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Dell’umorismo di Franz Kafka de Il processo
di Domenico Papaccio
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Dell’umorismo di Franz Kafka de Il processo

Cronologia e trama dell’opera

Pubblicato postumo nel 1925 dall’amico Max Brod, Der Prozess, fu composto da Franz Kafka tra gli anni 1914 e 1915. Stando a quanto emerge dagli scritti privati di Kafka, la stesura coincide con un evento biografico particolare, cioè la fallimentare esperienza amorosa e la rottura della promessa matrimoniale con Felice Bauer: all’interno degli scritti privati viene delineato una sorta di tribunale, con tanto di testimoni, misura adottata da Felice Bauer per comprovare la mancanza di volontà dell’autore di portare a termine l’impegno matrimoniale assuntosi. Ad incidere sull’autore, oltre alla traumatica esperienza soggettiva che acuì il senso di sradicamento alienante e di inadeguatezza avvertita nell’ambito familiare, comunitario ebraico praghese e la società mitteleuropea borghese, contribuirono sul piano formativo le lettura dell’opera di Dostoevskij e l’approfondimento del pensiero di Frederich Nietzsche11. Nonostante la frenetica attività nella composizione del romanzo, scritto nei momenti di libertà dall’impiego presso una compagnia assicurativa, fu lasciato interrotto, avendo sistemazione postuma da parte di Brod, che optò la scelta del  titolo secondo le indicazioni rinvenute nel manoscritto12. La trama de Il processo verte intorno alla vicenda  di Josef K., procuratore presso una rinomata banca di Praga, la cui ruotine quotidiana è sovvertita dalla comparsa di alcuni anonimi agenti che gli presentano un ordine di arresto da parte di un ignoto tribunale, senza che se ne conosca il capo d’imputazione. I dieci capitoli sono l’itinerario del protagonista attraverso una centrifuga sequenza, costellata da personaggi-mediatori e ambienti fatiscenti e bizzarri, come la casa popolare della custode anonima in cui si svolge la prima udienza terminata con le grida di un rapporto sessuale; Levi, domestica del suo anziano avvocato che ha come studio la camera da letto; oppure l’atelier in un grigio palazzone del pittore fallito Titorelli; fino alla tenebrosa e spettrale immagine del duomo praghese, in cui incontra l’emblematico sacerdote delle carceri. Si crea una costellazione di figure e luoghi che dovrebbero condurre K. presso la scoperta del proprio destino giudiziario e del tempio della misteriosa legge, ma tutti grottescamente devianti o nullificanti ogni possibilità. Dopo vari tentativi, verso la fine del romanzo,
K. decide di licenziare il suo avvocato e nel far ritorno all’apparente quotidianità, soprattutto lavorativa, nel
fare da cicerone ad un cliente italiano appassionato d’arte si ritrova nel duomo di Praga, venendo in contatto con il sagrestano del duomo, sotto cui si cela il sacerdote delle carceri del tribunale: dall’incontro scaturisce la meta-narrazione della parabola “Davanti alla Legge”, ricca della simbologia che investe l’intera scrittura kafkiana, impossibile da ridurre ad univoca interpretazione. Il dialogo diviene un botta e risposta senza conclusioni lasciando il protagonista in uno spaesamento. Nell’ultimo capitolo, dopo circa un anno dall’inizio della vicenda giudiziaria, K. riceve la visita di due carnevaleschi carnefici, dai quali il protagonista si lascia guidare fino a soccombere sotto la loro violenza omicida.

Una mappatura umoristica de Il processo

La caratteristica allusiva dell’estetica e della riflessione kafkiana, unitamente ai dati caratteriali, biografici e degli scritti privati, ha permesso un’interpretazione de Il processo in ottica umoristica. Punto incipit è la testimonianza di Max Brod, riguardo agli effetti esilaranti alle letture del testo eseguite da Kafka presso pochi intimi. Nell’orizzonte critico italiano tra i primi a proporre la possibilità di uno schema umoristico kafkiano è stato Guido Crespi13, partendo dall’esperienza biografica dell’autore e dallo scrutinio epistemologico del riso del binomio Bergson-Sterne e le prime chiavi esegetiche umoristiche collegate al misticismo ebraico e al laicismo, ha rintracciato una particolare modalità di sviluppo stilistico-narrativa di Kafka nell’avallare un riso amaro, denigratorio e satirico all’indirizzo dell’intera scala assiologica dell’universo umano, paragonabile ad un antitetico Wilhelm Meinster. A ciò si allegano le considerazioni degli ultimi anni di David Foster Wallace14 e di Jutta Linder15, che hanno dato luogo ad un’esegesi sul fronte linguistico-formale dell’umorismo kafkiano, sottolineando la diversità del comico mitteleuropeo di matrice ebraica da quello occidentale.

