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Era un cantante dal naso triste, leggeva il giornale su un sasso in riva al lago. Una pagina intera era occupata da una signora, probabilmente efficiente, con degli occhiali che le scendevano sul naso. Nel sessantacinque, o sessantasei forse, in un lampo un po’ languido, come uno scroscio d’acqua mattutina. Doveva essere in Aprile, perché la magnolia del lungolago era fiorita ed i fiori, se non sbaglio, già striati di rosa pallido. Già, il naso era triste, e lui era anche distratto, ma nell’insieme trasmetteva un’energia buona. Gentile, educato, sembrava la persona che avrebbe preferito incontrare tra la folla, il giorno in cui, come da sogno ricorrente, il bambino si fosse perso: non c’era ragione per perdersi, ma solo lo era già, ed in mezzo alla folla, la solitudine avrebbe facilmente trovato la sua strada verso l’angoscia. Col tempo, avrebbe sviluppato tante di quelle ispide qualità di chi vuol fuggire l’angoscia, cantare sottovoce, lèggere, telefonare, chiedere l’ora a qualcuno, o informarsi di una strada che già conosceva...o salire su un treno (i treni sono buoni…). Allora però, tutte queste cose non le sapeva, e credeva che qualcuno potesse veramente da solo aiutarci, invece la verità era in quelle tecniche, che non funzionavano tutte insieme, ma ciascuna a suo tempo, comunque se applicate con metodo e sensibilità, potevano andare.
Non era l’unico cantante che il bambino ammirava, era quella ancora un’epoca in cui i cantanti erano appena più in alto degli altri, come su un palcoscenico improvvisato. C’era anche un altro cantante, che arrivava ondeggiando, ed ugualmente gli piaceva, però quest’altro, con quel sorriso timido e le lunghe gambe dinoccolate, era come un amico, più di un cantante (di un artista, avrebbe detto sua nonna). Sapeva inoltre che faceva lunghi giri per l’Italia, e sicuramente tornava verso casa col treno in seconda, perché per uno così il successo non poteva che durare poco, solo finché era giovane e simpatico, lo diceva anche suo padre. Suo padre sapeva sempre tutto, tranne quello che serviva al bambino di sapere. Quando scendeva nel bianconero della piazza della stazione, sotto quel portico costruito per le carrozze senza accorgersi che carrozze non ne giravano più, rivedeva le insegne sui palazzi di fronte, e sapeva di esser tornato.
Anche il bambino aveva visto la grande luminosa Magneti Marelli, ed anche il sole strisciare e rotolare sotto una nuvola nerastra, poco prima, doveva essere a Parma (Parma era gialla, Modena e Reggio erano rosse). Il cantante aveva portato da un passato recente i treni notturni, i pennini con la china per scrivere sui libri dei conti, e la chitarra, la minore, do e sol settima. Il bambino non sapeva che la musica potesse scriversi, tante cose, come dicevo prima, non sapeva, però poteva parlare al nonno ogni mattina verso le dieci, non poteva vederlo di persona, però gli sussurrava segretamente che qualcuno, molto in alto, gli aveva affidato una ricerca proprio sul paese dove lui viveva, adesso. Gliene parlava incessantemente: sembrava che il nonno non si stancasse mai di chiedere della famiglia, della nonna, di com’era la città ora, mentre il trenino dell’agenzia di viaggi girava senza sosta. Sapeva anche un’altra cosa importante: che a quel tempo, quando credeva che il centro di Roma iniziasse dallo Stock e fosse tutto vecchio, forse di tre-quattromila anni, le auto erano persone, spesso dei parenti in realtà, ed il radiatore, cioè la mascherina era il sorriso, o meglio la smorfia che la bocca faceva a volte, quando il bambino si avvicinava incerto.
