Chi è Paolo Messina?
Paolo
Messina è nato il 2 Gennaio
1923 a Palermo, dove tuttora vive. Durante
la Seconda Guerra Mondiale è stato
ufficiale pilota. Al ritorno in Sicilia,
alla fine del 1943, egli votò tutto
se stesso alla poesia e al teatro. Fu
membro del Gruppo Alessio Di Giovanni,
ed ebbe parte di preminenza nel Rinnovamento
della Poesia Dialettale Siciliana nella
decade tra il 1945-55. E autore
delle seguenti opere teatrali: Il muro
di silenzio, 1959; Il progetto, 1964;
Le ricamatrici, 1968; Ypocritès,
1970; Le isole, 1971; Armonia delle sfere,
1985; di queste Il muro di silenzio e
Le ricamatrici tradotte in diverse lingue
e rappresentate da importanti compagnie.
Ha raccolto le sue poesie dialettali scritte
tra gli anni 1945-55 nel volume titolato
Rosa fresca aulentissima, 1985. Ha altresì
pubblicato parecchi saggi, tra i quali:
La nuova scuola poetica siciliana, 1985,
Puisia siciliana e Critica, 1988, Lessere
della poesia, 1990, Del Sonetto, 2000.
Ura ca passaSi chiantu
è stura
ca passa e mi punci
iu macquazzinu di tempu.
Si junci
vuci pi stàspiri
praj senza ciuri
mi ridi la luna
e mi vesti di biancu.
E zichi zachi dumbri
ariu di notti
cu passu derva
arrassu
portu li giumma
dun abitu dimisu
n contraluci.
Aspettu dessiri iu
Nun ti pensu, jurnata
gricia
ca mafferri
cu fili di trammi
nturciuniati a li campani
e denti amari nni la vuci.
Aspettu ca la sira saddinocchia
supra làstrachi
e mi rispira vicinu
na vulata daceddi.
Aspettu dessiri iu
pi jisari li vrazza
e tèniri lu celu
supra tutti li frunti
stanchi di sti nòliti.
E vuci aperta
chiavi di ciarmu
scriviri nni la manu addummisciuta
di lu silenziu
lura ca di sempri
va sunannu pi mia
a lu roggiu addumatu di la luna.
|
"Avia vintanni quannu mi nnamurai
da puisia. Fici a guerra vulannu pi sti
mari mari e avennu liggiutu ( n tidiscu
) u Faust di Goethe e i Reisebilder di Heine,
picchì mi mpristò Heinz,
un amicu pilota da Luftwaffe. È
curiusu, però, cô primu antifascista
ca ncuntrai fu un picciottu tidiscu e mi dicia:
Ohne Freiheit, keine Dichtkunst: senza libirtà,
nenti puisia. Abbasta, comu marricampai
( dicèmmiru 1943 ) cca ceranu lAmiricani
e la libertà. E fami. A genti, pi manciari,
si vinnia tavuli e trispita , fiuramuni
i libra: vecchi, sfardati, ammunziddati n
terra: e iu piscava dda menzu. Accussì
mi capitò n manu pi cumminazioni
Mallarmé ( n francisi sta vota
), e chi fu: tuttu nsemi iu mi fici scenti di
dda frasi di Heinz: da libertà
dessiri pueti, artisti, patruna di sdirrupari
un munnu cun ni piaci e nvintarinni unu
a nostru piaciri. Mi mancava però a lingua.
U talianu era scumunicatu, grèviu o ritoricu,
sunava fausu. Anzina a quannu un mi ficiru a
canusciri ( autunnu, nvernu du 44 ) na
maniata di pueti ca ricitavanu versi n
sicilianu ni lAula Gialla du Pulitiama
di Palermu. Accussì fu ca ntisi,
ma comu si fussi a prima vota, sta lingua siciliana.
Pricisa, nova, pi mia, comu savissi nasciutu
ora ora."
Così Paolo Messina, in Puisia Siciliana
e Critica del 1988.
A Palermo, prima che terminasse il 1943, Federico
De Maria venne a trovarsi a capo di un nucleo
di giovani poeti dialettali: Ugo Ammannato,
Miano Conti, Paolo Messina, Nino Orsini, Pietro
Tamburello, Gianni Varvaro, e nellOttobre
1944 venne fondata la Società degli Scrittori
e Artisti di Sicilia, che ebbe sede nellAula
Gialla del Politeama, e in primavera, allaperto,
nei giardini della Palazzina Cinese alla Favorita.
"Tra la fine del 43 e linizio
del 44 - scrive ancora Paolo Messina nel
saggio la nuova scuola poetica siciliana, del
1985 - la guerra continuava, e doveva continuare
ancora per un anno. Risaliva la penisola, e
in Sicilia per primi avevamo respirato, lacre
pungente ciauru della libertà, mentre
il quadro prospettico del mondo già mutava
radicalmente. Da qui lesigenza di rifondare
non solo la società civile, ma anche
il linguaggio. Nel 1946, alla scomparsa di Alessio
Di Giovanni, quel primo nucleo di poeti che
comprendeva le voci più impegnate dellIsola
prese il nome del Maestro e si denominò
appunto Gruppo Alessio Di Giovanni. Occorre
però dire che non ci fu un manifesto,
né lausilio di un apparato critico,
né un riscontro adeguato sulla stampa".
Ed enuncia i tre capisaldi programmatici del
Gruppo Alessio Di Giovanni:
1.Lelaborazione e ladozione di una
koiné siciliana -
2.La libertà metrica e sintattica a vantaggio
della forza espressiva ma in una rigorosa compagine
concettuale e musicale ( di valori fonici, timbrici
e ritmici ) -
3.Lunità di pensiero, linguaggio
e realtà ( che doveva o avrebbe dovuto
garantirci una visione prospettica siciliana
della vita e dellarte ).
In un articolo su La Sicilia di Catania, datato
3 Aprile 1986, tuttavia specifica: "Aldo
Grienti, ancora ventenne, non esitò a
pubblicare sui fogli letterari catanesi Torcia
a ventu e La Sorgiva ( 1946-1947 ) i primissimi
esiti artistici che avrebbero rivoluzionato
il modo di poetare in Sicilia. E non inganni
la modestia tipografica di quelle pubblicazioni,
poiché dalle loro pagine provinciali
i testi più significativi dovevano confluire,
nel volgere di pochi anni, sulla più
qualificata rivista romana Il Belli, diretta
da Mario DellArco e curata da Pier Paolo
Pasolini."
