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19 ottobre
di Stefano Atzori
Pubblicato su SITO


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La mattina è fredda, illuminata da un pallido sole lassù nel cielo alla mia sinistra. La brina è visibile sull’erba ghiacciata ai bordi della strada. Metto in ordine i pensieri, la mia mente è confusa. 

Le colline spariscono alla vista,fugaci immagini che la velocità dell’auto fa scorrere sul finestrino. 

Quello che vedo è un paesaggio lunare, la vegetazione se ne è andata con gli incendi di questa estate. Il treno avanza sferragliando sui binari. Strana vita quella dei pendolari, vanno e vengono, avanti e indietro e così per una vita intera. 

Non mi guardo più indietro, la strada percorsa è ormai persa per sempre. 

Così arrivo a scuola in un attimo, giusto il tempo di pensare che un’altra emozionante giornata mi si presenta davanti. 

Sono stanco la notte precedente ho dormito poco inseguendo il filo lungo dei miei pensieri un po’ troppo ingarbugliato ultimamente. 

Mi parcheggio. Tutto intorno è una confusione  di voci e motori accesi, i genitori ti piazzano la macchina anche sotto il sedere se non stai attento.  

Attraverso in fretta il giardino. Sono in ritardo e non è una novità.   

Gli alunni sono lì che mi aspettano anche se al mio ingresso fanno finta di niente. Hanno facce buffe e sguardi svegli e furbi, la sanno più lunga di quanto tu possa immaginare.  

La solita frase: “Forza a posto, ragazzi” magari pronunciata con un po' di enfasi e tutti si siedono pronti per cominciare. La lezione solitamente piace, la lingua straniera riscuote sempre un certo successo. 

Stamattina però le cose non vanno come al solito, c'è qualcosa di strano nell'aria e percepisco una certa agitazione. E' successo qualcosa, lo capisco dagli sguardi un po' complici, un po' ammiccanti, lo capisco dalle parole pronunciate sottovoce e in assoluta clandestinità.  

Mi assale una irrefrenabile curiosità, ho una voglia matta di sapere che cosa si trama alle mie spalle, perché sicuramente di ciò si tratta visti i sorrisi che di tanto in tanto compaiono sulle loro labbra.

Ma faccio finta di niente,non voglio abboccare all'amo e mi appresto a fare lezione, se c'è qualcosa prima o poi salterà fuori. 

“Prendete il libro.....” 

“Grande o piccolo teacher?” chiede Giovanni 

“Pupil's book” rispondo .Avrei potuto dire “grande, grande...” come ho sempre risposto a tale domanda, ma sono un po' seccato: i segreti non mi piacciono. 

I bambini capiscono. Sono intuitivi, il loro inconscio si allarga a dismisura, colgono le variazioni di umore, le sottili sfumature della voce sono un campanello d'allarme. Sono squali alla ricerca di prede che percepiscono le vibrazioni dell'acqua a migliaia di chilometri di distanza.  

Tacciono e prendono il libro giusto. Faccio partire il cd. La lezione si snoda  seguendo il solito percorso: To Listen, To repeat, to speak , Ascoltare, ripetere, conversare.  

E' disgustoso. La lezione diventa una ripetizione asettica di suoni e parole. Non c'è emozione, non c'è partecipazione. E' un'aria fredda quella che si respira nell'aula. In ogni caso per oggi hanno finito di trastullarsi:devono partecipare ed in silenzio!. Due ore dopo nulla è saltato fuori,suona la campana della ricreazione e il fatidico “Goodbye”saluta la mia partenza..  

A casa non faccio altro che pensarvi. A tavola, davanti alla tv, col solito libro in mano che non riesco a terminare perchè troppo lungo e forse anche noioso. 

Sono un insegnante e sono diventato un tutt'uno con quell'edificio fatto di aule e corridoi che tutte le mattine accoglie le mie membra assonnate. 

