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Per la stagione teatrale 2007/2008 il regista Massimo Castri ha messo in scena Le tre sorelle, uno degli ultimi drammi di Anton Cechov, autore che egli stesso ha definito “a rischio” per la particolarità dei suoi testi, designati come “punto di arrivo estremo del realismo ma anche suo superamento”. E la versione che ne ha reso Castri ha ridotto all’osso questo realismo, spogliando la scena, esasperando i silenzi, caricando i personaggi di un sottile strato di grottesco per metterne in evidenza l’inadeguatezza ad una realtà che essi vorrebbero cambiare ma che una sorta di accidia mentale impedisce loro di mutare. Le tre sorelle Prozorov, Olga, Mascia ed Irina, e il loro fratello Andrej, rifugiatisi in campagna in seguito alla morte del padre, vivono nell’attesa di potere ritornare a Mosca per nutrirsi di quel fervore intellettuale che in provincia non riescono a trovare. All’inizio la loro speranza è carica di vitalità, nutrono grandi progetti, nel lavoro e in una brillante carriera, e ne parlano con entusiasmo ai militari di stanza nel loro stesso paese, gli unici amici che frequentano la loro casa. Andrej culla il sogno di una cattedra all’Università ma, in un impeto di esaltata allegria chiede in moglie Natalja, una rozza fanciulla del luogo che in breve mostrerà la sua natura fatua, e per mantenere la famiglia accetta un modesto impiego al Consorzio. In breve si rende conto che la moglie lo tradisce ma finge di non sapere e continua a vivere nella finzione, difendendo con le sorelle l’onestà e la bontà di Natalja. Solo al vecchio Ferapont riesce a confidare la sua infelicità, ma questi è sordo e i suoi sfoghi cadono nel nulla. Mascia, moglie insoddisfatta di un professore di ginnasio, finisce per tradire il marito con il colonnello Versinin, infelicemente coniugato e padre di due figlie. Irina, la più giovane, accetta di sposare il barone Tuzenbach, che non ama, con la promessa di trasferirsi a Mosca. Ma proprio quando il sogno della giovane sta per farsi realtà il futuro sposo muore in duello. Intanto i militari devono trasferirsi e alla notizia Mascia cade in preda alla disperazione. Nulla di tutto ciò che i Prozorov hanno sognato si invera, resta l’eco di quelle parole più volte pronunciate: “A Mosca! A Mosca!”, come il triste ritornello di una canzone mai cantata. Dramma della quotidiana banalità della vita in cui si concentra l’attesa di ciò che non sarà mai raggiunto e che comunque si configura come unica risorsa umana, Le tre sorelle non è la tragedia di questo o quel personaggio, ma piuttosto la sostanza della tragedia che può essere la vita. Nello sfacelo dei Prozorov non c’è evento o personaggio dominante, ma una coralità di figure e di vicende minime raccontate nel monotono fluire dell’esistenza.
Tutti i personaggi del teatro di Cechov sono rappresentati nella loro esistenza minuta, vivono la solitudine e il fallimento. Deluso fino alla disperazione e al suicidio è Constantin ne Il gabbiano; disilluso è Zio Vania, amareggiate e vinte dalle trame di un’esistenza che non lascia scampo sono Elena e Sonia, l’una legata al vecchio e vanitoso Alessandro, l’altra vittima dell’egoismo del padre. E sconfitta è Ljuba de Il giardino dei ciliegi che vede sacrificato tutto ciò che le è caro: la casa, i ricordi, la famiglia, e soprattutto il giardino i cui alberi di ciliegio diventeranno il simbolo della tristezza e del rimpianto.
Anton Cechov, magistrale scrittore di racconti e drammaturgo di elevata statura, con Il giardino dei ciliegi completa la sua opera letteraria. Muore nel 1904, a quarantaquattro anni, mentre si trova a Badenweiler per tentare di curare la tubercolosi.
A cura di Anna Maria Bonfiglio
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