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Delitti e fantasmi
di Tea Ranno
Pubblicato su SITO
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Di molte stranezze e di molti intrighi sono spesso composte le storie degli uomini. E ugualmente le storie dei luoghi. Perché un luogo si fa storia non solo quando il tempo raggruma secoli sulle sue porte - e i suoi muri si coprono di muschi, e l’ombra lascia conche nere tra un tetto e il merlo di una torre - ma soprattutto quando gli uomini che l’hanno abitato intridono di sé quelle mura e il racconto delle loro gesta si sedimenta nella memoria, si fa leggenda, mistero che sgorga da tombe, pugnali, passioni d’amore.
Che a Ceri ci fosse un fantasma era notizia probabile: ogni borgo ne ha uno, ogni castello rabbrividisce di notte per spiriti che errano senza pace. Su Internet, però, gira una notizia che si rivelerà sbagliata, cioè che vaghi per Ceri il fantasma di un soldato della seconda guerra mondiale. Così, inerpicandoci per la salita che conduce al borgo - e ammirando la mole maestosa della rocca, i suoi fianchi scanalati, i ciuffi imprevedibili di fichidindia che crescono tra i crepacci - cerchiamo di immaginare questo milite che s’affaccia al belvedere: una divisa (è italiano? americano? tedesco?), un elmetto, un fucile a tracolla, una borraccia, uno zaino (che forse contiene un diario, qualche lettera), e un camminare senza pace, facendo la ronda su e giù per le mura.
Ci piacciono le storie di fantasmi, quel permanere d’un qualcosa di vivo anche dopo la morte, ci affascina quella sorta di interregno che non è più vita e non ancora trapasso definitivo, l’inconsistenza di figure che hanno avuto corpo e adesso sono fatte solo d’aria e, pur essendo d’aria, continuano a provare passioni: odio, dolore, pena, disinganno. Ci piace, anche, credere che queste storie potrebbero essere soltanto una favola partorita dal bisogno dell’uomo d’immaginarsi un seguito di vita oltre la cenere della morte. E andrebbe bene lo stesso. Perciò continuiamo a pensare al fantasma del soldato; chissà perché l’immaginiamo tedesco: biondo, gracile, un ragazzo ch’è stato trascinato in una guerra di cui non gli importava nulla. L’immaginiamo sporgersi ansioso alla ricerca di un viso di donna che risalga l’erta e porti con sé un residuo di quella famiglia che troppo presto ha dovuto abbandonare, immaginiamo che quella donna sia sua madre, che venga a recitare preghiere, a scioglierlo dal suo tormento di anima errante…
…Sì, lo sappiamo, sono solo fantasie. E allora, per restare nell’ambito della realtà, pensiamo di chiedere notizie più attendibili alla gente del luogo.
Entriamo nell’unico bar della piazzetta, chiediamo alla cassiera:
“Abbiamo saputo di un fantasma”.
E’ bionda, giovane, sorridente. Ma alla parola “fantasma” si stringe nelle spalle:
“Non so nulla” dice.
Possibile?
Proviamo a insistere: “Ci hanno detto che c’è persino una fotografia che lo ritrae”.
“Andate alla Rocca” dice allora lei “alla trattoria, lì, in fondo alla piazza”.
Andiamo.
Spingiamo una porta e ci troviamo dentro un piccolo atrio. All’inserviente che ci accoglie chiediamo subito del fantasma. Stessa scena di prima: sguardo vacuo, stringersi nelle spalle, dire di non sapere nulla, e indicare col mento, dietro nostra insistenza, una foto attaccata alla parete e una bacheca che contiene due pagine di un giornale.
Leggiamo subito l’articolo che racconta di un innamorato ucciso per vendetta e gelosia dal marito dell’amante, che era anche il signore di Ceri, e di una “fantomatica identità apparsa mentre si facevano foto al solo scopo di ricordare la visione di questi luoghi bellissimi” ecc. ecc.
Guardiamo la foto. Ritrae una grotta, due turisti di spalle e, accanto a uno dei due, la figura trasparente di un uomo con i baffi e il pizzo, i capelli lunghi, il braccio che sembra indicare qualcosa. Un corpo d’aria, che si lascia attraversare dalla luce di una lampadina posta in fondo a una seconda grotta.
E’ a questo punto che si avvicina Tiziana, proprietaria, insieme ai suoi fratelli, della trattoria.
“Volete sapere del fantasma?” dice. E ci fa segno di seguirla.
Andiamo giù per le scale, giungiamo in un salone con i tavoli apparecchiati; per una porta laterale usciamo nel giardino. E Tiziana comincia a raccontare. Dice che il giardino l’hanno acquistato solo in un secondo tempo. Prima apparteneva a una signora. E già, allora, negli anni Sessanta, si diceva che ci fosse un fantasma. La signora faceva cose strane.
“Sedute spiritiche?”.
“Non so, qualcosa di simile… Quando abbiamo comprato il giardino abbiamo vuotato i grottini. Ceri, di sotto, è tutta piena di grotte. Quando c’è stata la guerra è stata bombardata, rasa al suolo e poi ricostruita. Nei grottini la gente ci ha vissuto… Insomma, abbiamo usato queste grotte come cantine…”.
Infatti, adesso che siamo qui, possiamo vedere le casse che espongono diverse qualità di vini. E ci viene un brivido perché ci troviamo nel punto esatto in cui, nella foto, ci sono i turisti e il fantasma.