Sul versante ionico, nella Catania del 44,
il gruppo di cui Salvatore Camilleri era lanimatore:
Mario Biondi ( nella cui sala da toeletta di
via Prefettura si tenevano gli incontri diurni,
mentre di sera li attendeva il salotto di Pietro
Guido Cesareo, in via Vittorio Emanuele 305
), Enzo DAgata, Mario Gori ed altri già
appartenenti allUnione Amici del Dialetto,
si ribattezzò ( dietro suggerimento di
Mario Biondi ) Trinacrismo.
"Il dialetto - dichiara Paolo Messina
su la nuova scuola poetica siciliana -era per
noi un modo concreto di rompere con la tradizione
letteraria nazionale, per accorciare le distanze
dalla verità. Naturalmente, eravamo consapevoli
dei rischi dellopzione dialettale, che
se da un lato ci portava alla suggestione della
pronunzia, dallaltro restringeva alla
Sicilia il cerchio della diffusione e della
attenzione critica. Ma in compenso ponevamo
laccento sullispirazione popolare
del nostro fare poesia, che doveva farci cantare
con il popolo che per noi era quello siciliano,
come siciliano era il nostro punto di vista
sulla nuova società letteraria nazionale.
Ed ecco la nozione dellimpegno ( che non
ammette - preciserà in altra occasione
- alcuna dipendenza politica, ma punta direttamente
sulluomo e sulla lotta delluomo
per uscire da una condizione disumana ), impegno
inteso allora come partecipazione, anche coi
nostri atti di poesia, alla costruzione di una
società libera e giusta, cosciente ormai
di potere progredire solo nella pace e nella
concordia fra i popoli".
"Il dialetto - riprende sul pezzo in memoria
di Aldo Grienti, pubblicato nel Febbraio 1988
a Palermo sul numero zero di quello che fu leffimero
ritorno ad opera di Salvatore Di Marco del po
tù cuntu - non era più portatore
di una cultura subalterna , ma
si era innalzato alla ricerca di contenuti
( e quindi di forme ) su più vasti
orizzonti di pensiero. Sicché la poesia
siciliana toccava il punto di non ritorno, aboliva
ogni pregiudiziale etnografica, pur restando
( linguisticamente ) siciliana."
"I maestri preferimmo andarceli a cercare
altrove e ricordo che si parlava molto della
poesia francese, da Baudelaire a Valéry,
e delle avanguardie europee. Circolava di mano
in mano un vecchissimo volumetto delle Fleurs
du mal, che credo fosse di Pietro Tamburello,
il più informato allora, fra noi, sulla
poesia straniera".
"Un poeta, noi pensiamo - aveva detto tra
laltro in museo etnografico ( un pezzo
non firmato del 31 Maggio 1954 ma, sostiene
Salvatore Camilleri, sicuramente di ) Pietro
Tamburello - comunica coi mezzi che egli crede
esteticamente più idonei alla liberazione
del canto. Noi vagheggiamo un ideale museo ove
riporre definitivamente i tardi epigoni del
Meli e dello Scimonelli, i rapsodi dun
inverosimile mondo pastorale, i beati menestrelli
di una Sicilia convenzionale e manierata e tante
brave persone che professano critica letteraria
e non sanno distinguere fra la melensa faciloneria
dei loro compagni di museo e la consapevolezza
di chi affida al linguaggio del focolare i propri
sentimenti, il suo pensiero e le sue fantasie,
solo per una esigenza spirituale che si può
discutere ma non ignorare. In questo museo delle
idee sbagliate non può mancare quella
di chi considera il poeta siciliano un complemento
del folklore locale, quasi una curiosità
paesana da offrire ai visitatori insieme al
carrettino, alla brocchetta e al paladino di
Francia impennacchiato."
"Io - soppesa Salvatore Camilleri - intendevo
rinnovare la poesia dallinterno, per evoluzione
spontanea del siciliano, attraverso le fasi
ineluttabili del processo di sviluppo linguistico;
Paolo Messina pensava di dare subito un taglio
netto al passato, e lo diede. Il motivo dei
nostri diversi atteggiamenti sta nel fatto che
io avevo prima letto Croce e poi i simbolisti,
Paolo aveva letto prima i simbolisti, poi Croce."
"A nostra puisia - attesta Paolo Messina
in Puisia Siciliana e Critica - canciò
strata picchì si livò u tistali
di tradizioni pupulari".
Nel 1957 Aldo Grienti e Carmelo Molino furono
i curatori della Antologia POETI SICILIANI DOGGI,
Reina Editore in Catania. Con introduzione e
note critiche di Antonio Corsaro, essa raccoglie,
in meticoloso ordine alfabetico, una esigua
quanto significativa selezione dei testi di
17 autori: Ugo Ammannato, Saro Bottino, Ignazio
Buttitta, Miano Conti, Antonino Cremona, Salvatore
Di Marco, Salvatore Di Pietro, Girolamo Ferlito,
Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino,
Stefania Montalbano, Nino Orsini, Ildebrando
Patamia, Pietro Tamburello, Francesco Vaccaielli
e Gianni Varvaro. Ma già prima, nel 1955,
con la prefazione di Giovanni Vaccarella, aveva
visto la luce a Palermo lAntologia POESIA
DIALETTALE DI SICILIA. Protagonisti il Gruppo
Alessio Di Giovanni : U. Ammannato, I. Buttitta,
M. Conti, Salvatore Equizzi, A. Grienti, P.
Messina, C. Molino, N. Orsini e P. Tamburello.
Le due sillogi, che ebbero al tempo eco nazionale
( il poeta e critico romagnolo Giuseppe Valentini
sulla rivista Il Belli - fascicolo n° 2,
Luglio 1955 - rilevò: "Il dialetto
siciliano fa pensare, delicato e ricco comè,
al frusciar di una mano giovane su di un arcaico
velluto" e una recensione a cura di Paolo
Messina apparve in data 21 Maggio 1955 su Il
Contemporaneo di Roma ), sono state antesignane
del Rinnovamento della poesia dialettale siciliana.
"Oggi la poesia dialettale - scrive tra
laltro Giovanni Vaccarella nella prefazione
a POESIA DIALETTALE DI SICILIA - è poesia
di cose e non di parole, è poesia universale
e non regionalistica, è poesia di consistenza
e non di evanescenza. Lontana dal canto spiegato
e dalla rimeria patetica, guadagna in scavazione
interiore quel che perde in effusione. Le parole
mancano di esteriore dolcezza e non sono ricercate
né preziose: niente miele e tutta pietra.