Sono qui da poco, qualche mese, giorno più giorno meno. Insegno da cinque anni e e pensavo di averne visto abbastanza. ma non è affatto così. 

Qui infatti è diverso, l'ho capito subito. Dal primo Collegio dei docenti. Colleghi con i quali confrontarsi, spazi da gestire, genitori con i quali scontrarsi e soprattutto alunni da capire, da ascoltare, da stimolare e traghettare verso i primi porti dell'età adulta. 

Sto ancora studiando e temo che sarà così per tutto l'anno. Cerco  una chiave di lettura che mi permetta di capire questo mondo. Non mi stanco di osservare questo strano paese così vicino ed allo stesso tempo così lontano dalla città. Vi sono dei codici nascosti, intuibili appena nella normalità dei rapporti sociali che spiegano come delle matrici la generalità dei comportamenti umani. Ci sono vecchi retaggi, testimonianze di un tempo passato, finito, ma sempre vivo nella quotidianità, sempre presente nel pensiero collettivo della comunità. 

L'aggressività per esempio, è una costante tra paesani e ancor di più si manifesta nei confronti dei forestieri, come se ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo andasse interpretato  all'interno di un rapporto di forza che oppone due duellanti dove chi mostra per primo debolezza è irrimediabilmente sconfitto.  

Mi sono scontrato con i genitori, da subito, dopo appena una ventina di giorni  che la scuola era iniziata. Uno scambio di parole, duro, violento e soprattutto inopportuno. Nei corridoi della Scuola, durante l'ultima ora di lezione; aggiungete alla adrenalina, il nervoso e la stanchezza ed il gioco è fatto: un litigio in piena regola. Mi feci trascinare come uno stupido però, avrei dovuto stemperare i toni, avrei dovuto sdrammatizzare un po: l'ironia in questi casi funziona sempre. Qualche mese dopo fu la volta del padre di quell'alunno, la volta precedente infatti era stata la madre a venire a trovarmi, e andò decisamente meglio, ero preparato e affrontai la situazione nel migliore dei modi spegnendo sul nascere quel fuoco che il genitore era venuto ad appiccare. Lì ho capito che dietro quella apparente aggressività si cela una grande paura figlia forse di una grande insicurezza. 

I bambini però, se di bambini si può ancora parlare oggi in quinta elementare, sono intelligenti, vivi, giocosi. Sprizzano vitalità da tutti i pori, imbastiscono discorsi profondi, colgono il lato nascosto delle cose, hanno una sensibilità enorme. Quando entro in aula è come se sentissi un grande cuore che batte, le mura trasudano emotività, i sentimenti si fanno carne. E' un'esperienza inimmaginabile, che solo qui in questa scuola finora ho potuto cogliere. 

Ci penso e ci ripenso fino a convincermi di essere un po matto: come si può dare peso ad una cosa così ridicola? come si può convogliare tutta l'attività cerebrale di una giornata verso una cosa così futile? Forse è perché sono solo e non ho altro a cui pensare. Allora mi convinco che non è il caso di restare a casa, faccio il numero di sempre e chiedo a Sandro se ha voglia di fare due passi, lui mi risponde che si sta preparando per una serata galante e allora mi decido ad uscire da solo.

Le vetrine del centro commerciale sono tutte addobbate. Tutte colorate, ti invogliano a comprare anche se non hai soldi. Le guardo e tiro dritto, non ho un euro in tasca, ho lasciato volutamente il portafoglio a casa di modo chè la tentazione non mi assalga. Sono uno spendaccione e riesco sempre a comperare quello che non mi serve. Fa freddo, l'autunno è arrivato e la gente sfodera maglioncini e giubbotti. Siamo ad Ottobre e questo clima è giustificato. 

Cammino e cammino. Distendo i nervi e soprattutto non penso. Mi concentro sulle persone che incontro, ascolto frasi spezzate, incrocio sguardi. Sono ricchi di umanità i mercati del duemila.

