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recensioni
Ragù
di Capra
di Gianfrancesco Turano
Dario Flaccovio Editore
Collana Gialloteca
Febbraio 2005 - Pag. 230
Euro 13 ISBN 8877586060
Ragù
di Capra è il nuovo romanzo delle edizioni
Flaccovio, collana Gialloteca. E' un giallo
puro, un esperimento interessante, una storia
avvincente. Cattura e trascina pagina dopo pagina
in una corsa perfetta verso il finale. I personaggi
sono ben tratteggiati, l'ambiente della Locride
reso con efficacia, le abitudini e le caratterizzazioni
locali sono perfette. Il dialetto calabrese
e milanese che affiora qua e là tende
a ravvivare la narrazione offrendoci gradevoli
macchiette.
Ma il punto di forza è assolutamente
lo stile. Artistico, elegante, graffiante, innovativo.
Turano sa sorprenderci anche nei momenti narrativi
più banali, nelle descrizioni di contorno,
non si rilassa mai, tiene sempre alta la nostra
attenzione, anche il passaggio più periferico,
quello collaterale, il brano di collegamento,
quello introduttivo o riflessivo, sono potenti
mezzi espressivi posti al servizio di una storia
tutto sommato niente male.
Nel 1924 Richard Austen Freeman scriveva "i
critici e i letterati di professione tendono
a bandire con disprezzo il romanzo poliziesco
come qualcosa che si colloca al di fuori del
dominio della letteratura e a considerarlo un
prodotto di scrittori rozzi e assolutamente
incompetenti, destinato a fattorini, commesse
e, insomma, ad un pubblico privo di cultura
e gusto letterario"
In seguito Borges riscattò l'intero
genere affermando che "in un periodo letterario
caotico, c'è una sola cosa che, umilmente,
ha conservato le virtù classiche: il
racconto poliziesco. Non è possibile
concepire un racconto poliziesco senza principio,
parte centrale e fine. ( ) il romanzo poliziesco
non ha bisogno di difese; letto con un certo
disdegno, ora sta salvando l'ordine in un'epoca
di disordine. E questa è una prova meritoria,
di cui dobbiamo essergli riconoscenti"
Non è dunque un caso che ultimamente
in un periodo letterario piuttosto piatto, le
uniche novità degne di nota, guizzanti
e vitali, ci pervengano proprio da questo settore
letterario di nicchia, a lungo denigrato, ed
ora in via di definitiva riscossa e riabilitazione.
Ragù di Capra è la storia intrigante,
e per certi versi ironica, di un rampante industriale
milanese che, oberato dai debiti, decide di
simulare il naufragio del suo yacht e di fingersi
morto. Naturalmente ha bisogno di un complice
per sbrigare le pratiche con l'assicurazione,
e di un luogo sicuro in cui nascondersi, in
attesa di lasciare il suolo patrio per avviare
una nuova impresa commerciale in Transilvania.
Trova appoggio logistico e supporto nel suo
socio milanese, di origini calabresi, che rimane
in azienda a gestire gli affari, a riscuotere
i soldi del premio assicurativo, e lo invia
nel suo paese natio per una comoda e confortevole
latitanza.
Lo sbarco di questo milanese arrogante sul
suolo della Locride è una delle scene
meglio riuscite di tutto il romanzo, e il confronto
tra l'infiltrato e la popolazione locale costituisce
il fulcro centrale di tutta la narrazione, fino
alle pagine del disfacimento finale, dove l'autore
tocca dei toni drammatici e desolanti, in un
crescendo di situazioni negative che, come nei
Malavoglia, conduce il protagonista a una rapida
quanto incresciosa fine.
Non poteva mancare ovviamente il piccolo finale
a sorpresa tipico di tutti i gialli, che contribuisce
a donare a quest'opera l'ultimo guizzo di una
vitalità sapientemente espressa e a mala
pena contenuta dello stile fantasioso e attentamente
costruito di questo autore, mostratosi capace
di non badare solo alla storia, ma anche alla
forma espressiva, e in maniera veramente pregevole.
Le contrapposizioni quasi da contralto tra
le abitudini locali, gli accenti calabresi,
gli atteggiamenti delle 'ndrine malavitose,
e la mentalità del protagonista, convinto
di poter impiantare a sua volta un clan personale
reclutando giovani sbandati e nullafacenti tra
i ragazzi del paese, sono un crescendo musicale,
che ci conduce passo passo verso una fine praticamente
annunciata, ma non per questo meno accattivante.
Un libro raramente ben impostato dove nulla
viene lasciato al caso. Non c'è personaggio
per quanto secondario che non sia abilmente
tratteggiato, non c'è passaggio narrativo
che non goda di un'abilità descrittiva
veramente fuori dal comune, non c'è dettaglio
che non venga illuminato dalla giusta luce.
Si ha l'impressione di trovarsi davanti a un'opera
ben stutturata, articolata e complessa. I piccoli
colpi di scena che ci accompagnano nella lettura
sono passaggi d'obbligo, tipici della narrativa
del genere, ma anche se ogni impostazione classica
viene qui perfettamente rispettata, permane
il senso di profonda soddisfazione che si prova
quando ci si trova a leggere qualcosa di diverso,
sostanzialmente innovativo e fortemente vigoroso.
Ma d'altronde non fa meraviglia quando si scopre
che Turano fa il commediofrago, che è
uno che sa come si muovono i fili, che ha dimestichezza
con gli intrecci narrativi di un plot coionvolgente
come questo.
E allora ben vengano i cari vecchi canta-storie
che, in spiccato anacronismo con le attuali
tendenze della moda letteraria, ci convincono
ancora una volta della bontà di coloro
che scrivono senza pretese, semplicemente per
raccontare. A chi come noi vuole solo essere
deliziato da un libro e convinto da una bella
storia narrata bene.
Il che dimostra che per fare buona letteratura
non è necessario trattare di temi impegnati
o socialmente coinvolgenti, non è indispensabile
aspirare alle vette dell'olimpo o ripiegarsi
nella mistica contemplazione di se stessi.
La realtà è a portata di mano
ed è fonte inesauribile di vicende talmente
coinvolgenti da rendere inutile qualsiasi altro
tipo di ispirazione.
Complimenti dunque a questo autore e alla nuova
collana della Flaccovio che ultimamente non
sbaglia un colpo, e che ci invita ad aspettarci
presto altri gradevoli sorprese.
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