Il lettore di questa poesia è pregato
di credere che nei veri poeti loscurità
non è speculazione, ma risultato di un
processo di pene espressive, che porta con sé
il segreto peso dello sforzo contro il facile,
contro lovvio. Perché la poesia
non è fatta soltanto di spontaneità
e di immediatezza, ma di disciplina. La più
autentica poesia dei nostri giorni è
scritta in una lingua che parte dallo stato
primordiale del dialetto per scrostarsi degli
orpelli e della patina che i secoli hanno accomunato,
per sletteralizzarsi e assumere quella condizione
di nudità, che è la sigla dei
grandi."
"I dialettali - osserva Antonio Corsaro,
in prefazione a POETI SICILIANI DOGGI
- non sono mai stati estranei alle vicende della
cultura nazionale, anche se, disuguale è
il loro piano di risonanza. Nellambito
di una lingua, per dire, ufficiale, che assorbe
e trasmette tutte le vibrazioni di unepoca,
il dialetto si presenta come una fuga regionale.
Ma in un periodo come il nostro che nella poesia
ha versato gli stati danimo, lessenza
umbratile e segreta dello spirito attraverso
un linguaggio puro da ogni intenzione oratoria,
i poeti dialettali si trovano nella identica
situazione dei loro compagni in lingua, senza
che neppure la difficoltà del mezzo espressivo
costituisca ormai una ragione valida di isolamento.
Tanto più che i nostri lirici in dialetto
sono già arrivati a un tal segno di purezza
e a una tale esperienza tecnica da non avere
nulla da perdere nel confronto con i lirici
in lingua. Anzi, in un certo senso, i dialettali
ne vengono avvantaggiati per luso che
possono fare di una lingua meno logora, attingendola
alle sorgenti che lusura letteraria suole
meglio rispettare."
Nel 1959, nel saggio titolato alla ricerca del
linguaggio, Salvatore Camilleri considera: "Si
cerca di restituire alla parola una sua originaria
verginità fatta di senso e di suono,
di colore e di disegno, ricca di polivalenze.
E una continua ricerca di esperienze formali,
in cui lanalogia gioca la parte principale
nel creare situazioni liriche e contatti tra
evidenze lontanissime. Qualcosa si è
fatto veramente poesia, poesia siciliana, cioè
sentita ed espressa sicilianamente, con immagini
siciliane oltre che con parole. Il fatto strano,
fuori dalla logica progressione delle cose,
è che la rivolta è nata di colpo,
sulle esperienze altrui ( italiana, francese
etc. ) e non sullesperienza siciliana."
E puntualizza: "La parola, nel contesto
poetico, liberata dalle sue incrostazioni, ha
perduto parte del suo significato semantico,
acquistandone uno meno deciso, legato alla sua
posizione, logica e fonica: quello analogico,
limmagine si è liberata dalloggetto,
risolvendosi nel simbolo, senza però
mai sganciare la realtà dallordine
oggettivo, laggettivazione ha subito una
stretta e diviene ricerca e approfondimento
del lessico, ( si tende ) ad umanizzare gli
oggetti, dando ad essi le emozioni degli uomini,
a trasfigurare la realtà e trascenderla
sempre."
Poeti Siciliani Doggi "fu il libro
- asserisce in seguito Camilleri, in prefazione
a Poeti Siciliani Contemporanei del 1979 - che
mise definitivamente una pietra sul passato.
Le idee si erano fatta strada, avevano raggiunto
i poeti in ogni angolo della Sicilia, anche
i più solitari, i meno propensi a mutar
pelle, e li avevano costretti a ragionare; e
così, nellansia polemica del rinnovamento,
alleccessivo sperimentalismo formale e
al gusto funambolico dei più avanzati
seguì labbandono dellottava
e del sonetto, divenuti solo strumenti propedeutici;
a un più deciso lavoro sulla parola e
sulla metrica seguì, da parte anche dei
più retrivi, il rifiuto dei moduli tradizionali.
Da questo travaglio, dai più avanzati
che volevano romperla totalmente con il passato,
ai moderati che volevano innestare le nuove
idee nellalbero della tradizione, nacque
la poesia siciliana moderna".
Paolo Messina vi è presente con quattro
componimenti: ASPETTU DESSIRI IU, RISPIRU
DUN CIURI, ÀRBULU, PRIMU DI MAIU.
Antonio Corsaro così si pronuncia: "Paolo
Messina risolve i problemi di natura più
strettamente sociale scaturirti dalla situazione
postbellica e le rivendicazioni di un ambiente
mal retribuito in una lirica sofferenza, piena
di umana verità. Lesercizio della
critica aiuta anche lui a liberare il verso
da ogni retorica e conferirgli quellequilibrio
che è prova di onestà estetica.
( Egli ) fiuta in questa sua terra tutta siciliana
la parola schietta, ama innesti imprevedibili,
al fatto quotidiano o al costume sovrappone
una cultura di buona lega. Ma è nella
visione, in certa magia di rapporti che la sua
sensibilità si conquista il posto migliore."
Il rinnovamento della poesia dialettale siciliana,
la stagione tra il 1945 ( "Abbiamo la data
dellinizio del movimento rinnovatore -
ce la segnala Paolo Messina nel citato pezzo
in ricordo di Aldo Grienti - quella del Primo
raduno di poesia siciliana svoltosi a Catania
il 27 Ottobre 1945" e il nome del "linnovatore
- che asserisce nel numero di Gennaio-Febbraio
1989 di Arte e Folklore di Sicilia di Catania
Salvatore Camilleri - fu Paolo Messina"
) e la metà circa degli anni Cinquanta,
stagione allora segnata dal movimento di giovani
poeti dialettali palermitani e catanesi - fu
rinnovamento fondato sui testi e non sugli oziosi
proclami, sugli esiti artistici individuali
e non su qualche manifesto.
La Storia, è assodato, non è
fatta coi se e coi ma. Ma se alcuni anni dopo,
su quelle ceneri evidentemente non ancora del
tutto spente, fosse stato portato a compimento,
come del resto per qualche tempo nel 1968 fu
nellaria, il progetto di una nuova Rivista
di cui Paolo Messina era stato incaricato di
assumere la direzione, chissà
Riportiamo, di seguito, larghi estratti delleditoriale
( inedito ) del primo numero di KOINÈ
della nuova poesia siciliana, rivista che avrebbe
dovuto promuovere studi intorno alla storia
e alla critica della poesia siciliana, il cui
debutto avrebbe dovuto registrarsi a Palermo,
nei mesi di Maggio-Giugno 1969. Appunta Paolo
Messina:
"Intorno agli anni Cinquanta, a cura di
un gruppo di poeti dialettali siciliani ( il
Gruppo Alessio Di Giovanni ),
usciva un opuscolo fuori commercio contenente
alcune liriche aggiornatissime
che avrebbero dovuto siglare, nelle intenzioni
almeno del prefatore, una svolta in senso letterario
di quelle attitudini metriche e velleità
federiciane. E poiché alcuni di noi fummo
del gruppo che, occorre dirlo, non si configurò
in chiave di omogeneità né di
agguerrita faziosità intellettuale, tornando
a un simile approdo con il carico di personali
e complesse esperienze culturali, traumatizzati
dallarida melopea della società
dei consumi, pur affidando quellepisodio
ai flutti obliosi dellemerografia locale,
non possiamo più oggi prescindere da
un impegno nel presente storico,
il che introduce inevitabilmente rischi, azzardi
e responsabilità, ma postula innanzitutto
laperta condanna di ogni ipocrisia intellettuale
e ladozione del poetare come espressione
di un più alto grado di libertà.
