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Tre sorelle
di Ilaria Dal Brun
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Spesso viene fatto un raffronto tra la vita delle sorelle Brontë e i loro romanzi. Da questo raffronto, è la vita ad avere la peggio: ne esce piatta, insignificante, ordinaria, “di provincia”, resa solo un po’ più interessante dagli eventi luttuosi che si sono abbattuti sulla famiglia. Ma se Charlotte, Emily e Anne potessero dire la loro, sarebbero d’accordo?

PRIMA SORELLA. Affamata di conoscenza, spazio con gli occhi della mente (quelli del corpo non mi aiutano molto, miope come sono) su mondi che rispecchiano quello in cui vivo, eppure al tempo stesso così diversi, così intensi, così... a lieto fine. Quel lieto fine che, forse, cerco anch’io. Vivo in un paesino di campagna e non sono bella. Ma la potenza della mia mente mi porta lontano, attirando a me amici e ammiratori per i quali il mio aspetto fisico conta poco, surclassato senza neanche troppa fatica da un’energia che sembra non finire mai. No, non potrei mai rimanere per sempre in questo paesino. Il mio desiderio di sapere, di conoscere, di vedere mi porta in luoghi impensabili per donne come me. Spegnere la mia sete di conoscenza? E perché mai dovrei? Quella sete mi è compagna, è la mia ragione di vita. Io che amo la vita e che a lei mi aggrappo con tutte le mie forze. E poi, in questo modo mi sento importante. O pensavate che mi sarei accontentata di essere semplicemente “la figlia del pastore”? “Papà, ho scritto un libro”, gli ho detto una volta. All’inizio mi ha bonariamente presa in giro. Poi però l’ha letto e mi ha guardata con occhi diversi. La scrittrice era venuta al mondo. Ora mi dicono che ho talento, decantano il mio stile, mi pubblicano. Sono colta, sono intelligente, sono energica, sono famosa. Ma qui, senza giri di parole, vi voglio dire che sto scappando. Scappo da una società provinciale e priva di colore, scappo da ricordi d’infanzia che ancora mi ossessionano, scappo da un giardino disseminato di tombe, scappo da una sorella pervasa da una genialità che spegne la mia luce. Scappo e scappando dimentico chi sono.

SECONDA SORELLA. Di molte parole non lo sono mai stata. Almeno non con gli altri. Ma dentro di me scorrono interminabili dialoghi fatti di luce e di tenebra, di sangue e di infinito, alla ricerca di una perfezione che non è di questo mondo (la mediocrità non fa per me). Rifuggo gli estranei, ma non certo per paura. Io non ho mai paura. Semplicemente, preferisco che nessuno si avvicini a me. Non amo la compagnia degli esseri umani. Gli animali mi si confanno di più. Animale, animalesca, impossibile da rinchiudere, da controllare, da imbrigliare, da capire. Uno zingaro nell’anima. La gente mi guarda con diffidenza, ma questo non mi preoccupa. Nemmeno le mie sorelle mi comprendono del tutto, ma nutrono per me un affetto reverenziale. Io sono la loro leonessa. Sì, hanno cercato di addomesticarmi, una volta, rinchiudendomi in una scuola per brave signorine. Mi sono quasi lasciata morire. Un’altra volta hanno riprovato e allora ho finto di adattarmi, ma alla prima occasione sono fuggita, per tornare a casa mia, in quegli spazi aperti dove sono pochi gli uomini che osano avventurarsi. E lì, nel mio territorio, cammino a testa alta, come un capitano che porta avanti con orgoglio la sua nave. Un capitano, ecco cos’avrei potuto essere. Dal di fuori sembro una brava e diligente donna di casa. È così che mi vedono in famiglia, almeno. Niente di più sbagliato! Faccio quello che devo fare perché mi lascino in pace a inseguire il mio grande amore: il fuoco. Sì, da sempre inseguo il fuoco, perché lo amo, perché è come me. Oh, se mia sorella mi sentisse! Per lei una donna che ama il fuoco è solo una povera pazza. Ma io conosco la sua forza dominante e la anelo. E adesso finalmente l’ho ottenuta. È dentro di me, mi sta bruciando i polmoni. Lasciatela bruciare.

TERZA SORELLA. Ultima nata in famiglia, entro nella vita come un sussurro. Un soffio angelico, direbbe mia sorella. Sussurrare mi diventa così familiare che ne faccio il mio tratto distintivo. Piccola, fragile, sussurrante. Ma quella che sono io veramente, ve lo dico adesso, tra parentesi (che rimanga tra me e voi, sottovoce, e lasciate pure che continuino a vedermi come meglio credono). Le mie sorelle mi definiscono “cagionevole” e io accetto questa definizione, così come accetto tutto quello che la vita mi dà (soprattutto, quello che non mi dà). Volevo una madre, ma accetto di avere un’istitutrice (adeguata, corretta, ma fredda e avvizzita, perché strappata dal nutrimento della sua terra). Volevo una persona speciale, ma accetto di perderla senza urlare di dolore (le urla le lascio a mio fratello, a lui gli estremi sono concessi). Volevo dimostrare il mio talento, ma accetto di vivere di luce riflessa (eppure, se leggete i miei scritti, vedrete che là dentro non brilla nessun astro se non il mio). Volevo una vita tranquilla e serena, accanto alla sorella che adoro, ma accetto di trascorrerla lontano da casa, in compagnia di un fratello ormai perduto. Ho fame d’aria, ma mi accontento di piccoli respiri. Io, ultima di tutti i fratelli, sono la prima a capire che è ora di smettere di sognare. Strano, vero? La sorella più fragile, la più discreta, la più piccola è anche quella che sa mettere da parte l’infanzia e i desideri irraggiungibili per incamminarsi lungo la strada della vita reale, una vita che non risparmia nulla, una vita faticosa, che toglie il fiato. Ma volete sapere qual è la cosa più buffa? Che nessuno se ne accorge.

TRE SORELLE. Nella vita di tutti i giorni siamo tre donne, tre sorelle. Tra di noi parliamo di fatti quotidiani, di patate da pelare, di pane da cuocere, di lavoro, qualche volta di politica e del tempo che fa. I pensieri più profondi li affidiamo alle nostre dita, a un pezzo di carta, a una penna. Nello scritto le nostre identità prendono forme assai curiose. Là diamo sfogo ai nostri sogni mai realizzati, alle nostre aspirazioni, alle convinzioni, agli ideali. Parliamo a un mondo che non sempre ci capisce, non sempre ci accoglie. E allora è la voce dei nostri personaggi a chiederlo esplicitamente: “Fammi entrare, fammi entrare, fammi entrare...”. Ma quando rileggiamo i nostri scritti, ci scopriamo diverse. Ci scopriamo uomini.


Maggio 2006

© Ilaria Dal Brun





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