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Ieri in palestra ho incontrato un amico dei tempi del liceo. Era 30 anni che non lo vedevo. L’ho riconosciuto appena, sono stato identificato miracolosamente. Stava solo, in disparte, con due peli in testa, i denti rovinati, lo sguardo assente. Non sapevo cosa dirgli, gli ho detto tutto, come faccio di solito. Di quella volta che feci un incidente con il BMW 1200, correvo a 160 all’ora per la via Sacramora, mi spazzò via una Rover metallizzata scura che marciava nella mia corsia. Finii la mia corsa contro un albero pietoso, mi spezzai la schiena, il casco e la testa, oppure rinsavii. Di Marco, il liceale, mi ricordo il suo fare lento, macchinoso, tutto sommato lo invidiavo. Parlammo di quella gita compiuta in Australia mentre in Italia Moro fu preso in ostaggio dalle BR. Lui aspettava l’onda, quella giusta, con il suo surf rosso, i capelli lunghissimi e biondi, io un lavoro sicuro e una collega da fottere in banca. Ero moro con i capelli alla Beatles. Com’è strana la vita, fu lui a finire in banca. Io come Vittorio del Grande Fratello, inseguii i miei sogni, morti come i miei amichetti della strada, per vie traverse. Nel liceo Einstein della Colonnella volavano cazzotti in viso, fascisti contro comunisti, e comparvero lì le mie idee solide. Pensavo che noi, a Rimini, per famiglie e tempo storico, eravamo cattocomunismi fin dalla nascita, andavamo in chiesa e possedevamo la tessera del “gran partito,” il resto era solo malattia mentale o devianza. Le varie stragi non ci facevano paura, anzi, fomentavano il nostro credo duro come il marmo delle lapidi e rosso come il sangue. I gay, tanti già allora, vivevano di sghimbescio, i drogati che convivevano con noi, rappresentavano il nostro lato oscuro, l’esempio da non seguire. La mia è, fu una generazione malata: drogati, gay, etero, assassini, ladri, figli di papà e di puttane. La coca ancora non girava, l’erba fu il simulacro cui tutti si dedicarono. Il giorno in cui Moro periva, morì la mia giovinezza e quella dei miei compagni di scuola, i più sensibili, e così i sogni si tramutarono in incubi spaventosi dal futuro incerto. Non eravamo né carne né P38, solo pezzi di tonno maciullati in un mare di merda e sangue. Marco vive ancora con i suoi a Viserba, forse era gay, non lo seppi mai con certezza, di sicuro è stato l’unico che non ha fottuto le giovani sgallettate segretarie in banca, zeppe di sogni e con il sorriso grintoso e gli occhi fieri, come si può notare nelle fotografie dell’epoca. Io aspetto ancora l’onda, quella più grande, sotto un cielo plumbeo minacciante pioggia e con gli occhi bagnati, ma so che non arriverà mai o, se per caso fosse già passata, non me ne sono accorto. L’oceano australiano ora è il mare di Rimini, zeppo di mucillagini color arancio, ma placido, tranquillo. Troppo. Non mi resta che deporre il surf e ritornare alle solite abitudini: gli anni ’70 sono terminati, i drogati sono morti, i gay, quelli di allora, diventati etero. Le fanciulle in fiore, ricce e more da fottere in banca, sono scomparse dal nostro orizzonte per sempre. La ricerca del tempo perduta inizia ora, con i nostri nuovi ideali e cose ancora da fare. Marco, che cazzo ci fai in palestra, va al comizio del PDL e riferiscimi cosa dicono, io ho ancora tanto da dare.
©
Ettore Bonato
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