Può a tutta prima sembrare una richiesta
eccessiva per una poesia che la tradizione critica
e letteraria continua a definire dialettale
nel senso di un suo peculiare carattere
di minorità , ma la questione
va oggi posta in termini di scelta motivata:
o dal bisogno quasi fisiologico di un canto
purchessia ( e ciò sarebbe un ricadere
nel cono dombra della tradizione folklorica
), oppure dallesigenza di uscire dal soffocante
amplesso dello sperimentalismo postosi ormai
come unico elemento strutturale della poesia.
Esiste unampia copertura di legittimità
critica e di formali adesioni letterarie in
favore della seconda motivazione: il dialetto
come alternativa semantica alla caduta di potenziale
espressivo della lingua e della letteratura
ufficiali. Lurgenza espressiva del dialetto
puro ( come negli idiomi dei popoli giovani
) tende a capovolgere i rapporti con la lingua
illustre e ci appare oggi su posizioni più
autenticamente rivoluzionarie rispetto ai logori,
stereotipati moduli dellufficialità
letteraria. Ancora meglio se questa urgenza
possiamo verificarla nel dialetto siciliano,
erede di quel volgare che Dante non reputò
degno dellonore di preferenza perché
non si proferisce senza una certa strascicatezza
e che tuttavia prestò la sua compatta
orditura allesercizio stilistico di Jacopo
da Lentini, la sua potenza evocatrice allapprodo
veristico del Verga, la sua costante di umanità
alla cultura mitteleuropea del Pirandello. Una
koiné che implichi poeti e poetiche in
un discorso o azione comune che, proprio nellhumus
di secolari stratificazioni culturali, per la
profonda analogia dei fulcri semantici nel mondo
contemporaneo, si spoglia di ogni pregiudizio
esoterico e riacquista il volto dimenticato
delluomo."
*****
Rosa Fresca Aulentissima, Poesie Siciliane,
volume impresso a Palermo in 300 copie, è
del 1985:
ventidue testi -
in scrupoloso ordine cronologico, tra il 1945
e il 1955 -
senza versione in Italiano, né note né
glossario -
nel complesso poco più di duecento versi
-
con accenti tonici per favorirne la lettura.
A LA SICILIA. 1945. È un sonetto.
Paolo Messina avrà per tutta la vita
lunga frequentazione e dimestichezza con il
sonetto. Nel suo saggio lessere della
poesia del 1990 egli annota: "la mia idea
del sonetto come limite infinito della poesia,
non solo in quanto metafora del poetare, bensì
e più propriamente come struttura essenziale
di ogni atto di poesia. Idea fondata sulla diretta
esperienza, da una parte, e sulla riflessione
estetica dallaltra, talché poi
comporre un sonetto e intravederne la possibile
perfezione poietica ( il suo poter essere
bello e razionale ) diventano un atto
solo. Obiezione corrente alla moderna, attuale
praticabilità del sonetto è quella
relativa alla forte restriction métrique
chesso comporta: restrizione che impedirebbe
un libero o più agevole approccio alla
poesia. È invece proprio la rigorosa
determinazione formale, una porta stretta
, anzi chiusa, ciò che tenta (
o dovrebbe tentare ) ogni spirito avventuroso,
il quale dovrà inventarsene la chiave,
trovarla nella sua audacia intellettuale e nella
sua forza danimo, poiché, non appena
avrà spalancato questa porta, egli sarà
colto dalle vertigini, trovandosi improvvisamente
a sporgersi sugli infiniti paesaggi dellessere
della poesia, quando scende a sostanziare le
cose, ciò che ne conferma il fondamento
ontologico. Sicché il limite ( la limitazione
formale ), luomo e il mondo ( cioè
la concezione che luomo ha di sé
e del suo mondo ) si aprono agli interminabili
spazi della libertà creativa.
Non cè daltronde assetto
poetico più calcolato che nel sonetto,
bello e razionale nella sua struttura
inalterabile, eppure aperta a tante audacie
interne, equilibrio di techne e di poiesis:
un insieme di proposizioni che asseriscono delle
implicazioni ( tra figure, simboli, metafore
) che contengono delle variabili ( accenti,
rime, assonanze in funzione semantica ): definizione
che ricalca quella proposta da Bertrand Russell
per la matematica. Rinunziare per una presunta
emancipazione metrica al sonetto comporta quindi
una immediata perdita di intensità e
di afflato nei rapporti con lo spirito, che,
come avvertiva senza perifrasi Hörderlin,
è retto da leggi metriche."
Lesordio della antologia condensa liricamente
"le coordinate storiche - riporta Orio
Poerio - dellesperienza che fu alla base
della sua formazione": lamore per
la Sicilia ( dogni senziu / trama amurusa
), lappartenenza ad essa ( ddocu affunnu
/ li ràdichi ), la nascita a nuova vita
( nàsciu arreri ) attraverso la "vuci"
del dialetto ( dogni lingua ciuri ) e
il conseguimento della chiave che apre il mondo:
la Poesia.
SPIRANZA. Un speranza fanciulla, libera e spensierata
che corre, gioca, canta; e coglie e deposita
ai piedi del poeta "vrazza chini / di rosi
majulini".
Ritroviamo in questo secondo sonetto la puntuale
applicazione dei precetti sopra enunciati, ma
piuttosto che soffermarci su essi, preferiamo
registrarne i toni di novità che albergano
nel raddoppiamento delle parole omogenee.
"Il raddoppiamento - scrive Luigi Sorrento
in nuove note di sintassi siciliana - o la ripetizione
di un avverbio ( ora ora, rantu rantu ) o di
un aggettivo ( nudu nudu, sulu sulu ) comporta
di fatto due tipi di superlativo: ora ora è
più forte di ora e significa nel
momento, nellistante in cui si parla ,
nudu nudu è tutto nudo, assolutamente
nudo . I casi di ripetizione di sostantivo
( casi casi, strati strati - nella nostra ipotesi:
celu celu, spini spini ) e di verbo ( cui veni
veni, unni vaju vaju ) sono speciali del Siciliano.
