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FUTURO
INATTESO
Introduzione
Introduzione a cura di Marco R. Capelli
"Alla fine del secolo XIX si aveva l'impressione
che i principi fondamentali che governano il
comportamento dell'universo fisico fossero sufficientemente
noti ". La maggior parte degli scienziati
era convinta che lo studio della fisica fosse
giunto alla sua naturale conclusione, che mancassero,
insomma, soltanto pochi dettagli ancora da codificare.
Sebbene verso la fine degli anni novanta venissero
scoperte alcune curiosità quali i raggi
Rontgen capaci di trapassare la maggior parte
delle sostanze, e che, proprio in virtù
del mistero che costituivano, furono chiamati
"X", o la capacità dell'uranio
di impressionare, misteriosamente, una lastra
fotografica senza venirne fisicamente in contatto
, gli ambienti accademici non si scomposero
e si limitarono a considerare questi fenomeni
come "curiosità" o stranezze
che avrebbero potuto, in qualche modo, essere
ricondotte nell'ambito delle leggi fisiche allora
note.
Probabilmente nessuno di loro arrivò
neppure ad immaginare come queste scoperte avrebbero
condizionato lo svolgimento del secolo che stava
per iniziare. Si trattava di una situazione
sostanzialmnte stabile, che non lasciava intravvedere
nessun mutamento radicale ed il sentimento comune
era di fiducioso ottimismo verso un futuro che
si presentava privo di fondamentali incognite
e caratterizzato da un lento e continuo miglioramento.
Ovviamente, sbagliavano.
Nessun secolo ha generato tanti mostri, aberrazioni
e paure come quello che si è appena concluso.
Mai, nelle epoche precedenti, la nostra conoscenza
si era dimostrata così incompleta e fallace.
Ogni nuova scoperta ha generato un nuovo terrore,
ogni passo compiuto nel cammino della conoscenza
ha rivelato la nostra sostanziale inadeguatezza
e la nostra totale impossibilità di controllare
gli eventi. Ogni scatola cinese ne ha rivelata
al suo interno una nuova, più piccola,
più complessa, più impenetrabile,
nella fisica come nella medicina ed in ogni
possibile campo dello scibile umano mentre,
per contro, le tradizionali cosmogonie religiose
o filosofiche sembrano aver perso tutto o quasi
il loro potere consolatorio.
L'uomo, nudo ed esposto per la prima volta al
vento gelido della realtà si è
rivelato essere piccolo, miserabile, ignorante
e crudele.
Eppure, anche oggi, cento anni dopo, alle soglie
di un nuovo secolo, qualcosa di simile c'è.
Ci sono, oggi come allora, scrittori visionari
che tentano di guardare al futuro che ci attende.
Di immaginare e di sognare. Hanno gli stessi
occhi di un Jules Verne, di un Wells (pure,
già più disincantato e cinico)
o di un Burroughs ma ciò che vedono è
assai differente.
Letteratura d'anticipazione, così la
chiamavano agli inizi, SF, cioè science
fiction per gli anglofili. Con Verne ci si allontana
di poco, il suo è un futuro possibile,
anzi probabile, in cui l'uomo diventa, finalmente,
padrone dei cieli e dei mari, concretizza il
proprio dominio sul mondo per prepararsi infine,
ma senza fretta, al salto verso le stelle, partendo
dalla Luna. Burroughs si spinge più in
là, questione anche di temperamento,
e ci trasporta sul suolo marziano, catapultandoci
in un mondo fantasmagorico popolato da incredibili
ed affascinanti creature in guerra perenne che,
ovviamente, non attendono altro che un condottiero
terrestre per trovare pace e civiltà.
Sono E.E.Smith ed i suoi emuli a compiere il
grande balzo, con loro iniziano le avventure
intergalattiche, rocambolesche divagazioni in
un cosmo trasformato in una sorta di frontiera
infinita. Un Far West senza limiti, dove la
tecnologia è un deus ex machina dal sapore
di magia, dove il bene vince sempre sul male
ed, a pace fatta, lo sceriffo solitario cavalca
in cerca di nuove avventure dirigendosi verso
una stella ad Ovest del Rio Grande. Dalla Skylark
all'Enterprise fino al Millenium Falcon, la
storia si ripete con poche variazioni.
Molto bene, ora, scordatevi tutto questo. Perchè
le visioni di fine millennio che vi presentiamo
in questo Speciale Progetto Babele, ci portano
da tutt'altra parte. Aattraverseremo periferie
infinite, brulicanti di moltitudini devastate
dalla povertà e dalla malattia, società
disumanizzate (A hard day di Roberta Mochi)
dove gli uomini, per tentare di restare tali,
sono costretti a nascondersi da macchine governative
onnipresenti che desterebbero l'invidia del
Grande Fratello orwelliano ( Occhi di Andrea
Franco ). Mondi in cui perfino esistere è
un reato. Non a caso il novecento è stato
il secolo che ha visto il tramonto delle ideologie,
tutte, siamo più vecchi, signori, fortunatamente
più esperti, sfortunatamente più
cinici. Predomina la paura, ma anche un'attitudine
al fatalismo e alla rassegnazione che non ha
precedenti nella storia della letteratura, salvo
risalire, forse, agli ultimi testi della romanità.
