Ci
sono luoghi dell'immaginario, della memoria,
del fantastico che fanno ormai parte del nostro
patrimonio culturale, luoghi forse diversi attualmente,
cambiati dalle attività antropiche ma
che conservano intatti il fascino proprio di
chi li ha cantati in poesia e prosa. E' il caso
delle Langhe, quelle di Cesare Pavese, presenti
ne "La luna e i falò" in particolare
ma anche prepotentemente in "Feria d'agosto"
..
Proprio ne "La luna e i falò"
respiriamo appieno l'atmosfera delle verdi colline
delle Langhe, della "Gaminella" che
ne è protagonista, scenario di avvenimenti
ma anche e soprattutto luogo "mitico"
di iniziazioni, di passione e di morte, luogo
in cui vivono uomini come Nuto, il vate, il
saggio narratore di storie, uomo ancorato alla
terra, alla natura ed alla famiglia.
Una domenica di sole fa da sfondo alla nostra
visita alla casa-museo di Pavese, proprio qui,
tra le vigne del Salto e la famosa Gaminella,
in località Santo Stefano di Belbo. Troviamo
il museo chiuso per restauri, è un casolare
trascurato, rosso mattone che si affaccia sulla
strada, dall'aria malinconica e silenziosa;
proprio accanto è nato un ristorante-enoteca
dal nome suggestivo, l'Osteria dal "Gal
Vestì".
Decidiamo di fermarci a pranzo ma prima respiriamo
appieno l'aria profumata dei primi alberi in
fiore sparsi tra le vigne di queste colline.
Non si può fare a meno di ricordare le
parole di Pavese, sempre da "La luna e
i falò":
"La collina di Gaminella, un versante lungo
e ininterrotto di vigne e di rive, un pendio
così insensibile che alzando la testa
se ne vede la cima, e in cima, - chi sa dove,
ci sono altre vigne, altri boschi, altri sentieri
- era come scorticata dall'inverno, mostrava
il nudo della terra e dei tronchi. La vedevo
bene nella luce asciutta, digradare gigantesca
verso Canelli dove la nostra valle finisce.
Dalla straduccia che segue il Belbo arrivai
alla spalliera del piccolo ponte e al canneto.
Vidi sul ciglione la parete del casotto di grosse
pietre annerite, il fico storto, la finestretta
vuota e pensavo a quegli inverni terribili
".
Ora le colline sono nella delicata fase di transizione
verso la Primavera, si insinua prepotente la
vita nei filari di vigne e sulle chiome degli
alberi ma non è difficile immaginare
questi paesaggi, sferzati dalla durezza invernale
oppure, per contrasto, nell'accecante sole del
"meriggio" pavesiano.
E' infatti soprattutto nella luce indolente
del mezzogiorno che Pavese colloca il mondo
primordiale delle campagne, delle Langhe, queste
colline in cui la Natura esprime la propria
forza travolgente, il richiamo al mito, al selvaggio
in contrasto con l'immagine della città
che rappresenta l'ordine ma anche la possibilità
di riscatto, di guardare "oltre" le
colline e quel mondo anche brutale. Denominatore
comune dei molti romanzi dell'autore è
infatti la visione propria dell'uomo di città
nei confronti del "selvaggio". Esso
costituisce richiamo ancestrale, in grado di
assorbire il singolo nella sua individualità,
connesso irrimediabilmente all'idea di campagna.
Ecco, dunque, nella nostra passeggiata, emergere
con prepotenza il carattere incontaminato e
appunto "selvaggio" del paesaggio
delle Langhe, immerse nel sole del meriggio
nel quale è facile respirare e ritrovare
le tracce del mito. Quindi Eros e Tanathos,
amore e morte, contrapposizioni intrinseche
nell'elemento naturale, pervadono la Natura
e rendono aspro, e allo stesso tempo, dolce
abbandonarsi ad essa, alle sue leggi immote.
Ne "Dialoghi con Leucò" Pavese,
sorprendentemente affronta tematiche filosofiche
proprie del mito trasponendovi propri passaggi,
anche autobiografici, proprie angosce e nevrosi:
la spiritualità, la divina indifferenza
per la sorte degli uomini, la disperazione propria
dell'amore (rapporto con l'altro sesso in "Schiuma
d'onda") e come appunto nei miti greci,
al di sopra anche degli Dei dell'Olimpo è
collocata proprio la Natura, principio cardine
del divenire, elemento base al quale anche gli
Dei sono sottoposti.
Per l'approfondimento citiamo l'articolo di
PierPaolo Pracca "Il meriggio nell'opera
letteraria di Cesare Pavese" sul sito della
rivista Airesis (www.airesis.net), proprio dedicato
al tema del meriggio e al complesso mondo filosofico
pavesiano, illuminante per approfondire la visione
del tema meridiano.
In una poesia tratta dalla raccolta "La
terra e la morte" è evidente lo
straniamento, la visione di una terra aspra,
quasi nemica, che si ricongiunge, però,
al discorso sul mito nella visione del falò,
rito propizio, preparatorio per la nuova fecondità,
quindi creatore di distruzione ma anche di nuova
linfa vitale:
"C'è una terra che tace
e non è terra tua
C'è un silenzio che dura
sulle piante e sui colli.
Ci son acque e campagne.
Sei un chiuso silenzio
Che non cede, sei labbra
E occhi bui. Sei la vigna.
..
E' una terra cattiva
La tua fronte lo sa.
Anche questo è la vigna.
Un acceso silenzio
brucerà la campagna
come i falò la sera."
La necessità del richiamo a questi luoghi
per l'autore, nonostante le lusinghe del "partire",
dell'abbandono del Paese natio, è evidente
sempre ne :"La luna e i falò"
dove si dice che :"Un paese ci vuole, non
fosse per il gusto di tornarci. Un paese ci
vuole, non fosse per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che
nella gente, nelle piante, nella Terra c'è
qualcosa di tuo, che quando non ci sei resta
ad aspettarti
".
Il partire per poi ritornare, la delusione per
un passato che è impossibile recuperare,
quindi lo sradicamento da un Paese che perdura
nel cuore ma non può più accogliere
come nido, come luogo dell'anima, si unisce
quindi alla nostalgia, al rimpianto per una
vita segnata dal richiamo delle città
e dell'esotico (spesso è l'America a
rappresentare ciò) ed è elemento
caratterizzante molti personaggi dei romanzi
dell'autore.
Ci ritroviamo alla fine del cammino di fronte
alla lapide - monumento di Cesare Pavese, poco
distante dalla casa natia; si tratta di un piccolo
cimitero, raccolto come tanti da queste parti,
persi tra le colline. Nell'aria uno strano silenzio
immerso nel sole, le poche persone che visitano
il cimitero sono assorte, quasi dimentiche del
tempo che in effetti qui è sospeso.
Il primo pensiero che ci coglie è che
Pavese con la sua opera, la sua vita ed anche
la sua fine sia riuscito davvero a realizzare
ciò che proferiscono i suoi personaggi
circa il "Paese a cui ritornare",
a tornare quindi in questi luoghi, a cantarli
nella loro verità profonda, smascherandone
la bellezza e la ferocia, ad abitarli, così,
per sempre.
A cura di Francesca Lagomarsini
francesca_lagomarsini@yahoo.it
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