Strati strati indica unidea
generale destensione nello spazio, unidea
di movimento in un luogo indeterminato, non
precisato, tanto che non può questa espressione
essere seguita da una specificazione, come strati
strati di Palermo. Lidea di estensione
viene espressa dalla ripetizione del
sostantivo, così originando un caso particolare
di complemento di luogo mediante il raddoppiamento
di una parola. La ripetizione del verbo si ha
con la pura e semplice forma del pronome relativo
seguita dal verbo raddoppiato. Cui veni
veni intende chiunque venga, tutti quelli
che vengono: il raddoppiamento del verbo, quindi,
rafforza unidea nel senso che la estende
dal meno al più, la ingrandisce al massimo
grado, anzi indefinitamente."
URA CA PASSA. 1947. La rivoluzione ( fu proprio
Paolo Messina ad adoperare questo termine, mentre
Salvatore Camilleri aveva preferito il lemma:
rivolta ) si compie!
"Si pubblica a Catania nel 1947 - ribadisce
il Camilleri - diretto da Giovanni Formisano,
torcia a ventu, un settimanale con una rubrica
di poesia siciliana curata da Aldo Grienti,
dove appare la lirica URA CA PASSA, di Paolo
Messina, primo e reale esempio di poesia dialettale
moderna." E sul MANIFESTO della nuova poesia
siciliana, edizione Arte e Folklore di Sicilia,
Catania 1989, incalza: "URA CA PASSA, del
1947, nata dallermetismo italiano, ma
forse più direttamente dal simbolismo
francese, dà inizio alla nuova poesia
siciliana. Paolo ha 24 anni e si rende subito
conto di ciò che è avvenuto."
In quindici versi liberi - Paolo Messina fu
il primo ad adottare il verso libero e anche
in questo sta la straordinaria novità
-, stringatissimi, senza rime, nella concreta
realizzazione del suo strumento necessario
, nelle espressioni autenticamente siciliane,
negli efficaci dispositivi analogici, simbolici,
metaforici, nelle pregevoli invenzioni, nellaccostamento
di suoni, nella coerenza ortografica
la felice, originale, lirica formulazione dei
principi innovativi teorizzati. E, sbaragliati
i vocaboli ricercati, reboanti, artificiosi,
bandito ogni traccheggio del verso, cedimento
vernacolare, italianismo, epurata la ridondanza
di aggettivi, diminutivi, vezzeggiativi
le parole quotidiane : chiantu,
ura, praj, ciuri, notti, erva. Parole, che nellalchimia
del Poeta si animano, acquistano significati
che eccedono la loro semplice lettera; parole
comuni che nella loro inusitata cifra compongono
scenari irrefutabilmente unici, disegnano profili
squisitamente singolari, assurgono a raffinato
strumento espressivo con cui il Poeta esplicita
la propria Weltanschauung, "larte
- affermò Viktor Borisovic klovskij
- restituisce una visione autentica del mondo".
Pregevolissimo nella sua interezza - dimensione
la sola che consente di carpirne laustera
bellezza - se ne riportano, solo a mo
dimostrativo, taluni sintetici, intensi stralci:
"iu macquazzinu di tempu, mi ridi
la luna / e mi vesti di biancu, portu li giumma
/ dun abitu dimisu / n contraluci."
PASSAGGI. "Na sira ( eramu tutti a manciari
ô Risturanti Shangai da Vucciria
) ci apprisintai a prima manu dun sunettu
ntitulatu Passaggi. Mi taliaru - ricorda Paolo
Messina in Puisia Siciliana e Critica - tutti
alluccuti e fu Fidiricu Di Maria ( misu a caputavula
) ca rumpiu ddu silenziu dicennumi: Ora ci deve
spiegare che significa. Paroli tistuali. Ma
comu, ci arrispunnivi, propriu vossia mi veni
a fari sti discursi? Lautri sa pigghiaru
a ridiri. E finiu ca ni mbriacamu."
Episodio eloquente che la dice lunga circa la
problematicità di interpretazione ( della
poesia e ) di questo terzo sonetto che, peraltro,
lenjambement: ariusu / juncu, lenti /
nuvuli, e lanastrofe: si passa di salutu
umbra, esteticamente connotano.
RISPIRU DUN CIURI. 1948. Secondo esempio
di verso libero.
Immediatamente dopo ogni grande passo è
assai difficile ripeterne uno della medesima
portata, bissare. La vocazione si consolida;
lambizione di tentare strade nuove, più
difficoltose, malsicure, faticose delle vecchie
e, a conti fatti, più avare di riconoscimenti
( ma questo forse non importa ) persiste. E
i risultati non mancano: "silenziu / crisciutu
supra un jiditu, amuri ca passa / pi na
vina di celu, mi sentu / ntra lu pettu
/ un jardinu di stiddi."
Gli altri, nel frattempo, che fanno? dove vanno?
( anche questo non importa: la Poesia, si sa,
è esercizio solitario e
daltronde - suffraga il Camilleri nel
numero di Gennaio-Febbraio 1989 di Arte e Folklore
di Sicilia - "bisognò aspettare
almeno cinque anni prima che altri poeti maturassero
quella rivoluzione, formale e strutturale, che
era in atto" ).
PRIMU DI MAIU. 1949. Terzo testo della nuova
ouverture in tre anni.
Loccasione, la festa ( già tristemente
macchiata di sangue a Portella della Ginestra
nel 1947) del 1° Maggio. La guerra, con
il suo opprimente, irrisolto retaggio di morte,
distruzione, sofferenza è appena dietro
langolo, la sudditanza culturale, sociale,
economica da cui decantano la miseria, lingiustizia,
il malaffare sempre lì a prenderti per
la gola, a sgomentarti, a reclutarti. Ciò
malgrado, quel primo di Maggio 1949 vola sulle
ali di un passero "nni la manica aperta
di lu ventu", pulsa di ricostruenda collettività,
avviluppa, in un vorticoso caleidoscopio, gli
uomini "li vrazza / turciuti di la fatica
/ abbrazzati a la terra" e le cose "li
banneri, li roti, li ciminii, li pilastri di
li casi, li rimi di li varchi, làrbuli
di li bastimenti, li spichi di furmentu."
PARTIRI. 1950. La metafora è nella testa
( e non nella penna )!
Possono apparire adesso - il verso libero, il
simbolo, lenjambement, lo scavo interiore
- conquiste scontate, ovvie, abusate.