Testi scritti da uomini che sapevano di vivere
in un mondo che era già storia e che
guardavano alle masse barbariche ribollenti
di ignoranza, di rabbia e di violenza sapendo
che loro erano il futuro. Nei racconti inclusi
in questa raccolta, con poche eccezioni, il
domani non che un'inevitabile degradazione del
presente. Ne accentua i vizi, le storture, le
assurdità. La paura di fine millennio
si è trasformata in una generale mancanza
di fiducia nel futuro, o meglio, nelle possibilità
del genere umano di migliorare se stesso. Genere
umano che non cambia nemmeno quando, finalmente,
si stabilisce su Marte, almeno stando all'omaggio
bradburiano di Vittorio Baccelli: Secondo intermezzo.
E' come se l'esperienza del secolo crudele che
si è appena chiuso avesse prodotto una
generazione incapace di confidare nel futuro.
E, del resto, si è davvero trattato di
un secolo che ha conosciuto la guerra nella
sua forma più crudele, stragi ed eccidi
di massa quali mai erano stati concepiti, che
ci ha abituato a vivere seduti sul margine di
una logorante incertezza, nell'attesa di un
cataclisma certo, ma indefinito, di una tragedia
che potrebbe iniziare in ogni momento, annunciata
dal sorriso di circostanza di un presentatore
televisivo. Anche ora. Viviamo nella consapevolezza
di una fine imminente, poco importa avrà
la forma di un conflitto nucleare o un attacco
terroristico, o se, piuttosto, si tratterà
di un virus mutante, di un asteroide impazzito,
della rivolta delle macchine (Evoluzione di
Scapola) o dell'inevitabile catastrofe ecologica.
Non bastasse questo, dove l'ottocento era stato
il secolo della "scienza prodigiosa"
che lasciava intravvedere infinite possibilità,
il novecento è stato il secolo della
scienza traditrice, sempre meno infallibile
e sempre più pericolosa. Incapace, non
solo di migliorare le condizioni di vita degli
uomini ma anche di rimediare ai guasti che essa
stessa produce. Incapace soprattutto, ed è
un duro colpo per l'immaginario fantascientifico,
di aprirci la porta del cosmo e di tutti quei
mondi promessi che oggi pare certo che non vedremo
mai. Ed ecco che questo pianeta sovraffollato
si trasforma sempre più in una prigione
dove l'umanità è condannata a
marcire tra i rifiuti che essa stessa produce,
simile, sempre più ad una massa brulicante
di larve. E dove la scienza, sorta di demone
sfuggito al controllo, si trsforma da promessa
di un futuro mogliore a generatrice di sempre
nuovi orrori. Tema assai comune nell'immaginario
cinematografico degli ultimi trent'anni (a parte
le solite rivolte di insetti, rane e pipistrelli,
possiamo citare il recentissimo "The core",
discreto b-movie con effetti speciali di lusso)
che viene trattato, con leggerezza soltanto
apparente, anche nel racconto Risonanza di M.R.Capelli,
dove, a conti fatti, la fine del mondo non sembra
poi una soluzione così terribile ai problemi
dell'umanità ed in La rivolta dei Kibben
di Carlo Santulli. Ma già lo sappiamo,
gli incubi del millennio sono radioattività,
inquinamento, virus mutanti ed armi batteriologiche...
cloni. Cloni, che ciascuno può immaginare
a modo suo, esseri perfetti ed incomprensibili,
come nel racconto di I cloni di Francesco Tosatti,
o patetiche copie quasi umane come nella bellissima
storia di Luca Rulvoni E se... o, ancora, semplici
sostuti cui dovremo giocoforza cedere il passo,
quasi un memento mori, per ricordarci che, orgoglio
a parte, siamo destinati a svanire nel nulla
(Due! Di Emiliano Bussolo).
Discorso a parte, ma non troppo, per il musicale
Il Rapporto di Simone Fregonese e Xeres, eccezionale
racconto di Paolo Durando, a tratti filosofico,
comunque sorprendente. Ma neppure per Durando,
sia chiaro, l'umanità merita molto più
di un pietoso oblio.
Un modo di scrivere duro, dunque, che non fa
promesse e non regala comode illusioni, eppure,
forse, non è che un modo per esorcizzare
la paura, un monito per ricordarci cosa accadrà
"se non" e per darci la forza di prendere
la decisione giusta.
Perchè in fondo, il futuro, per quanto
si possa cercare di immaginarlo, resta sempre
e comunque un futuro inatteso.
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