11 Cfr. F.Masini, Introduzione de Il Processo, F. Kafka, Garzanti, 2019.
12 Ibidem
13 Cfr. G. Crespi, Kafka umorista, Medusa, 2018


L’umorismo mistico de Il processo

Nel tracciare l’umorismo di Kafka, Crespi rileva come la prima interpretazione umoristica dell’opera di Kafka sia legata ad un versante mistico-religioso, da parte di Felix Weltsch con il saggio Religioser Humor bei Franz Kafka (1948), ponendola in correlazione alla fallimentare esperienza religiosa dell’autore. La tesi di Weltsch16 poggia sul riscontro nei personaggi kafkiani di un letmotiv, costituito dall’opposizione tra un dualismo terreno inaccettabile e la volontà di innalzarsi verso l’unicità trascendentale. Il comico scaturisce dall’incapacità di riconoscimento della propria condizione terrena –dualistica- e dall’imperversare di soluzioni ricercate fino all’assurdo. A partire dal primo capitolo de Il processo, un preconcetto d’innocenza muove Josef K. nel presentare i propri documenti e nel richiedere spiegazioni ai rappresentanti di una giustizia che ritiene incomprensibile:

Ecco i miei documenti d’identità, fatemi vedere ora i vostri, soprattutto il mandato d’arresto". "Santo cielo!", disse la guardia,
"possibile che lei non riesca a rassegnarsi alla sua situazione e per giunta sembra mettercela tutta per irritarci inutilmente, noi che adesso le siamo più vicino di qualsiasi altro essere umano!.

"Questa legge io non la conosco", disse K. "Tanto peggio per lei!", disse la guardia.

Il non riconoscere il proprio dualismo spinge K a non rintracciarlo negli altri personaggi e l’attribuirgli un ruolo demiurgico, capace di condurlo all’ignoto tribunale, metafora della Torah, avente invece un effetto ritardante e deviante. Nel sesto capitolo il dialogo in casa dell’avvocato tra K. e Leni esemplare in tal caso:

"Rivelerei troppo se glielo dicessi", rispose Leni, "La prego non mi chieda nomi, corregga piuttosto il suo errore, non sia più così intransigente, contro questo tribunale non ci si può difendere, bisogna fare la confessione. Faccia la sua confessione, appena può. […] Ma nemmeno questo è possibile senza aiuto esterno, per questo aiuto però non deve temere, sarò io stessa a darglielo". "Ne sa di cose su questo tribunale e sugli imbrogli che ci vogliono", disse K..

Il desiderio di accorciare l’iter metafisico di Josef K., lo spinge ad avvicendarsi tra fantasmatiche e abiette ambientazioni come la cancelleria e la camera da letto dell’avvocato, costellata da personaggi paradossali o stravaganti, che si rivelano incapaci nella scansione della vicenda di restituire una logica risolutiva, straniando fino all’assurdo la visione del protagonista, come si evince dalla diatriba tra Josef K. e il sacerdote successiva al racconto della parabola nella tenebrosa cattedrale di Praga:

Tacquero poi K. disse: "Dunque credi che l’uomo sia stato ingannato?" "Non fraintendermi", disse il sacerdote, "ti sto solo esponendo le opinioni che ci sono a riguardo. Non devi tener troppo conto delle opinioni. La Scrittura è immutabile e spesso le opinioni esprimono solo la disperazione che ne deriva. In questo caso c’è persino un’opinione secondo la quale l’ingannato è proprio il guardiano." "E’ un’opinione audace", disse K. "Come viene motivata?". "La motivazione"rispose il sacerdote,
"prende le mosse dall’ingenuità del guardiano. Si dice che lui non conosce l’interno della Legge ma solo il tratto che deve continuamente ispezionare davanti all’entrata […]" Sono delle buone motivazioni era credo anch’io che l’ingannato sia il guardiano[…]".

