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Breve storia degli U.S.A. e getta
di Giorgio Bertolizio
Pubblicato su SITO


Anno 2006- Edizioni Clandestine
Prezzo € 13- 196pp.

ISBN 9788889383551

Una recensione di Peter Patti
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 Breve storia degli U.S.A. e getta

"U.S.A. e getta" è un’espressione sporadicamente usata dalla stampa di sinistra negli Anni ’60-’70. Giorgio Bertolizio la riprende per etichettare significativamente questa sua Breve storia, che è in realtà un compendio abbastanza vasto e assai ben ricercato. Un libro che, grazie allo stile piacevole dell’autore, si legge come un avvincente romanzo di avventure.
Breve storia degli U.S.A. e getta si ferma al 1945. "Gli ultimi sessant’anni, almeno per chi scrive, appartengono ancora alla conaca" spiega Bertolizio nell’introduzione. Pur tuttavia, non sono pochi i riferimenti alla storia più recente degli Stati Uniti, abilmente intessuti nella narrazione ed esposti non solo con grande cognizione di causa, ma anche con levità idiomatica e sottile umorismo. E non manca neppure qualche considerazione, ironicamente amara, sull’odierna politica italiana...
Non ci troviamo dunque tra le mani un mero affastellamento di eventi storici. Oltre ad assistere alla smitizzazione ragionata di "eroi" come George Washington, il lettore apprende quale ruolo ebbero - e hanno - le religioni nella crescita di questa grande nazione governata dal darwinismo sociale. Fu anche il bigottismo (di marca puritana, ma non solo) a rafforzare la dottrina utilitarista che condurrà gli U.S.A. a compiere atrocità sull’intero globo terracqueo, dalla Corea al Libano, dalle Filippine al Sudan e in Libia, da Panama alla Jugoslavia, fino ad Afghanistan e Irak, sempre diffondendo il vangelo dello shopping planetario sotto l’egida della "libertà democratica". Una marcia che appare inarrestabile, a dispetto di taluni incidenti sul percorso quali furono p. es. la Grande Depressione e gli attentati terroristici alle Twin Towers dell’11 settembre 2001.

Ogni cosa ebbe inizio con l’arrivo, sulla costa dove oggi sorge Plymouth, della Mayflower. Era il 16 dicembre 1620. La spedizione era stata finanziata da un gruppo di mercanti inglesi e circa un terzo dei 120 passeggeri era composto da fervidi credenti puritani: i celebri Padri Pellegrini. I nuovi coloni scoprirono il mais "e i pellirosse conobbero l’esistenza dell’alcol". Paradossalmente, fin da subito furono i civili conquistatori a comportarsi da selvaggi. Erano orde senza scrupoli che, via via che andavano impossessandosi di quegli sconfinati territori, sterminavano e trattavano in maniera bestiale coloro che chiamavano "stranieri", ossia gli amerindi, sì, i pellirosse, che di fatto sono gli unici natives del continente nordamericano.
Bertolizio si districa con abilità nel ginepraio della guerra d’Indipendenza per poi riprendere il discorso sulle ingiustizie subite dagli indiani d’America (tra l’altro ritenuti dai coloni troppo inetti per lavorare), nonché da quelle inferte agli schiavi importati dall’Africa. Parlando in termini rigorosamente storicistici, l’inettitudine di queste due tormentate razze consiste meramente nel non essersi alleate in un periodo in cui la loro popolazione era numericamente pari, se non addirittura superiore, a quella dei bianchi. Se pellirosse e negroes si fossero ribellati insieme, avrebbero sicuramente potuto spezzare tutte le catene. Ma si trattava di "buoni selvaggi", per dirla con J-J- Rousseau (e anche con Aldous Huxley): non erano preparati alla scaltrezza e alla malignità degli invasori arrivati da Old Europe. Questi ultimi erano sì nella maggior parte ignoranti e resi ciechi e stupidi dall’avidità, ma erano fiancheggiati da stuoli di legulei che lavoravano per interesse personale e/o per conto del neonato governo. L’operato di tali prìncipi dei cavilli aiuta altresì a farci comprendere come mai il paradisiaco Nuovo Mondo, usurpato da cacciatori di frodo, desperados senza arte né parte, bari, violentatori e assassini (tutti grandi bevitori di whisky e di altri intrugli letali che, negli anni del Proibizionismo, venivano distillati clandestinamente), oltre che da innumerevoli bacchettoni e farisei, riuscì a trasformarsi nella nazione più potente del mondo.
I trattati "di pace" stipulati con le varie tribù non vennero mai rispettati, e lo sterminio di enormi mandrie di bufali non venne effettuato per motivi di approviggionamento, ma per privare gli indiani della loro principale fonte di sostentamento.
Inoltre, se prendiamo la guerra di Secessione, che fu la prima - e finora unica - guerra civile svoltasi negli Stati Uniti d’America, chiunque di noi pensa in primis al nobile ideale dell’abolizione della schiavitù. In concreto, però, quando i neri vennero "liberati" e poterono andare a lavorare nelle fabbriche yankee, conobbero altri abusi e sofferenze. Le condizioni nelle città settentrionali, nei grossi centri industriali dell’Unione, erano drammatiche: in un certo senso peggiori che nelle fattorie dell’afoso Sud; e il loro salario, manco a dirlo, non si avvicinò mai alle paghe percepite dalla manopopera bianca.

