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1. Quando ero ancora una piccola sognatrice.
Da bambina, il mio desiderio più grande era quello di possedere un cane. Un cucciolo dagli occhietti languidi e indifesi. Un cucciolo paffutello, da stringere forte tra le mie braccia. Ne desideravo uno che avesse più o meno il colore del miele, che avesse il profumo di un biscotto appena sfornato; uno intelligente, sveglio, premuroso, che mi averebbe svegliata la mattina leccandomi le guance, ancora calde dal tepore del sonno e del cuscino, con la sua lingua fresca e morbida. Gocce di rugiada sul mio viso.
Io sentivo di esser pronta a prendermi cura di lui. Lo avrei viziato in mille modi diversi: avrei riempito casa di carta igienica, rotoli soffici e morbidi come fiocchi di neve per il mio cagnetto - perchè se in casa non hai sufficiente carta igienica per il sollazzo del tuo quadrupede, vuol dire che sei un cattivo padrone- inoltre, lo avrei nutrito con i bocconi più prelibati, quelli più succulenti, per far si che crescesse sano e robusto, con il pelo lucido e il canino pure. Lo avrei spazzolato con le setole più morbide, lavato con la schiuma più profumata, abbeverato delle acque più pure e limpide. I miei giocattoli sarebbero stati anche i suoi, compresa la mia adorata Barbie, anche perchè quella bambola era ormai vecchiotta, aveva superato i sette anni di età e Ken non aveva voluto saperne di sposarla, perchè -le disse- preferiva prima pensare alla carriera.
Se solo avessi avuto quel cucciolo lo avrei coccolato fino allo sfinimento- sia suo che mio- e lo avrei portato, giorno dopo giorno, a fare lunghe passeggiate sulla spiaggia di fronte casa, dove avremmo potuto giocare a nascondino tra quelle piccole, adorabili, villette costruite in riva al mare.
Ma questi rimasero solo dei sogni. Il cucciolo non lo ebbi.
Quando supplicai mio padre affinchè me ne comprasse uno, lui mi rispose che quell'estate non saremmo partiti per le vacanze e che il cane d'estate non poteva restare a casa.
"Perchè" -disse- "gli animali d'estate puzzano e l'autostrada, se non sei di passaggio è troppo lontana".
Io non capìì il nesso tra un cane, un'autostrada e le vacanze a Rimini.
Ma mi rassegnai, dedicandomi interamente alla mia Barbie, che nel frattempo, dimenticato Ken, dopo aver fatto sparire quel suo solito ombretto blu-puffo dalle palpebre -per mezzo di un efficacissimo latte detergente senza l'aggiunta di agenti chimici, alle erbe e non testato sugli animali- era diventata capo del movimento femminista. Naturalmente fui costretta a farmi regalare un'altra Barbie perchè la femminista in questione, tra una lotta per i diritti delle donne che fanno il bucato a mano e un sit-in di protesta contro l'avvento delle extension, era diventata lesbica.
Le due bambole, però, fuggirono insieme. Mi lasciarono un biglietto di addio.
"Grazie per averci unite. Scappiamo in India. Siamo stanche dell'Occidente" - questo era il contenuto, brevissimo, del biglietto di addio.
Mi avevano lasciata sola.
Pensai :"Occidenti!". Poi notai che avevo pensato in maniera errata. Telefonai a Mike Bongiorno, comprai una vocale e corressi il mio pensiero in "Accidenti!".
Ero rimasta sola. Senza le mie Barbie. Senza amici. Senza neppure il sogno di avere un cane. Senza carta igienica.
Fu così che mio padre un bel giorno decise di regalarmi un orsetto di peluche.
2. Quando ho perso la verginità.
Quello fu il mio primo orsetto. In verità fu anche l'ultimo. Esso sostituì degnamente, nel mio cuore, le due Barbie e il cane che non ebbi mai.
Lo portavo sempre con me, ovunque, come fosse la mia ombra. Iniziai, pian piano, a volergli bene, sempre di più.
Non so perchè, lo avevo chiamato Pussy; forse a causa della mia ancor tenera, però, nessuno mi spiegò che Pussy non significava gatto. Io ero convinta che il termine "pussy" significasse gatto, in realtà andavo in giro con un orsetto chiamato figa. Ma lo scoprìì molto più tardi.
Infatti, molto tempo dopo, un bel giorno di primavera, accadde che un ragazzino col quale flirtavo (mi si perdoni il termine), in maniera alquanto allegra mi disse: "Hey, baby, voglio la tua pussy!"
Allora io -anima pura e innocente- volli sacrificare la mia Pussy amata e compiere il gesto estremo che porta una ragazzina a diventare adulta, donna: separarmi definitivamente dall'orsetto.
Decisi di immolarmi, per lui, per dimostrargli tutto il mio amore.
Mi recai a casa del suddetto, con un pacco con tanto di fiocco blu tra le mani.
"Che tenero! Vuole stringere tra le braccia quello che è stato il mio amico d'infanzia, solo perchè l'ho stretto io, tra le braccia!" - pensavo rapita della nobiltà delle sue parole e del mio stesso gesto.
Ma, al tempo stesso, ero triste al pensiero di separarmi dalla mia amata Pussy; insomma, quell'ammasso di acari dormiva con me da ormai tanto tempo.
Appena arrivai a casa del ragazzo, notai con stupore che lui mi aspettava al balcone.
Gli sorrisi da lontano.
Quando mi vide arrivare si precipitò ad aprirmi, mi fece entrare. Era ansimante. Affannato.
Io poggiai il mio montgomery blu coi bottoni di legno sul divano -al periodo non avevo molto gusto in fatto di moda- e lo salutai con un bacio schioccante sulla guancia.
Lui mi guardo, mi affarrò le spalle con le mani e mi portò in camera da letto dei genitori.
"Non c'è nessuno" - mi disse tutto eccitato.
Io pensavo che un orsetto si può regalare anche sotto lo sguardo- magari anche un pò distratto- dei genitori. Magari anche in cucina.
Certo, però regalarlo in camera da letto era di gran lunga più romantico.
Fu così che regalai a un quattordicenne la mia Pussy.
A lui quel dono non piacque granchè. Disse che era la prima la volta che gli capitava una cosa simile.
Io pensavo, invece, che gli fosse già capitato con altre ragazze, magari ragazze più sveglie e intraprendenti, di quelle che non indosserebbero mai un montgomery e per di più con i bottoni di legno.
Ad ogni modo, non piacque neanche a me lasciare a lui la mia Pussy.
E realizzai, con le lacrime agli occhi, che la prima volta che ti separi dal tuo orsetto è sempre molto, molto, molto doloroso.
Straziante.
©
Simona Scionti
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