seconda e la terza ora del mercoledì e del venerdì.

Già, è vero. Che idiota.

Come ti trovi? Come va con i ragazzi?

Fa un po’ troppe domande inutili. Si sforza di mantenere un contegno. Si sente legnosa e noiosa. Meglio tacere.

La collega se ne va. Restano soli. Finiscono il caffè in silenzio. Lui le sorride, sorride sempre. lei ricambia imbarazzata e poi finge di essere molto occupata a guardare fuori dalla finestra. Per fortuna il caffè finisce. È ora di rientrare in classe

Ciao, buona lezione.

Ciao, grazie anche a te

A mercoledì.

A mercoledì.

Dopo la scuola oggi deve fermarsi a mangiare con le colleghe per discutere della maturità, Verso le quattro prende la macchina e va fare la spesa al centro commerciale.

Prima di superare l’isola delle informazioni e inoltrarsi fra le corsie dell’ipermercato, entra nel negozio di cosmetici low cost, gli smalti sono di tutti i colori, e poi ci sono i rossetti.

Posso aiutarla?

Stavo guardando. Vorrei provare un rossetto.

La commessa la consiglia, la trucca. Piera si guarda allo specchio. Sta proprio bene. L’ombretto fa brillare l’azzurro degli occhi e il rossetto le conferisce un’aria da signora elegante. Ne sceglie uno color ciclamino, poi prende uno smalto dello stesso colore, un fard compatto e una matita per gli occhi grigia.

Si fa prendere la mano, Piera, ed entra anche nel negozio di abbigliamento della grande catena spagnola. Rapporto qualità prezzo decisamente a sfavore della prima e tutto uguale dappertutto, in ogni negozio, in ogni città. Questa è la moda del post liberismo. Ma Piera non ci pensa. Non sa niente di moda, di accessori, di tendenze e poco di post liberismo. O quasi. Certo, i tagli alla scuola. Ma il suo livello di coinvolgimento non supera l'indignazione. E quel pomerggio, con la musica alta, lei si perde. Si sente invitata a provare i vestiti colorati, a fiorellini, con le maniche a sbuffo, la vita stretta, le camicette a pois, le gonne a balze. E si butta in questo carnevale. Alla fine, opta per uno scamiciato di viscosa a fiori azzurri, lei, che di solito mette solo pantaloni e camice da scout.

Mentre sta pagando, suona il cellulare.

Piera! È successo qualcosa?

No mamma… cosa c’è?

Sono le sei e dieci, ma dove sei…

Lo stomaco fa un balzo. In fretta, velocemente, trova una scusa.

Sono da…oh, mamma, accidenti, mi hanno trattenuto a scuola, c’è stato un problema, un ragazzo ha picchiato un’insegnante.

Non è da lei raccontare bugie, ma come fa a confessare di essersi dimenticata della messa per suo padre.

Fai in fretta, Piera, il don non può aspettare, quanto ci metti? Ma adesso dove sei

Sto arrivando, sto arrivando.

Paga e di corsa va verso la macchina. Il viaggio è un continuo ripetersi, sono una cretina, sono una cretina, papà scusami…

Arriva in paese, parcheggia ed entra trafelata in chiesa. La messa sta per finire. Sua madre, le donne, le chiedono cosa è successo. Lei è ancora tutta truccata, la guardano, si scambiano occhiate interrogative. A casa, sua madre la sgrida,

Ma cosa combini? C’era la messa per il papà, se non potevi, dovevi dirmelo, che figura che hai fatto. E non hai neanche fatto la spesa. Ma tu guarda.

Ascolta mamma, gli imprevisti possono capitare a tutti. Credi che io non sia dispiaciuta?

L'imitazione del tono seccato non è molto convincente. Mentre mangiano, prova a giustificarsi, meglio non insistere con la scemenza del ragazzo che ha pestato l'insegnante.