Appassionante è anche il capitolo che parla della guerra contro il Messico. Allora il Messico si estendeva fino ai territori attualmente comprendenti Texas, New Messico, Utah, Nevada, Arizona, California (l’odierno ricchissimo Stato californiano era un vero e proprio deserto con una popolazione di appena 7.000 anime) e parte del Colorado. La maniera in cui gli Stati Uniti riuscirono a inglobare quelle immense regioni è un esempio della politica imperialista che Washington avrebbe esercitato anche negli anni a venire. Che tale politica poi si ritorca contro il proprio ingenuo popolo (vedi l’assalto alle Torri Gemelle e le conseguenti restrizioni fisiche e psicologiche per la cittadinanza; vedi lo tsunami di affamati latinoamericani che ogni giorno varcano la frontiera messicana e che nemmeno un’enorme muraglia riuscirà mai ad arrestare), non tange i politici, le cui decisioni vengono prese in concomitanza con l’ingordigia pecunaria delle grandi corporations.
Tanto, finché il dollaro continua a regnare...
Denaro e ipocrisia religiosa: ecco i motori della democrazia stelle-e-strisce. E sempre con un ben preciso popolo nemico - un qualche "Impero del Male" - nel mirino della politica estera.
Gli Stati Uniti, in effetti, "non possono vivere senza un nemico. Innanzi tutto, perché sono nati dalle guerre" scrive Bertolizio. "La guerra d’Indipendenza ha generato il popolo americano, la guerra di Secessione ha generato la nazione americana e le guerre mondiali hanno sancito la supremazia universale statunitense".

Man mano che la narrazione si avvicina ai nostri tempi, quel pur minimo "eroismo" da Far West si spoglia definitivamente di ogni pretesa idealista, rivelando il più gretto utilitarismo, un estremo individualismo da New Deal abbinato a un sentimento nazionalista non dissimile da quello che generò i più tremendi Reich europei.
Veniamo ad apprendere che, prima e persino durante la Seconda Guerra Mondiale, General Motors, Ford Motor Company, Standard Oil e Business International Machines "intrattenevano lucrosi rapporti d’affari con la Germania nazionalsocialista e alcuni loro dirigenti erano amici di Hitler. Tanto che a Henry Ford, nel 1938, sarà conferita dal dittatore nazista l’onoroficenza dell’Ordine dell’Aquila".
Molto intriganti e avvincenti anche i capiversi sul trattamento che, per ritorsione ai rispettivi Paesi d’origine, fu riservato a cittadini statunitensi dal cognome tedesco (una valida strategia per spingere verso la rovina finanziaria i birrai attivi sul suolo nordamericano), giapponese (per i giapponesi vennero istituiti appositi campi di concentramento; e - aggiungiamo noi - finanche i cartoni animati realizzati a Hollywood diedero man forte ai fanatici razzisti, ridicolizzando al massimo i "musi gialli")... e anche a cittadini dal cognome italiano, almeno fintantoché durò il regime mussoliniano.

Nella sua "Conclusione", che è una panoramica sull’attuale situazione geopolitica, Giorgio Bartolizio puntualizza che "non è possibile (...) che lo stile di vita americano sia condiviso da tutti gli altri abitanti del mondo, perché occorrerebbero altri tre pianeti per fornire a tutti le necessarie materie prime e smaltire l’inquinamento prodotto".

Facit:
Breve storia degli U.S.A. e getta è un libro bello e importante, nonché di notevole interesse, che va a corredare le critiche già mosse all’imperialismo americano da Harold Pinter, José Saramango, Gustavo Castro Soto (La storia segreta della Coca-Cola), Gabriel García Márquez, Manuel Vázquez Montalbán, Noam Chomsky (Global Empire) e parecchi altri intellettuali. In quest’opera vengono esaminati retroscena anche alquanto curiosi, particolari biografici non notissimi di personaggi-chiave come lo stesso George Washington e come Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln (uno spilungone mal vestito!), come l’"eroe" antischiavista John Brown (che a quanto pare era soltanto un fanatico religioso completamente folle)... giù giù fino a Woodrow Wilson (il terribile 28° Presidente, propugnatore di un nuovo ordine mondiale), a Roosvelt (che abbracciò la dottrina di Monroe di un interventismo nell’America Latina con l’apparente scopo di "tutelare" quei popoli) e a Harry Truman (maggiore responsabile dell’olocausto atomico in Giappone).



Giorgio Bertolizio (Trieste, 1936) è stato per trent’anni primario ospedaliero. Ha pubblicato diversi altri saggi, sempre per le Edizioni Clandestine: Nevrosi, idiozie e malefatte dei grandi filosofi (2003), Vizi capitali e sommi pontefici (2004), Le grandi iellate di nome Maria (2005) e il recente Il Vangelo di Satana (2007), tutti ammirevoli per arguzia e ironia.


Una recensione di Peter Patti



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