“I ragazzi avevano paura di scenderci quaggiù. Un giorno…”.
Si ferma un momento, sorride, incerta se continuare, poi:
“Un giorno è venuto su un ragazzo che gridava: ‘M’ha dato ‘n carcio!’ e aveva un bozzo nella gamba. Mia madre gli ha detto: ‘Ma chi è che t’ha dato ‘sto carcio’ e lui: ‘Come chi è? Ma lui, Paul (allora il fantasma lo chiamavamo Paul). E mia madre: ‘Ma statte zitto, e dillo ’nvece che hai sbattuto!’. E lui: ‘No, lo giuro, non ho sbattuto, è stato quello’. E’ successo tanto tempo fa, e quel ragazzo ora è grande, ma ancora continua a dire che non ha sbattuto, che è stato Paul a dargli un calcio”.
Ci guarda. Sembra impacciata. Certamente non dà l’impressione (come malignamente abbiamo sentito mormorare) che questa storia del fantasma è tutta un’invenzione per acchiappare clienti.
Infatti ribadisce: “Io non è che ci credo… però…”.
“Però tutto è possibile” ammettiamo noi. Che, suggestionati dal racconto, vogliamo assolutamente sapere il seguito.
“Sì… tutto è possibile” continua.
“E la foto?”.
“La foto, l’hanno fatta dei veneziani. Qui viene tanta gente, Ceri è particolare, ci hanno girato pure tanti film… Un giorno sono venute queste persone di Venezia, hanno mangiato, le abbiamo portate giù nei grottini, hanno fatto delle foto. E basta. Dopo un po’ è arrivata questa foto col fantasma: ‘Ce stanno a prende’ ‘n giro’ abbiamo detto. E la foto è restata nel cassetto per sette, otto anni, solo mio padre ci teneva tanto. Poi abbiamo pensato di appenderla al muro. Una volta è venuto quel fisiologo… quel professore di Misteri. ‘Professo’ gli abbiamo detto ‘lei che ci po’ di’?’. Ha risposto che era una foto bellissima, mai vista una così. Ha detto di farci mandare tutto il rullino. Quelli ce l’hanno mandato, l’abbiamo fatto analizzare, hanno scoperto che non ci sono sovrapposizioni d’immagini, che è tutto autentico. A quel punto, però, abbiamo deciso di lasciare perdere, va bene così… non ci interessa sapere altro.
“E di lui, di questo Paul, cosa si sa? E’ stato davvero ucciso dal marito della sua amante?”.
Sorride ancora, sempre a minimizzare quello che sta per dire:
“Una volta è venuta una persona, una di quelle che… entra in contatto coi morti. Ci ha detto tante cose. Ha detto che la morte risale al 1400, e che l’uomo era un francese, ci ha detto pure il nome: Ludovic De Beltrame. Era uno scrivano del signore del castello. Dopo un po’ che viveva a Ceri, andò a prendere la sorella in Francia e la portò qui. Poi la sorella rimase incinta di quel signore e lui, forse, pretese il riconoscimento del bambino. E quello lo fece uccidere con diverse pugnalate qua sotto. La sorella mica lo so che fine ha fatto: uccisa o nascosta, chi lo sa”.
Restiamo in silenzio. Ci sembra così triste questa storia. Non fantasie di amanti, amori impossibili, gelosie, passioni, odi, ricatti, vendette… solo un uomo che pretende rispetto per sua sorella e il riconoscimento di un bambino.
Guardiamo la lampada che, nella foto, traspare dalla pancia del fantasma.
“Ci hanno detto che se vogliamo farlo restare non dobbiamo far dire messe qui” riprende Tiziana, e poi, subito: “Ma che ne so… Mica ce credo io a tutte ‘ste cose”.
E noi? A che cosa crediamo noi?
Risaliamo lentamente. L’idea di rimanere da soli quaggiù ci fa rabbrividire.
Torniamo nell’atrio, ci fermiamo a guardare la foto. E’ perfettamente visibile la figura di quest’uomo vestito di chiaro, i suoi baffi, il pizzo, i lunghi capelli. E sembra che ci sia qualcosa di allegro in lui, come un guizzo di galanteria in quell’allungare il braccio come a mostrare qualcosa.
Tiziana comincia a parlare d’altro. Dice dei film che hanno girato qui a Ceri:
“Il più famoso è “Tre uomini e una gamba” con Aldo, Giovanni e Giacomo. Ma anche “A casa di Anna” con Virna Lisi. “Un posto tranquillo” con Banfi. A settembre c’è stato invece Kim Rossi Stuart a girare “Il disco del mondo” che uscirà il prossimo autunno. A maggio invece avremo Rex, il cane, quello del Commissario Rex”.
Sorridiamo. Ma siamo ancora immersi in quel tanto di malinconia che la storia di Ludovic ci ha comunque procurato.
Tornando giù, verso il parcheggio, non possiamo fare a meno di alzare gli occhi verso la rocca. E pensare al fantasma del soldato tedesco che forse si affacciava dai merli della torre nella speranza di scorgere sua madre. O al fantasma del giovane ucciso dal signore di Ceri, marito dell’amante, di cui racconta il giornale. O al gesto galante di Ludovic che allunga il braccio come a voler mostrare qualcosa che valga la pena vedere. Ma cosa?
©
Tea Ranno
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