Faccio un salto alla Feltrinelli, voglio vedere le ultime novità editoriali. Come sempre è pieno di gente; non è però la solita gente, qui si ha a che fare con intellettuali o presunti tali. Tra tutti quei volti sconosciuti, scorgo quello di Sandro. Sandro?! Ci rimango di stucco:Ma come non doveva prepararsi per una serata  galante?.Mi brucia e poi lo incontro e per giunta da solo?. 

Lui ancora non mi ha visto, è impegnato a cercare qualcosa, tra le offerte letterarie nostrane. Allora lo sorprendo alle spalle, e il tono è di quelli che non lasciano dubbi: “Grazie per la compagnia eh...” 

Lui diventa rosso e cerca di farfugliare qualcosa: “No è che....” 

“Ma non ti stavi preparando per una serata galante?” 

“No. Cioè si....” 

“Ma che hai?, ho interrotto qualcosa? sei solo?” 

“Si sono solo ma.....” 

Mi sembra di parlare con un mafioso:mezze parole, imbarazzo, voglia di dire e non dire.... . Capisco quasi subito di essere di troppo. Arriva Barbara: “Guarda Sandro, l'ho trovato!” grida e quando si accorge di me diventa viola. 

“Ah ciao....” dice con un filo di voce ed un imbarazzo immenso. 

Ora tutto è chiaro, tra i due c'è qualcosa di tenero ed essendo amici di lunga data vogliono tenerlo nascosto!.Io a quanto pare ho scombinato i loro piani. 

“Ciao Barbara!” dico e guardo Sandro in maniera complice. Sorrido. Lui subito si affretta a smentire, come da prassi. 

“No guarda , non è come pensi....” 

“Ma che dici, non penso a niente io. Mi facevo un giro e così per caso vi ho incontrato......” 

Barbara nel frattempo si è affrettata a rimettere il libro a posto. 

A me l'imbarazzo comincia a salire. devo trovare il modo di andarmene senza essere particolarmente scortese. L' educazione, la cortesia tutte cose imparate fin troppo bene purtroppo. 

Qualche volta un pizzico di istintività sana e maleducata non guasterebbe. 

“C'è troppa gente.....” dico. 

“Si oggi c'è tanta gente.” annuisce Barbara indicando la fila alle casse, “Io magari vado a pagare” dice poi salutandomi e allontanandosi. 

“Ti aspetto fuori” le dice Sandro. 

Usciamo assieme. Davanti a noi due auto fiammanti, sotto luci ben studiate. 

“Belle eh?”  

“Si, anche se di una macchina così non me ne faccio nulla...” rispondo.

“Beh comunque si tratta di auto bellissime...” 

Decido di tagliare corto, comincio a stufarmi di quel balletto di finte intenzioni. 

“Senti io devo andare, non voglio trattenerti di più visto che.....” 

“Visto cosa? guarda che ti sbagli!” Sandro inizia ad irritarsi. 

“Dai non c'è nulla di male, comunque poi se vuoi ne possiamo parlare.......” 

“Guarda che non c'è proprio niente da dire!” mi risponde lui sempre più alterato. 

A quel punto esce Barbara dalla libreria ed io ne approfitto per salutarli e levarmi dai piedi. Fossi 

rimasto solo un minuto di più e avremmo litigato. 

Faccio la strada a ritroso e salgo in macchina. 

“Una giornata da incorniciare!” penso e con un giro di chiave metto in moto. 

 

La sveglia suona alle sette, puntuale come sempre. Mi alzo stanco ed assonnato. Come tutte le mattine mi trascino in bagno e mi butto sotto la doccia e soltanto allora il mondo per me comincia a girare. 

Riesco a prepararmi a tempo di record dopo una colazione chilometrica.  

Alle otto sto uscendo, oggi stranamente sono in anticipo. Mentre varco la soglia il telefono squilla, è un messaggio: “Anche quest'anno ce l'hai fatta!” mi scrive Sandro. 