Una tale chiave di lettura non tiene conto del rapporto demistificato con la religiosità ebraica e delle aspirazioni laiche presenti nel pensiero e nella scrittura di Kafka17. Le possibili parodie del religioso hanno valore parziale e relativo all’humor ebraico, connotato dall’ aneddotico e dalla battuta di spirito che strangola sul nascere ogni tragicità, come sottolinea Freud18.

14 D. F. Wallace, Alcuni considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate in Considera l’aragosta, Einaudi, 2015.
15 J. Linder, Note sul comico di Kafka in K. Revue transeuropéenne de philosophie et arts, 1, 2/2018, pp.38-50
16 G. Crespi, Kafka umorista, Medusa, 2018 pp. 97-99.17 Ivi, pp. 100-101.


L’umorismo laico de Il processo

Nell’indagine sullo humour kafkiano, Crespi rintraccia una seconda matrice interpretativa nel saggio “Humour e creazione letteraria dentro l’opera di Kafka” di Michel Dentan19. Da ricordare che anche Georges Questi parte dalla constatazione di una speculiarità tra dati biografici e psicologico-caratteriali degli scritti privati e scrittura letteraria, da cui prende forma il ritratto dell’interiorità e dell’epopea artistica di Kafka: all’asfissiante partecipazione al vivere ai limiti della disperazione, costellato dal clima d’alienazione e sradicamento verso la comunità ebraica praghese e la società mitteleuropea e l’ insopportabile rapporto col clima familiare e impiegatizio visto come strozzatura della vocazione letteraria, fa da contraltare un carattere allegro e gioviale nei rapporti interpersonali sul piano familiare e lavorativo, che si rintraccia all’interno dell’evoluzione estetica e della riflessione sull’esistenza e sull’arte. Lo spirito funge da mezzo di mimetizzazione e resistenza dell’angoscia esistenziale nella routine quotidiana, nella convivenza sociale e impiegatizia, nelle difficoltà d’assurgere alla vocazione letteraria, permettendo, inoltre, di indagare a fondo le variegate personalità e i molteplici ambienti del vivere quotidiano familiare, sociale e lavorativo allo scopo d’innervarlo all’interno della scrittura in modo preciso, unitamente alla propria convulsa interiorità e al suo pensiero. Dentan nota che Kafka adotta un procedimento stilistico-narrativo, iniziando la narrazione realistica con un’immagine o una situazione, come si evince dall’incipit de Il processo :

“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.”
Il sovraccarico semantico sul piano mistico e laico, quanto delle problematiche sociali e personali dell’autore nello svolgimento della narrazione, viene passato al vaglio di tutti i possibili risvolti, attuando uno svuotamento progressivo recante uno stordimento che annulla ogni contenuto assiologico della sfera umana e spirituale, il cui riso è l’effetto derivante dalla liberazione della tensione drammatica accumulata nel seguire la ricerca del protagonista:
Perciò ripeté:"Come posso andare in banca, se sono in arresto?". "Vedo che lei ha frainteso", disse l’ispettore, che già era vicino alla porta. "Lei è in arresto, certo, ma questo non deve impedirgli di svolgere la sua professione. E nemmeno di mantenere le sue abitudini.

Nel capitolo settimo, l’incontro di K. con il pittore Titorelli è la demistificazione del ruolo dell’arte e dell’artista, incapace di soddisfare le aspirazioni dell’assoluto e d’innalzamento dell’esistenza, soggetti al processo di mercificazione dell’arte e all’incapacità di comunicare valori20:

"Lei ha dipinto la figura come realmente sta sul trono". "No", disse il pittore, "non ho mai visto né la figura né il trono, è tutta d’invenzione, ma ho avuto precise indicazioni su quello che dovevo dipingere". "Come?" chiese K.[…]
"Il pittore aveva tirato al seggiola più vicino al letto e proseguì abbassando la voce:"Ho dimenticato di chiederle, in primo luogo che specie di assoluzione desidera. Ci sono tre possibilità, l’assoluzione vera, l’assoluzione apparente e il rinvio. L’assoluzione vera è naturalmente la cosa migliore, solo che su questo tipo di soluzione non ho la minima influenza. […]

"Quanto costano i tre quadri?". "Ne parleremo un’altra volta", disse il pittore. "Ora lei ha fretta, del resto rimarremo in contatto. E poi mi fa piacere che le piacciano questi quadri, le voglio dare tutti i quadri che ho qui sotto. Sono tutti paesaggi di brughiera, ho già dipinto molti paesaggi di brughiera. Molti rifiutano questi quadri, perché sono troppo cupi, altri invece, e lei è fra questi, amano proprio questa cupezza".