Ma - immaginiamo - quanti studi ed esitazioni,
prove e assidue verifiche, intralci e tentazioni
di mollare, allora, per chi ebbe a trovarsi
nella esaltante, e al contempo scomoda, sua
posizione.
"Al poeta - ebbe a dire Giuseppe Zagarrio
- compete lo stesso dovere-diritto dello scienziato
in laboratorio: quello della ricerca, la più
ampia possibile, la febbrile consapevolezza
di essa, la speranza continuamente gratificante
di cogliere ed esprimere qualcuna delle spinte
che il collettivo inter-soggettivo opera di
continuo dalla sua massa corale e anonima".
E Paolo Messina ricerca con consapevolezza la
parola nuova, sperimenta con tenacia lespressione
che implichi compiutezza di forma e contenuto,
singegna a che lapplicazione sia
autenticamente siciliana: "ciuriu lu molu
di palummi, nudda lacrima / vagna la corda ca
mi va muddannu". E, non ultimo, si prodiga
affinché lesito si collochi nella
cornice della ( sua, perché scelta, voluta
da lui ) disciplina: la coerenza ortografica
del dialetto, il criterio semantico di trascrizione
di esso, limpiego delle preposizioni più
gli articoli; cornice, pertanto, entro la quale
non possono insistere i segni diacritici ( tranne
laferesi in: n, na, ntra,
nzina ), i raddoppiamenti consonantici
iniziali, i nessi fonici.
La chiusa, "nzina ca lu silenziu
/ mi jetta n coddu / na ghirlanna
dacqua", ci impone, nella sua mirabile
singolarità, una riflessione. Come fosse
vera, la ghirlanda dacqua ci coglie infatti
alla sprovvista e quasi ci scansiamo per non
esserne bagnati - chiunque di noi del resto
dimpulso reagirebbe nello stesso modo;
ma ancor più ci strabilia, perché
insospettabile, colui/cosa ce la scaraventa
addosso: il silenzio.
Se URA CA PASSA è stato larchetipo,
PARTIRI ne è stato il degnissimo seguito.
CHRISTUS. Pasqua 1952.
CHRISTUS, in maiuscolo, scrive Paolo Messina
( come gli Ebrei a tutte lettere maiuscole scrivono
JHWH, il tetragramma sacro per Jahvè
) e considera che "di tannu / tu / ddocu
arresti / n cruci".
Ma la religiosità rimane ritenuta, resta
racchiusa nella sfera dellintimo, non
spicca il volo ( della trascendenza ). Il CHRISTUS
è un uomo che muore, un uomo che "finiu
di mòriri" con il conforto di "fimmini
( chi ) vannu e vennu ( In the room the women
come and go talking of Michelangelo, by Thomas
Stearns Eliot ) purtannu unguenti, linzola e
lamenti", e decisamente terreno è
il teatro della rappresentazione: "arbulu,
quartari dacqua, gruppa /ca nuddu chiantu
strogghi, sangu spantu".
Il dialetto siciliano si riaccosta per un attimo,
"consummatum est", alle sue origini
( a buona parte almeno di esse ): il Latino.
Nel naturale confronto e dalle valutazioni più
complessive che ne scaturiscono, ci rendiamo
conto di quanto la parentela tra i due sia tuttora
stretta e di come esso abbia, tutto sommato,
assai bene retto lavanzare dei secoli.
BUCHÈ. Cinque endecasillabi non rimati,
in cui si rinviene una delle rarissime eccezioni
quanto al raddoppiamento iniziale della consonante,
quella dellavverbio: cchiù.
Il buchè che un Siciliano offre allamata
"li cchiù bianchi manu di lu munnu"
non può che essere di "limpi zàgari"
( i fiori bianchi dellarancio simbolo
di purezza ) e il loro ciauru trattenuto "nzina
a quannu stasira / idda trimannu strogghi lu
nastru".
LU CHIANTU. Inizi del 1953. Paolo Messina ha
già ( appena ) trentanni.
Il silenzio ( degli addetti ai lavori, della
stampa, della critica ) è assordante!
I risultati - tranne che nella percezione di
pochissimi sodali - tardano e così gli
auspicati effetti in ordine alla poesia e, per
essa, alla realtà, alla questione
siciliana, che è politica, oltre
che sociale, culturale, economica. Ciononostante
lufficio continua.
LU CHIANTU propone un positivo incipit "Cadu
nni lu margiu /di lu me chiantu" e quindi
termini soluzioni, ambienti ancora interessanti,
benché già sperimentati: biancu
fazzulettu / di luna, li pampini sasciucanu
/ lu risinu ...
Viene da chiedersi: "Quali / pena nchiui
pizzi ed ali" al Messina tanto da far sì
che egli si rivolga al sole e lo ammonisca:
"dumani lu chiantu / a tia puru tabbinci"?
Un incidente in itinere, la stanchezza accumulata,
la repentina sfiducia nei propri solitari mezzi?
O non piuttosto il clima, il contesto di indifferenza,
la trama di avversione ( "un jornu vinni
n Palermu na diligazioni di pueti catanisi
pi dirimi davanti a lamici ca iu stava
ruvinannu a puisia siciliana e ca lavia
a finiri" ) che montava in direzione di
quella che appariva essere una fuga ( troppo
) elitaria?
ZABBARI. Non leggevamo un sonetto ( ma sarà
lultimo della raccolta ) dal 1947.
Un progetto però, quello del sonetto,
solo rimandato. Paolo Messina infatti auspicò,
con un appassionato intervento del 1989 riportato
sul MANIFESTO della nuova poesia siciliana,
il ritorno al sonetto "che può ancora
oggi educarci alla libertà formale, in
attesa che il trophaèum ( cioè
la sostanza poetica ) riacquisti la forma del
nuovo", e produsse poi, rispettivamente
nel 1990 e nel 2000, il saggio lessere
della poesia e il volume, in Italiano, sonetti.
La sfida ( sostanzialmente solo a se steso e
perciò eternamente allumanità
) è quella di dimostrare che non la formula,
non tanto la struttura del sonetto era ( è
), ormai, carente, logorata dai secoli,
cotta , ma che la crisi era ( è
) in chi scrive, che la vena che si è
prosciugata è quella dei poeti, di coloro
che ne dovrebbero rinverdire i fasti e lo praticano
invece con sufficienza. E allora, bene: la scommessa
è vinta ( bellissima licona "lu
lentu / suli", come se fosse il sole -
ve lo figurate! - a procedere mestamente e non
già luomo, specie quello darea
mediterranea, a causa delle condizioni di calura,
spossatezza, lentezza, ora sì, che esso
determina ).