Guardo quel sms e mi chiedo cosa possa significare. Ma poiché non mi viene in mente nulla decido di non perdere tempo e salgo in macchina,un minuto dopo sono già in viaggio. 

I bambini, combuttano, si scambiano occhiate, si mandano messaggi!La stessa sensazione di ieri mi assale non appena entro. Stavolta però è più forte faccio fatica addirittura a farmi ascoltare. Quando li porto su, noto uno strano passaggio , un biglietto va di mano in mano e sparisce nelle tasche di Claudio che è il capo fila.  

“Adesso basta, voglio sapere!” penso. Raggiungo Claudio e gli chiedo che cosa nasconda nelle tasche del grembiule: 

“Avanti, fammi vedere cosa ti hanno dato “ gli dico indicando le tasche . 

Lui mi guarda con aria smarrita. E' in imbarazzo. Mi dice che non me lo può dire. 

“Ah è così?. Non me lo puoi dire? E' una cosa così importante?” 

“No ma non posso...io.....” 

“Va bene lascia stare, tanto prima o poi lo scopro!”  

Lui sorride e annuisce. 

Poggio la borsa sulla cattedra e prendo il registro. Mi accingo a fare l'appello e solo in quel momento mi accorgo che la classe è in silenzio. E' incredibile, non si sente una mosca volare.  

Li guardo e incontro le loro facce serie. Si direbbe che aspettino qualcosa!.  

Già, ma cosa?.Il mistero adesso davvero si infittisce. I loro sguardi però non tradiscono nulla, come pietre immobili e senza espressione. 

“Ma si può sapere che avete in questi giorni?” sbotto alla fine rivolgendomi a tutta la classe. Ma dalle loro bocche non un sibilo esce. 

IL cellulare squilla di nuovo: un altro sms!. Strano! Ho ricevuto più messaggi in queste due ore che in tutta la giornata di ieri. 

“Bah..lo guarderò dopo!” penso.

Va bene, cominciamo!”  

Apro l'armadio per prendere i libri. Uno strano pacchetto, proprio lì davanti , sopra il mio materiale fa la sua comparsa captando immediatamente la mia attenzione.  

“Cosa può essere? Chi lo ha dimenticato?” Non arrivo nemmeno lontanamente a pensare che possa essere per me. 

Nel frattempo i bambini hanno cominciato a cantare: “Happy birthday to you.....,Happy birthday to you.......” 

Mi volto e a quel punto tutto diventa più chiaro; riesco finalmente a svegliarmi dal torpore che mi aveva annebbiato il cervello. 

“Caspita, oggi è 19!” dico a voce alta.

Il pensiero è per me! Apro il pacchetto ed un grazioso bracciale salta fuori. Si avvicina Claudio e mi porge una piccola busta azzurra: “Mi scusi ma non ho fatto a tempo a metterla insieme al regalo!”mi dice. 


Tanti auguri 

caro maestro. 

37 anni 

sono tanti ma li porti bene!. 

 

Mi commuovo. E' tale la sorpresa che a stento trattengo le lacrime. Loro intanto applaudono. Riesco a vederli tutti; è un campo lungo, una carrellata della cinepresa che coglie ogni attimo ed ogni umore. E' un'immagine indelebile che non mi abbandonerà  più.  

“Ma come si fa a dimenticarsi del proprio compleanno?. Ho passato momenti davvero difficili quest'anno.... nessuno si è ricordato di me! Nessuno o quasi...” penso guardando i miei alunni. 

A quel punto mi ricordo del messaggio e prendo il cellulare: 


Tanti auguri vecchietto! 

stasera non mancare 

abbiamo prenotato in pizzeria 

uff...  a momenti ieri ci rovinavi la sorpresa 

stavi per vedere il regalo! 

Ci sentiamo questo pomeriggio 

un bacio Barbara. 

 

© Stefano Atzori





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