Mamma, sono stanca, è la fine dell’anno e io sono un po’ esausta, poi c’è la maturità. Lo sai che questo è sempre un periodo pieno.

Ma la madre, con la faccia nel piatto, continua a ripetere

Si, ma potevi dirmelo prima se non potevi.

Piera finisce di mangiare in silenzio, si alza, mette la fondina in lavastoviglie e accende la televisione.

A letto, Boezio resta chiuso sul comodino, le preghiere sono un po’ più lunghe, padrenostrocheseineicieli, avemariapienadigrazia, ogesùd'amoreacceso, l'eternoriposodonalorosignore. Spegne la luce, la mano esita, ma il pensiero del supplente ha il sopravvento. Si masturba pensando a lui che le entra dentro senza gentilezza. Non è una ninnananna, stasera niente storia, solo la scena di un amplesso senza coreografia, lui è un animale, questo giovane ragazzo, e lei ne è sopraffatta.

 

Fino a martedì, i giorni non sono che numeri sul calendario. Il desiderio del supplente germoglia e mette radici fra le sue gambe. Le sere, sono un’accanirsi furioso per far sfiatare la voglia che la satura. Di notte, fatica a prendere sonno. A volte ha caldo, si sente la febbre. Spesso, si addormeta appena prima che alle finestre appaiano striature di luce pallida. Martedì sera però tutto si ferma: studia il modo di incontrarlo, di parlargli. Mercoledì mattina si mette il rossetto nuovo, le alunne se ne accorgono, le dicono com’è bella prof! Arrivano le undici. Alle undici lui è lì, esattamente dove dovrebbe essere, sta parlando con la collega di italiano, si gira, la saluta e le offre un caffè, per ringraziarti della buona accoglienza ricevuta. Ia sua voce è aperta, amichevole. Lei si autorizza a essere loquace, un fiume in piena. Lui la ascolta mentre parla, ma poi squilla il cellulare. Pronto…fa un cenno con la mano, scusatemi, devo andare.

Tutto qua? Non era così che doveva andare. Ci resta male, ma si sforza di non darlo a vedere, neanche a se stessa.

I giorni che seguono sono una replica di attese, sogni romantici, fantasticherie, lacrime improvvise. Di notte si sveglia tutta sudata, le lenzuola sono un autodafè. Lei è una Giovanna visionaria che non si perdona di avere aperto questa porta maledetta. Saranno gli ormoni, la menopausa. Cerca una spiegazione organica alla sua irrequietezza, ma non serve a niente, non riesce proprio a non pensare a lui

Poi finalmente arriva venerdì.

Dopo una notte passata alternando il De consolatione all'autoerotismo, nel vano tentativo di prendere sonno, in classe Piera è distratta, confonde le date, i nomi.

Ragazzi, scusatemi, oggi non mi sento molto bene.

Sono le undici. Sta per vederlo. Si appressa all’angolo dove c’è il distributore. Deglutisce, lui è lì. Lei lo saluta, lo sguardo cede verso il pavimento. La mano trema, la moneta non entra e cade. Lui la raccoglie e gliela porge, lei arrossisce. La collega di italiano ci fa caso e accosta il bicchierino di plastica alle labbra sforzandosi di non ridere.

Allora, come va?

La voce stride un po', come il gracchio di un corvo.

Bene, si, mi trovo bene, i ragazzi sono attenti.

E oltre a insegnare, cosa fai?

Faccio trekking e poi aiuto la mia fidanzata nel suo studio tecnico, stiamo per sposarci. Lo dice guardandola dritta negli occhi, senza sorridere.

Piera è diventata sabbia di mare. Lui ha appena scavato una buca nel suo petto, come fanno i bambini sulla spiaggia, che poi ci versano l'acqua dentro, eccitati, solo per il gusto di provocare piccole frane.