Aveva uno zio che era una Lancia Fulvia, grigia e legnosa, ed un’altra diciamo zia che era una 124 Sport non la seconda, quella senza striscette di metallo, proprio la prima, un po’ sghimbescia. Un altro zio bassetto era una Bianchina Special, che aveva, invece della mascherina, un buffo tondino da clown giallo e rosso. Aveva anche un amico che era una Primula, quella macchina strana col nome di fiore che non si capiva bene chi la producesse, ed era scomparsa rapidamente, in accordo col suo nome.
Tanti anni dopo, il bambino era cresciuto, aveva trovato anche un lavoro e si era sposato, era una volta andato a vedere il cantante a teatro (era proprio lui, ed il sorriso timido era lo stesso). Era una serata che sembrava finita molto presto, anche se era mezzanotte passata quando il cantante e la sua chitarra scomparvero per l’ultima volta dietro le quinte. Aveva risentito per una volta il profumo di quegli anni, l’odore di cartapesta e di coccoina del corridoio finestrato della scuola, il rumore spaventoso dei timbri in banca e la luce masticata di vento delle sere feriali. Tornando nella notte, gli era sembrato di inquadrare nei fari della macchina, un bambino perso in una selva di mani e di gambe, che si sollevava in un volo infantile, appena teso a sfiorare il cappello d’un lampione. Stavolta ne era certo: quel cantante dal naso triste era venuto a liberarlo, là, dove poteva andare incontro a se stesso.
©
Carlo Santulli
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Prefazione / Indice / Scheda
Ghigo e gli altri di Carlo Santulli
2007 pg. 204 - A5 (13,5X21) BROSSURATO
Prezzo Amazon 8.31 euro
Altre informazioni / L'autore
Pochi autori, come Carlo Santulli, sanno giocare con le parole, intarsiandole in piccole storie che si snodano tranquille (mai lente) attraverso una realtà quasi ordinaria e che, pure, riescono ad affascinare il lettore costringendolo a leggere fino all'ultima riga. Personaggi stupiti, a volte impacciati, si aggirano tra le pagine di questo libro, alle prese – come tutti noi – con le incongruenze e le follie del vivere quotidiano, non si abbandonano però all'autocommiserazione, non si ribellano, non cedono a tentazioni bohemien e, se cercano una via di fuga, questa è piuttosto interiore che esteriore. Un cammino, a piccoli passi, che li porterà, forse, verso un punto di equilibrio più stabile. Irraggiungibile (ma reale) come un limite matematico. Siano essi alle prese con una Quinta Arborea, un mazzo di chiavi che si trasforma nel simbolo di un'esistenza, un Clostridio tra i Pirenei, o passeggino, semplicemente, per le strade di una sonnolenta Roma anni trenta.(Marco R.Capelli)
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Prefazione / Indice / Scheda
Ghigo e gli altri di Carlo Santulli
2010 pg. 200 - A5 (13,5X21) COPRIGIDA
Altre informazioni / L'autore
Pochi autori, come Carlo Santulli, sanno giocare con le parole, intarsiandole in piccole storie che si snodano tranquille (mai lente) attraverso una realtà quasi ordinaria e che, pure, riescono ad affascinare il lettore costringendolo a leggere fino all'ultima riga. Personaggi stupiti, a volte impacciati, si aggirano tra le pagine di questo libro, alle prese – come tutti noi – con le incongruenze e le follie del vivere quotidiano, non si abbandonano però all'autocommiserazione, non si ribellano, non cedono a tentazioni bohemien e, se cercano una via di fuga, questa è piuttosto interiore che esteriore. Un cammino, a piccoli passi, che li porterà, forse, verso un punto di equilibrio più stabile. Irraggiungibile (ma reale) come un limite matematico. Siano essi alle prese con una Quinta Arborea, un mazzo di chiavi che si trasforma nel simbolo di un'esistenza, un Clostridio tra i Pirenei, o passeggino, semplicemente, per le strade di una sonnolenta Roma anni trenta.(Marco R.Capelli)
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