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I traditi di Cefalonia
di Paolo Paoletti

a cura di Carlo Santulli


Fratelli Frilli Editori 2003
Collana Storica
350 pagine - 20 euro
ISBN 88-87923-92-2

La discussione storiografica sul fascismo, sviluppatasi in particolare sulla scorta degli studi che Renzo De Felice ha pubblicato dagli anni '60 in poi, ha portato ad un approfondimento della complessità di questo fenomeno, che nel bene o nel male ha caratterizzato la storia italiana per un ventennio. Alcuni recenti studi hanno cercato di far luce sull'origine, l'affermarsi e la caduta del fascismo: possiamo ricordare la "Storia delle origini del fascismo" di Roberto Vivarelli, o lo studio di Angelo d'Orsi sulla vita culturale a Torino negli anni '30. Un periodo cruciale per quest'analisi rimane quello della nostra partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale come alleati dei tedeschi, perché inevitabilmente coinvolge un ripensamento globale del fenomeno della Resistenza.
Indro Montanelli parlava di "due resistenze", quella ufficiale, immortalata dalle celebrazioni del 25 aprile, e quella dimenticata di chi ugualmente soffrì e patì sotto l'occupazione tedesca, ma che per una serie di motivi non ha avuto diritto agli stessi onori ed allo stesso riguardo. Anche i tantissimi italiani che sono caduti nel periodo della cobelligeranza coi tedeschi hanno subito la stessa dimenticanza, alla quale gesti recenti, come quello della visita del ministro Tremaglia al sacrario dei caduti di El Alamein (2001), vogliono rimediare.
Non posso nascondere che si tratta di un discorso maledettamente difficile, quello che il libro accurato ed appassionato di Paolo Paoletti vuol riaprire. Maledettamente difficile, perché sono problematiche complesse e dolorose, ma d'altro canto l'analisi del passaggio dalla guerra voluta dal fascismo alla Resistenza non si può evitare, se si vuole parlare della nostra storia recente. Allo storico spetta, e Paoletti cerca di farlo, il compito di cercare di attribuire responsabilità a chi le ebbe, e di offrire, ove necessario, riparazione per i torti subiti.
Come vale forse la pena di ricordare, la storia della Resistenza parte dall'otto settembre 1943, per effetto dell'armistizio concessoci dagli Angloamericani, con la conseguente invasione tedesca del nostro paese. Da subito, gruppi di soldati e di semplici cittadini prendono le armi contro l'invasore: tuttavia la maggior parte del nostro esercito si sfascia, e questo è all'origine dell'invasione tedesca di buona parte del nostro paese e di oltre un anno e mezzo di guerra civile. La Resistenza è stata sempre rappresentata come una scelta coraggiosa: difficile immaginarlo nel caso specifico di quei militari italiani che si erano trovati dopo l'armistizio su un'isola, come Cefalonia (ma lo stesso accadde a Corfù ed in altre isole greche) in "compagnia" dell'ex alleato tedesco.
Eppure, anche a Cefalonia la scelta, e ugualmente coraggiosa, ci fu: l'autore mostra come ci fosse un ventaglio di opzioni possibili, compresa quella di schierarsi coi tedeschi, disobbedendo alla scelta di campo del re e di Badoglio, che dovevano assicurare che ogni ostilità cessasse nei confronti degli angloamericani. Oppure ci si poteva arrendere, sperando in una soluzione pacifica del confronto coi tedeschi, o più ragionevolmente che i nostri nuovi alleati ci tirassero fuori dall'isola, rimpatriando i nostri soldati, come le clausole dell'armistizio prevedevano.
Le cose andarono diversamente: e dopo lunghe trattative gli Italiani furono attaccati e sopraffatti, in particolare per l'apporto determinante dell'aviazione tedesca; alla sconfitta seguì un insensato massacro, solo parzialmente spiegabile col delirante ordine di Hitler di non fare prigionieri, nel senso di uccidere chi cadeva in mano tedesca.
L'analisi storica di Paoletti si concentra con estremo puntiglio sui due elementi chiave del dramma di Cefalonia: i motivi del massacro della Divisione Acqui, ed il comportamento del generale Antonio Gandin, che la comandava. Lo storico ritiene che il comandante non sia esente da responsabilità per quello che accadde. Non è una tesi facile da sostenere, perché Gandin, oltre a perdere egli stesso la vita a Cefalonia, è stato insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Ci vogliono elementi nuovi, e Paoletti ne porta un gran numero, dopo ricerche accurate in archivi italiani e tedeschi. Il documento più "pesante" è una lettera di Gandin al comandante tedesco Lanz, che definiva "ribelle" la divisione che egli stesso comandava. Sarebbe questa lettera, e non altro, che avrebbe indotto Hitler ad emanare il Sonderbefehl ("trattamento speciale": uno di quei terribili eufemismi della follia nazista) che originò il massacro.
Perché ribelli? Si tratta di capire che cosa accadde a Cefalonia tra l'otto ed il quindici settembre 1943, quando gli Italiani (e non i Tedeschi, come comunemente si riteneva) vennero attaccati. Fu quella la settimana cruciale, in cui l'esercito italiano si sbandò, secondo quanto si è sempre pensato, per mancanza di ordini precisi ed anche per stanchezza, dopo una guerra di oltre tre anni. E' il "dramma dell'otto settembre" come venne vissuto da molti italiani: il re in fuga verso Pescara, poi verso Brindisi, la capitale lasciata in balia dei tedeschi, nell'attesa di uno sbarco angloamericano, poi rivelatosi irrealizzabile in quel momento.