L’analisi di Dentan apportata rileva che a dar carica umoristica alla scrittura kafkiana è la sfasatura tra mondo reale e onirico, in cui a straniare l’ottica del lettore è l’oscillazione tra reale e surreale nella descrizione soprattutto degli spazi, in una modalità in cui è incastrato anche l’Io narrante, allo scopo di accentuare il processo demistificatorio della pretesa artistica di rappresentare l’assoluto. In tal modo personaggi, ambienti e narratore si disperdono nell’andamento ambivalente verso la ricerca di saturazione dell’arte alle ispirazioni umane, vanificando l’arte e l’uomo. Ciononostante l’apporto è limitato solo alla considerazione alla riflessione sull’arte e del rapporto tra mondo interiore e creazione letteraria, tralasciante la correlazione tra sfasatura reale-onirico e degradazione posta in modo figurale nei rappresentanti e nei luoghi emblematici del mondo della giustizia, del lavoro, della spiritualità, dell’eros che si intervallano nella narrazione de Il processo.

18 Cfr Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, Newton Compton, Roma 1999.
19 Guido Crespi, Kafka umorista, Medusa, 2018 pp. 103-110.
20 Ivi, pp. 107-108.


Il meccanismo umoristico de Il processo

L’analisi critica di Crespi dell’umorismo nell’opera di Kafka, ha come punti basilari il concetto di sfasatura tra realtà e sogno derivante dall’esegesi di Michel Dentan e una lettura testuale: la costruzione narrativa kafkiana crea uno scenario possibile quanto illogico, atta ad accrescere il labile confine tra atmosfera onirica e una descrizione iperrealistica della realtà, mediante la descrizione fisionomica e comportamentale personaggi e gli scenari anomali in cui hanno luogo le vicende in modo dettagliato. Il linguaggio kafkiano, convenzionale e preciso viene strumentalizzato nel torsione della tensione accumulatasi mediante l’enumerazione aggettivale intorno a dettagli connotativi dal respiro caricaturale filtrati dall’occhio del narratore e del protagonista, come sottolinea Jutta Linder21. Josef K. dall’incipit del romanzo assume un movimento da automa, lo sguardo del narratore e del protagonista si fermano sull’agente, mentre permane statico nella convinzione di essere vittima di un incubo e recando scarsa credibilità allo sconvolgimento della monotonia quotidiana:

[…] Era slanciato ma di solida corporatura, indossava un abito nero attillato che, come quelli da viaggio era provvisto di pieghe, tasche, fibbie, bottoni e cintura, e dava quindi l’impressione, senza che si capisse bene a che cosa dovesse servire, di essere particolarmente pratico. "Lei chi è?" chiese K. subito sollevandosi a metà nel letto. Ma l’uomo eluse la domanda, come se la sua comparsa fosse da accettare e si limitò a chiedere a sua volta:"Ha suonato?" "Anna mi deve portare la colazione", disse K. e cercò, dapprima in silenzio, con l’osservazione e la riflessione, di stabilire chi mai fosse l’uomo.

Nel secondo capitolo, il protagonista dopo in un estenuante ricerca, si imbatte casualmente nel loco in cui si terrà la prima udienza senza presentarsi direttamente. L’enumerazione minuziosa ricalca l’incongruenza del clima in cui si svolgerà il procedimento penale, tratto in modo mitigato, con un lessico comune:

"Abita qui un certo falegname Lanz?", chiese. "Prego", disse una giovane donna dagli occhi neri e lucenti che stava lavando dei panni da bambino in una tinozza, e indicò con la mano bagnata la porta aperta della stanza accanto. K. ebbe l’impressione di capitare in un assemblea. […]

La maggior Parte della gente era vestita di nero, con vecchie giacche della festa, lunghe e cascanti. Se non fosse stato l’abbigliamento a sconcertarlo, K. avrebbe preso il tutto per un’assemblea politica di quartiere.[…]

A ciò si aggiunge la descrizione dell’ambiente in cui si tiene l’udienza, definito con cura a scopo eversivo verso la giustizia22, come il comportamento inconsueto e buffo del pubblico e del giudice istruttore verso K.:

La sala adesso era molto più silenziosa e di quando K. era entrato. Soltanto quelli in galleria non la smettevano di fare le loro osservazioni. Per quanto lassù nella penombra, il fumo e la polvere permettevano di distinguere, sembravano vestiti peggio di quelli di sotto. Molti di loro portavano dei cuscini e li avevano sistemati tra la testa e il soffitto per non farsi male.