La zabbara "cadura di nenti"
evoca una Sicilia di "arsura", di
brutture "ciuri ladiu", di rassegnazione
"disidderiu stancu" che pure esiste.
Non solo bellezza, quindi, profumo, passione
ma, altresì, le tante situazioni "senzamuri",
"cu li centu spini", di solitudini
"puntuti, silinziusi, trimulenti".
E nondimeno da Paolo Messina, dopo URA CA PASSA
e PARTIRI, è lecito aspettarsi dellaltro,
di meglio, di più.
IL 1953 si chiude con CANZUNA DI LACQUA.
Quattordici settenari che prendono in prestito
i dettami del sonetto ( tranne chiaramente lendecasillabo
). È lunico prototipo del genere.
Se ne apprezza la costanza mai sopita di provare,
la visione, una certa magia di rapporti. Ma
si intuisce lansimare della salita, il
peso di andare avanti senza nessuno - come nel
ciclismo - a tirarti la strada, il confidare
nella discesa che sbuchi ritemprante dopo lennesima
curva e nella borraccia fresca dacqua;
si coglie la strategia di proseguire
per piccole (!) tappe, per traguardi raggiungibili
che possano condurre dalla sperimentazione alla
esecuzione di nuovi significativi esiti. La
tentazione è quella di mollare un attimo
i pedali: ( "frischizza n contraluci"
richiama subito alla mente l"abitu
n contraluci" di URA CA PASSA ) e,
francamente, preferiamo ormai quelle altre
cose , quelle cose che hanno
fatto breccia nei nostri cuori, nei nostri animi,
nei nostri gusti: quelle cose
che hanno segnato il punto di non ritorno
.
TRADIMENTU. È del 1954 il segmento più
nutrito ( sette testi ) della silloge.
Assieme con CHRISTUS e, vedremo, col testo che
subito appresso segue, una sorta di trittico
che attiene alla spiritualità delluomo.
Lampanti i riferimenti alle vicende che culminarono
nel più famoso tradimento avvenuto un
Venerdì che precedette la Pasqua, là
in terra di Giudea e al misfatto che si perpetra,
come sempre, al "cantari / pi la terza
/ vota" di "lu gaddu". Si conferma
la dimensione privata e terrena ( filara dumbri
/ sipali / jardina nchiusi ) della spiritualità
sebbene nellaccorta trasfigurazione praticata
dal dialetto: "un occhiu sulu apertu /
e adduma, di n celu / na pinna bianca
di palumma."
MADONNA. I toni se non la veste
sono quelli della preghiera.
La madre di Dio è invocata a proteggere
"stu santu amuri, urdutu / cu manu bianchi",
a distendere le sue braccia bianche come "ponti
nni lu scuru / di la terra.>
Laggettivo bianco ( pressoché nella
assenza di ogni altro colore ) - insieme al
sostantivo silenziu - è
quasi il vessillo della poesia di Paolo Messina:
bianchi crini, mi vesti di biancu, pi lu sonnu
biancu, calici biancu, ali bianchi, li cchiù
bianchi manu, biancu fazzulettu, lu pettu biancu,
na pinna bianca, cinniri bianca. Un recondito
anelito di armonia? di pace? di misticismo?
Ogni conquista diventa patrimonio comune: se
ne appropriano gli altri poeti, ma persino coloro
che per primi lhanno raggiunta la reiterano
- come fosse un bel gioco dei bambini - al fine
di metabolizzarla, consolidarla, definitivamente
acquisirla.
CARRETTU SICILIANU. Inanimato legato di un consorzio
umano rurale, arretrato, ( apparentemente )
folcloristico "tuttu roti / cianciani e
giumma", il carretto approda, in una sintassi
pervasa da talento e da laica pietas, ad "arruzzòlu
baggianu di culura". Ma in questa terra
di "occhi nivuri / manu tradituri / friddi
raccami / petti addumati", la jumenta,
la Sicilia personificata, la "canzuna /
( resa ) muta" dalle secolari profanazioni,
ignominie, angherie subite, "supra la munta
dura" morde il freno e "ciara lumbri",
nello struggimento di affrancarsi dallamaro
giogo "di lasti".
MARI GRANNI. In quel "ora tentu" la
chiave del componimento: il sogno
recuperato. Il sogno in cui credere e per cui
inseguire ancora la vita "li vrazza longhi
di li strati" e, per inconfutabile simbiosi,
la Poesia, malgrado "li passi chini di
gruppa, la frunti / china di silenziu".
Un componimento da leggere con dedizione, condiscendenza,
riguardo alle pause, allo scopo di assaporarne
la liricità, penetrarne i gradi di invenzione,
condividerne la felicità di realizzazione.
Un convinto plauso a uno tra i testi migliori
della silloge, di cui si riportano i versi conclusivi:
"Di li banchini di li nuvuli / jetta lenzi
lu suli / nni lu mari granni di lu munnu. /
Ridu dintra mia / ca li potti / vìdiri
n tempu."
ASPETTU DESSIRI IU. Il dado è tratto!
MARI GRANNI ne è stato il testo seme,
lanticipazione: la "vuci aperta"
di questo riprende la "aperta vuci"
di quello, l"astrachi di la sira"
riecheggiano "li banchini di li nuvuli".
Ma qui la consegna è vissuta con la certezza
del ( futuro ) compimento, lattesa, "aspettu",
è solamente in ordine alla circostanza,
nel convulso nostro vivere, in cui ritrovare
sé stesso, ricongiungersi metafisicamente,
integralmente a sé stesso, "essiri
iu", giacché quel tempo di "scriviri
nni la manu addummisciuta / di lu silenziu /
lura ca di sempri / va sunannu pi mia
/ a lu roggiu addumatu di la luna" è
assiomatico, è solo da venire. Anzi,
nella lirica attuazione, esso è già
scoccato.
ASPETTU DESSIRI IU è la consacrazione
di Paolo Messina. Se pure egli non dovesse (
come di fatto avverrà nel giro di pochi
mesi ) più scrivere poesia siciliana,
URA CA PASSA, RISPIRU DUN CIURI, PARTIRI,
MARI GRANNI, ASPETTU DESSIRI IU e, presto,
AUTUNNU contraddistingueranno indelebilmente
la stagione di Paolo Messina Poeta.
PISCI RUSSI. Il 1954 va in archivio con una
divinazione: "ju puru / ci dissi addiu
/ a lu chiaru lippu di la vuci".
Siamo agli sgoccioli; Paolo Messina lo avverte.