Ma cosa si era immaginata, Piera, perché lui non avrebbe dovuto avere la fidanzata? E perché le ha detto che sta per sposarsi? È chiaro che ha voluto sottolinearlo, se no non mi avrebbe guardata in quel modo mentre lo diceva. Forse gli ho fatto capire che sono interessata a lui? Non può essersi accorto di niente. Da cosa avrebbe dovuto capirlo? O invece si, se ne è accorto?

Piera tenta di rimettersi insieme, almeno, esteriormente, si calcifica, si puntella, il suo turbamento non deve gridare, lo chiude dentro a un sarcofago. No, a una vergine di ferro. Che spiritosa, pensa tra sé di sé. Ma che fatica. E che vergogna.

Tutto a posto, Piera? Che maligna, la collega di italiano.

Lui saluta, arrivederci, e se ne va.

Ciao. Ora è tutta rossa.

Tornando in classe le viene in mente quella piccola gazza morta. Inciampa, perde un mocassino, si sporca la camicia e i pantaloni con il caffè. Il viso, ora pallido, è una maschera sbigottita. Prof, si è fatta male? Gli alunni la aiutano ad alzarsi e le offrono dei fazzolettini per asciugare le macchie. Dì pure addio alla tua dignità, Piera.

 

Tornando a casa, in macchina, la sonata in la minore di Bach. Ecco, si, riportami alla realtà, con le tue note tristi, di commiato. E mentre ascolta, la sua preghiera viene esaudita, la consapevolezza raggunge il suo cervello, niente fraintendimenti, nessun dubbio, speranza, promessa, illusione. Solo un bianchissimo nulla. Un crudele bel niente. I tigli sono nauseanti, sua madre è un'insopportabile arpia autoritaria, poteva prendersi lei, il buon Dio, e non il papà, perché non si è preso la mamma, che l'ha fatta diventare una zitella, una poveretta con gli ormoni imbizzarriti che le hanno dato alla testa, proprio a lei, che non ne sa niente della vita, che mai ne ha saputo niente, che non sa cosa sia l'amore, che ormai è tardi, che invece di sprecare i suoi anni sui libri, in compagnia di storici e filosofi tutti morti, solo per il gusto di essere la più brava di tutti, solo per fare contenta la mamma, perché suo padre faceva il contadino e sua madre non ha raggiunto la licenza media e lei giù a studiare e studiare e studiare e ancora solo studiare, avrebbe dovuto fare come tutte le altre, trovarsi un lavoro da commessa o in Comune, trovarsi un fidanzato, sposarsi, fare dei figli, avere una famiglia e così garantirsi il privilegio di potersi lamentare che il marito è stronzo, i figli disobbedienti, stronzi pure loro, la suocera invidiosa, la casa troppo piccola, le vacanze troppo corte, il lavoro un lavoro di merda, mentre invece è solo stata capace di arrivare a cinquant'anni ancora vergine, più che vergine, con le scalmane, con il cuore imploso, senza malizia, senza furbizia, per comportarsi come una povera scema, una pazza, per rendersi ridicola, un'idiota ignorante, goffa, incespicante, perché toccava a lei, unica figlia, riscattare l'ignoranza della sua famiglia, con obbedienza, devozione, ma adesso tutti mi rideranno dietro, i ragazzi poi, come faccio a tornare a scuola, dovrei cambiare scuola, dovrei cambiare paese, andarmene da questo buco schifoso che non mi ha mai dato nulla .. e Piera si striscia via il rossetto col dorso della mano; per toglierselo via se lo spande e poi col palmo cerca di pulire e peggiora la situazione e mntre reclina il deflettore per guardarsi la bocca che ora sembra divorata dai baci di un amante esce di strada e si immette nella corsia opposta. Il frontale con il suv è perfetto. Appena prima dello schianto, il suono isterico e prolungato di un clacson. Giusto il tempo di capire che è davvero troppo tardi, Oh, Piera.

© Giorgia Meriggi





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