Tuttavia, Paoletti dimostra che l'ordine preciso nel caso di Cefalonia ci fu, e fu di combattere contro i tedeschi, ma Gandin decise di ignorarlo, perché voleva trattare con gli ex-alleati (Gandin, oltre a parlare un ottimo tedesco, era molto stimato negli ambienti della Wehrmacht, al punto da aver ricevuto un'onorificenza militare tedesca, la croce di ferro di prima classe). Perse dunque alcuni giorni preziosi, anzi compì delle mosse inspiegabili dal punto di vista militare, come far ritirare le artiglierie, fin dal nove settembre, dal nodo cruciale di Kardakata, più in generale consentendo alle truppe tedesche di riorganizzarsi (bisogna considerare che il rapporto tra militari italiani e tedeschi a Cefalonia era all'otto settembre 1943 qualcosa come 6:1).

Cosa Gandin volesse fare, non appare totalmente chiaro. Cedere la sua divisione ai tedeschi? Trattare la resa con l'onore delle armi? Combattere al loro fianco, da buon simpatizzante nazista? Di fatto, il generale indisse un referendum tra le sue truppe, che si schierarono in modo abbastanza compatto per la lotta contro i tedeschi. Quel che accadde in seguito, è purtroppo noto: non mancarono atti di eroismo personale, ed anche casi di tedeschi che sfidarono l'ordine di Hitler, salvando degli italiani, ma Cefalonia rimane una delle pagine più dolorose della nostra storia recente.
Fin qui il libro di Paoletti. Rimangono da fare alcune osservazioni su quanto affermato: innanzitutto, è significativo rilevare che la mole di dati presentata è impressionante, in un libro voluminoso, ma non di dimensioni eccessive, e senz'altro leggibile. Inoltre, su Cefalonia, che rimane una pagina orrenda del militarismo di ogni tempo, è scesa col tempo un'aura nostalgica e quasi romantica inadatta e un po' agghiacciante: ricordo "Il mandolino di Capitan Corelli" di Louis de Bernières, con i suoi tipici stereotipi hollywoodiani dell'Italiano strimpellatore. Questo libro riporta le cose nelle loro giuste proporzioni.
Detto questo, non tutto nella ricostruzione dell'autore convince. Mi riesce un po' difficile pensare che gli anglo-americani fossero disposti ad accettare una battaglia aperta con i tedeschi su un fronte marginale come quello dello Ionio, dove oltretutto la preponderante presenza italiana suggeriva altre soluzioni. In questo, non faccio che ripetere quel che diceva Churchill nella sua "Storia della Seconda guerra mondiale", che ancora dopo aver letto questo libro mi sembra plausibile. E' certo che pesava anche una diffidenza dei nuovi alleati nei nostri confronti, sulla quale pure non ho dubbi, ma d'altro canto è difficile pensare che pochi giorni dopo l'armistizio gli angloamericani fossero disposti a veder ripartire tutta la marina italiana - una delle più forti del mondo, peraltro - per altri teatri di guerra, senza sospettare inganni o tradimenti. E' forse illogico anche pensare che per incanto non ci fossero più fascisti o filo-tedeschi nelle forze armate italiane: Paoletti anzi ritiene che Gandin fosse una pedina chiave per riformare un esercito italiano alleato dei tedeschi nell'Italia occupata. Un fascista rimasto tale, dunque. Un traditore? Forse, ma Gandin è comunque nella lista dei caduti a Cefalonia. Come classificare allora un re ed un governo che, dopo aver firmato l'armistizio, non ebbero il coraggio di affrontarne le conseguenze, e lasciarono la capitale per fuggire a Brindisi?
Quel che appare certo è che le vittime di questo multiplo tradimento sono le migliaia di nostri connazionali morti a Cefalonia, di cui questo libro ha senz'altro il merito di perpetuare il ricordo, ed ai quali va il nostro commosso pensiero, perché se oggi viviamo liberi in una democrazia, lo dobbiamo anche a quel lontano referendum su un'isola greca. (C.S.)


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