"Si", disse l’uomo, "ma ora non sono più tenuto a interrogarla". Di nuovo il mormorio, ma questa volta per un malinteso, perché l’uomo zittì il pubblico con un cenno della mano e proseguì:"Tuttavia oggi, in via eccezionale, lo farò! Ma un simile ritardo non dovrà più ripetersi. E venga avanti!"

"Dunque lei è imbianchino?", "No", disse K. "sono primo procuratore di una grande banca". A questa risposta, dall’ala destra in basso venne una risata così di cuore che K. dovette ridere anche lui. […]

La verve comica prende forma con la definizione clownesca dell’aspetto fisico-comportamentale dei personaggi che affiancano K., tratteggiati in maniera surreale, mentre la concretezza delle azioni spezza la venatura del sogno. Ad esempio i due boia del finale sono delineati dal narratore "in finanziera, pallidi e grassi", fino ad essere scambiati per attori, come K. sottolinea nel domandare agli aguzzini"In che teatro lavorate?".
Ne Il processo Kafka tematizza la colpa e l’esclusione senza sbocchi risolutivi, la sequenza agglutinante degli episodi di K. annulla di ogni validità i campi della sfera umana, intellettuale e civile. La carica denigratoria dell’umorismo kafkiano detiene un’impronta satirica interna diretta in primis verso il mondo impiegatizio borghese e verso l’universo della giustizia, attuata grazie alla conoscenza diretta del mondo e del linguaggio giuridico-burocratico e dell’attività impiegatizia. Attraverso il minuzioso, avvia la creazione fantasmagoria del soffocante e grottesco clima d’ufficio e della burocrazia, denunciandone l’omologazione comportamentale e mentale dei suoi rappresentanti, la falsità dell’assiologia borghese del profitto e del lavoro, la rapacità e la conflittualità vigente; parimenti la critica investe l’emisfero della giustizia fatta di tortuosità labirintiche dei suoi procedimenti e l’ambiguità dei suoi rappresentanti. Emblema in questo senso è il capitolo quinto, Il bastonatore. La denigrazione della weltschaguun borghese, come osserva Crespi, muove in modo bidirezionale, mettendo insieme la realtà funzionaria e la personale esperienza dell’autore. A dar manforte alla proposta di Crespi sullo humour kafkiano, vi è il sostrato dell’umorismo ebraico, la cui caratteristica formale è una letterarizzazione radicale di una verità trattate come metafore è stata sintetizzata da Foster Wallace23, cioè riso connoto dall’ autocritica e dalla forza resistenziale che impedisce qualsiasi risvolto tragico dinanzi alle miserie della vita. Kafka riprende questo divertessement cupo dal rapporto tra uomo e Dio presente nel mondo ebraico, emblematizzato nelle figure del Rabbino o di Giobbe, innestandolo nel rapporto tra gli uomini e con il contingente, tramutando dall’atteggiamento difensivo in strumento critico delle relazioni quotidiani e della propria conflittualità interiore, eliminando qualsiasi elemento drammatico. Una voce vicina all’umorismo kafkiano nel panorama italiano è rintracciabile nell’epopea letteraria e cinematografica del ragionier Ugo Fantozzi di Paolo Villaggio. La descrizione meticolosità, grave e assurda dell’infernale ambito di lavoro, del contrastante rapporto con l’eros e di valori sociali e morali della famiglia e dell’amicizia, tutti incarnati da soggetti deformi e da azioni che rasentano il surreale, innescano una drammaticità del riso atta a demistificare l’immagine di benessere dell’Italia dei consumi del boom economico, a cui non si sottrae nemmeno il mondo intellettuale.

21 J. Linder, Note sul comico di Kafka in K. Revue transeuropéenne de philosophie et arts, 1, 2/2018 pp.40-42
22 Ivi, pag. 45
23 D.F.Wallace, Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate ulteriormente, in Considera l’aragosta, pp. 66-67.

A cura di Domenico Papaccio



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