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Il canyon delle ombre
Di Clive Barker

a cura di Giorgio Nebuloni


Sonzogno 2003
Tascabili Narrativa
Pgg. 640 euro 5.95
ISBN 8845424618

Un attore belloccio dei nostri giorni alle prese con la mezza età e una conseguente malriuscita operazione di chirurgia estetica proprio dove non ci si può permettere di imbruttire: la faccia. Un'attrice degli anni venti,
bellissima, straniera e in sostanza psicotica. Un'abbazia rumena che in realtà è un castello maledetto. Un dipinto vivente su cui collassato una leggenda rurale e gli orrori ed i peccati dell'umanità intera. Il Diavolo, sua moglie e suo figlio. La vita sciatta di una generosa e mediocre casalinga capo-fanzine che di colpo cambia piega. Una donna fredda che è la caricatura dell'agente cinematografico. E poi intrappolamenti temporali, orge spettrali, vecchie dicerie sulla Hollywood di Rodolfo Valentino, il mito dell'eterna giovinezza, l'ossessione per il sesso e il potere.
Clive Barker riesce a mettere insieme tutto questo in un libro di 600 pagine e lo fa con la leggera sicurezza che da sempre lo contraddistingue, senza tentennamenti e senza farti staccare l'occhio dalla pagina. Il romanzo di Barker - anche qui: come al solito - offre al lettore ampia scelta: ci si può compiacere delle sue fissazioni per l'oscuro legame tra morte e assenza di limiti morali, oppure si può gustare in tranquillità il finale manieristico agrodolce, perdersi nella narcisistica descrizione del paese del diavolo, gioire per la vendetta dei colpevoli-vittime sul colpevole-carnefice. Alla fine del romanzo ci si sente soddisfatti, divertiti e un po' anche orgogliosi di sé stessi. Tutto è andato come doveva andare e come ci si aspettava che andasse, il canone dell'horror di stile a cui Barker ci ha abituato non viene di certo tradito, né la qualità risente dell'ennesima riproposizione di motivi già visitati. Se si vuole muovere un appunto è proprio l'assenza di guizzo, del lampo di improvvisazione che ribalti i cliché a costituire la pecca del romanzo. Non è che il materiale in blocco sia banale o che dia l'impressione di essere una mera ribollita al solo scopo di vendere qualche copia. In effetti cinematograficamente parlando ci sono una manciata di scene di netto impatto - ad esempio la trovata del dipinto-stanza che conduce in un'altra dimensione morale e spaziale, o la morbosa e compiaciuta (e anche piacevole, lo ammetto) orgia di spettri - e ciò testimonia decisamente a favore dell'impegno dell'autore. Eppure, anche se si riesce mai a risalire ad un preciso modello originario (che sia l'intera cultura horror-mystery americana?), tutto dà l'impressione di essere familiare, a partire dal riscatto della brutta ma generosa protagonista passando per i mostri innocenti figli dei peccati altrui, i personaggi deboli trascinati nel vortice di morte e la classica donna-vampiro fatale (benché non si parli mai di vampiri, non in senso stretto) fino al prevedibile finale catastrofico. In una parola, manca il colpo di coda e il ribaltamento di uno schema tematico che sia uno, si tratti del Cattivo (Produttore Cinematografico) Che Viene Punito o dello Sberleffo Al Mondo Patinato Di Hollywood.
Ma stiamo parlando di finezze e forse è tutta colpa dei gusti eccessivamente pretenziosi del lettore sottoscritto. (GN)



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