Sappiamo adesso che ( con IL MURO DI SILENZIO,
nel 1959 ) un altro grande interesse prevarrà:
il Teatro.
È da recepire, questo testo, anche in
tale ottica? E se sì, perché?
Perché questo abbandono? I risultati
individuali - abbiamo appurato - vengono. E
allora? Allora ciò non basta. Non basta
più. Carmina non dant panem, si sa; ma
neanche, nel nostro caso, gratificazione ( la
pubblica sintende ), quella della
grande critica ( il VannAntò,
nel 1957, pur avendo egli colto il segno del
mutamento, la modernità di quegli esiti
stilistici e formali, definirà neòteroi
- smaniosi cioè di novità e riforme
- i nuovi poeti suoi conterranei ) e persino
i compagni di processione ( eccettuati
quelli di nicchia ) mostrano resistenza, diffidenza,
ostilità, non riescono ( come la volpe
delluva di Fedro ) ad afferrare
e cercano dunque di fare calare il silenzio,
di ricondurre al minimo i progressi altrui.
Era ( è ) difficile condividere lintimo
tumulto di Paolo Messina, secondarne lurgenza
a volere essere innovativo, lanelito a
volere creare poesia siciliana con spirito,
propositi, espressioni, situazioni, estetica
siciliani?
CANZUNA DAMURI. Ma, "Vuci, ca mi
cusi / un sonnu sapituri, cusimi un lettu /
a lenti ncimi cu li to capiddi / cògghimi
tuttu / nni lu to jiditali".
Un accorato esseoesse alla poesia, con la quale
a breve si consumerà il distacco, ma
dal cui ventre fecondo stanno pure già
scaturendo, nel solco del Rinnovamento, le cose
migliori di poeti quali Ugo Ammannato, Miano
Conti, Antonino Cremona, Aldo Grienti, Carmelo
Molino, Nino Orsini, Pietro Tamburello, Gianni
Varvaro.
ARBULU. Il 1955 ( cinquantanni or sono
) segna con le tre ultime poesie la fine, per
espressa sua volontà, della parabola
pubblica del Poeta Paolo Messina.
Cè tutto Paolo Messina in questi
ventidue componimenti? in questi poco più
di duecento versi? Cè da giurare
di no! Come pure è facile assai profetare
che non dellintera sua produzione si tratta
quanto di una drastica selezione. E nondimeno,
tantè.
Il fatto che non le avesse pubblicate prima
in una raccolta organica sottintende levenienza
che altre prove sarebbero potute arrivare? E
se no, perché non pubblicarle allora?
E ancora, nel 1985, trentanni dopo, perché
le ha rese pubbliche? Dobbiamo, beninteso, essergliene
riconoscenti, perché queste testimonianze,
per la cultura, per la poesia, per la storia
siciliane, assolutamente non andavano perdute,
ma perché fare trascorrere un così
lungo lasso di tempo? Gli animi si erano, forse,
placati su tutte le querelles che hanno
accompagnato quel tratto del nostro passato?
Era unicamente giunto il momento adatto
per divulgare quei suoi esiti? Il pubblico,
le coscienze, la critica della Poesia erano
finalmente, nel 1985, maturi, formati, acconci
a ricevere, ad elaborare, a suffragare quella
esperienza? Comunque sia ...
ARBULU. "Lu virdi vinu" e "sdivaca
nìdira docchi": due nuove
invenzioni.
AUTUNNU. Il canto del cigno; un vero altro masterpiece!
Cè da leggerlo e abbandonarvisi,
lasciarsi, senza resistenza alcuna, vincere
dallestro evocativo, sedurre dalla lirica
mestizia, sorprendere dalla crudezza introspettiva.
Il suo confessarsi "senza nomu e senza
facci / comu mi piaci essiri", ci coinvolge
emotivamente, ci trascina nei meandri di quel
nichilismo senza "volu di banneri / né
lustru di cannili" e ce ne rende toto corde
partecipi. Ma egli sente, percepisce ( noi sappiamo
) che la "palumma bianca" della Poesia
e quegli "sbardi di pampini" lo porteranno,
un giorno, "luntanu".
VERSI PI LA LIBIRTA. "Ammanittati
li morti" è la sintesi creativa
e provocatoria dun componimento forte,
prorompente impegno etico-sociale.
Ultima pagina di Paolo Messina
idonea, in chiusura, a farci rimarcare che nellintero
corpus della silloge sono totalmente assenti
gli interni , le relazioni umane
dirette: tutto è ambientato nella Natura,
che il poeta elegge a luogo dove il suo stato
danimo si trasfigura e assurge a globo
trasparente dentro e attraverso il quale ogni
cosa esiste e trova la sua ragion dessere.
Per chi volesse ulteriormente approfondire,
volesse ancora scrafuniari , proponiamo
il raffronto tra i testi: ASPETTU DESSIRI
IU, RISPIRU DUN CIURI, PRIMU DI MAIU,
nella versione del 1957 dellantologia
Poeti Siciliani Doggi e nella stesura
( a noi più vicina nel tempo ) del 1985
di Rosa Fresca Aulentissima.
Calaciu diventa, ora, calici, vagnau, ciminija
e fatija rispettivamente vagnò, ciminia
e fatica, "li funnamenta di li cità"
mutano in "li funnamenti di lu munnu".
Ma sono in ASPETTU DESSIRI IU i riadattamenti
più rilevanti: "ca maspetti"
diventa "ca mafferri", scompare
laggettivo "lijata" che appesantiva
il sostantivo "vuci", "e jsannu
li vrazza" diviene "pi jisari li vrazza",
"lu dammusu di lu celu" - semplicemente
- "lu celu" e tre versi vengono contratti
in uno: "stanchi di sti nòliti".
Smania di novità e riforme ?
O non invece lassillo dei veri poeti di
non considerare mai del tutto licenziata la
propria opera, di tendere ad una costante opera
di revisione alla luce di emendate sensibilità,
accresciute conoscenze, sempre nuovi fermenti,
di compiere una incessante auto-analisi stilistica
ed ideologica al fine di sgriciari la
pirfizioni ?
Paolo Messina agognava la terra promessa
, e lha vista, lha raggiunta,
lha calpestata. Ma egli - e dopo di lui
pochissimi altri - lha solo lambita, sfiorata.
E quella è un continente smisurato, le
cui vastità, meraviglie, i cui orizzonti
danno le vertigini, i cui tesori inebrianti
e inesplorati sono tuttora disponibili a chi,
con umiltà, purezza danimo, amore
saprà coglierli.
Quando il nuovo star-gate?
Trapani, Settembre 2005
Marco Scalabrino
Dal
10/04/07
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