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Il mercato fa la sua legge - Criminalità e globalizzazione
di Jean de Maillard
Pubblicato su SITO


Anno 2005- Feltrinelli
Prezzo € 6- 135pp.
ISBN 9788807710032

Una recensione di Virginia Greco
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Il mercato fa la sua legge - Criminalità  e globalizzazione

Jean de Maillard, magistrato esperto di transazioni finanziarie e di criminalità organizzata, esamina in questo affascinante trattato filosofico-politico, sintetico e incisivo, la connessione tra criminalità e processi di globalizzazione.

L’incremento dei fenomeni criminali e le profonde modifiche strutturali nell’ambiente dell’illegalità, verificatesi nell’ultimo mezzo secolo, portano ad interrogarsi sulle responsabilità degli attuali sistemi istituzionali. Al giorno d’oggi – fa notare De Maillard -, a differenza di quanto accadeva in passato, tutte le classi sociali sono potenzialmente interessate ad attività criminali e il plusvalore tramite esse prodotto è immenso. La criminalità organizzata si sviluppa e viene gestita in alto, negli ambiti dell’economia, della finanza e del potere, per poi piegare ai propri scopi la naturale propensione a comportamenti illeciti delle classi meno abbienti.

Durante l’ultimo secolo si sono verificati profondi mutamenti nelle strutture sociali, i quali hanno determinato l’evoluzione e la trasformazione radicale della criminalità cui abbiamo accennato. De Maillard intravede il fondamento di tutto ciò nella crisi degli stati-nazione. Questi nacquero nell’intento di ordinare e, in qualche modo, incasellare la vita di uomini che s’identificavano nell’appartenenza ad una certa popolazione e nell’occupazione di un certo suolo. Le istituzioni in questione, dunque, guidavano le persone, offrendo loro una salda struttura all’interno della quale vivere, nonché senso di protezione e identità di nazione. La dimensione sociale veniva gestita e controllata dallo stato tramite la disciplina dei corpi: attraverso le pratiche di insegnamento e la regolamentazione del quotidiano erano promosse, in ambito pubblico, le similitudini sociali (“costanti collettive”). Lo stato-nazione realizzava, nell’opinione dell’autore, un’omologazione dei comportamenti, costringendo la gente a relegare alla dimensione privata tutte le particolarità della vita individuale: le credenze, le opinioni, le scelte e le pratiche personali. Al giorno d’oggi, invece, il verbo neoliberista, che si fa portavoce delle esigenze di libertà, impone che tutto ciò che un tempo era nascosto fra le quattro mura domestiche venga portato alla ribalta e promosso in ambito pubblico. In questo modo, ciò che prevale non sono più le costanti collettive, bensì le distinzioni individualistiche. Questo comporta evidentemente una crisi degli stati-nazione, delegittimati nel loro ruolo di istitutori di un ordine e un conformismo sociale. Pur riconoscendo l’importanza della libertà individuale, ci si accorge che, però, non potendo mettere in pratica una disciplina dei corpi, le istituzioni statali non sono più in grado di garantire identità e protezione alla popolazione. Ciò porta la gente a cercare nuove forme di identificazione, di condivisione di idee e comportamenti, tramite la costituzione di una fine polvere di associazioni che, se da un lato restituiscono alla persona il senso di appartenenza ad un’unità, dall’altro acuiscono gli elementi di distinzione, frammentando il tessuto sociale. Le associazioni criminali non sono altro che grossi e strutturati organismi che fanno leva su alcune esigenze della gente per ingrossare le proprie fila, favoriti dal fatto che la riduzione dello stato sociale (voluta anch’essa dal neoliberismo) ha portato ad un’impossibilità delle istituzioni pubbliche di venire incontro alle esigenze delle classi subalterne.

L’istituzione di divieti e leggi atte a reprimere i comportamenti criminali, del resto, funge da arma a doppio taglio, in quanto porta allo sviluppo del “mercato della trasgressione”: gli ambiti economici proibiti (come commercio di droga, sesso, animali protetti e, addirittura, schiavi) diventano sistematicamente appannaggio e dominio delle organizzazioni mafiose e sono tanto più lucrativi quanto maggiore è il valore che gli stati conferiscono ad essi tramite le proibizioni. Dal canto loro le leggi appaiono sempre meno efficaci, principalmente perché è difficile arginare fenomeni che valicano oramai facilmente i confini nazionali e a causa dell’impossibilità di intervenire nell’ambito privato degli individui.

Queste e altre le ragioni, individuate dall’autore, di uno sviluppo preoccupante della criminalità organizzata in tutti gli ambiti sociali e nei più disparati settori dell’economia, per opporsi al quale appare necessario programmare interventi radicali.


Una recensione di Virginia Greco



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