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La follia di Ignazio Rando
di Dario Franceschini
Pubblicato su SITO
Anno
2007-
Bompiani
Prezzo €
13-
146pp.
ISBN
9788845259456
Una recensione di
Stella Fabiani
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Dicono che Marquez sia la fonte ispiratrice di Dario Franceschini. Può darsi. Eppure,già dal titolo, “La follia improvvisa di Ignazio Rando” sembrerebbe rinviare a un altro Nobel : Luigi Pirandello. Sarebbe facile obiettare che i personaggi dello Scrittore siciliano hanno sempre un “motivo” per impazzire, ( il fischio di un treno o una caduta da cavallo), mentre la follia di Ignazio Rando è “improvvisa”, senza alcuna causa scatenante. E’ vero. Però, in entrambi gli Autori, “ la follia” appare una via di fuga da una Società-archivio in cui, solo se “certificato”, ciò che io sono o che posseggo “ è “.Un terremoto riduce in macerie l’anagrafe comunale e non si hanno più certezze , riguardo all’identità dei personaggi pirandelliani in “ Così è, (se vi pare)”. Un incendio alla Conservatoria Regia incenerisce gli atti di Proprietà, e per i concittadini di Ignazio Rando si prepara un futuro senza più verità , in cui vi saranno solo “parole, ricordi, dubbi, cause, liti infinite”. Là dove finisce il confronto con Pirandello è nella ricerca , tutta franceschiniana, di pervenire, pur attraverso le contraddizioni del reale, ad una Risposta. I personaggi dei romanzi di Dario Franceschini, infatti, non si limitano a porre ai loro interlocutori domande difficili .Essi elaborano anche risposte. Anzi, la risposta è sempre la stessa ed è positiva. Fiduciosa. Si tratta, infatti, di un Si, dietro il quale si nasconde una visione della Vita, e dell’Uomo, che va oltre la Materia. Nel caso di “ Nelle vene quell’acqua d’argento” la domanda riguardava la possibilità di capire quando è arrivato il momento di morire .Per questa domanda, non si ha il tempo di far giungere la risposta a colui che , da anni, la attende, perché si è inghiottiti dalle acque del fiume, prima di poterla dare. Nel caso, invece, de “La follia di Ignazio Rando” la domanda è : “Dunque eri andato là?” Questa volta, però, si ha il tempo di sorridere e fare cenno di Si. Ma che cosa è questo Altrove, nel quale è così bello stare da indurre un impiegato della Conservatoria, serio, scrupoloso e ordinato a salire in piedi, una mattina, sul lungo bancone del suo ufficio, e a calpestare carte, atti, documenti, sotto gli occhi allibiti del pubblico, dei colleghi? E’ il sogno, cioè la follia, cioè la morte; in definitiva tutto ciò che è altrove rispetto a ciò che si vede, o meglio, il solo e unico Vero. Perché ci si inganna a credere, a pensare che il senso della Vita si legga ad occhi aperti. Al contrario, è ad occhi chiusi, nel buio e non nella luce , che tutto diventa chiaro e bello. Ad occhi chiusi, infatti,i frammenti anneriti di carte bruciate , a causa di uno spaventoso incendio, sono farfalle colorate e leggere… Dunque, “ Che senso ha, aspettare il sonno? “ Perché non provare a sognare, vivendo? Perché restare legati a un’esistenza grigia, spenta, meschina e piccola, la cui unica proiezione verso il futuro, e l’immortalità, sia la Conservazione della Proprietà, della Materia, le quattro mura di una casa da ereditare o da trasmettere? Ci sono due modi diversi di vedere il Bar Scandiana, nel romanzo di Dario Franceschini, a seconda di chi lo guarda, di chi è l’avventore che vi entra. Eppure è lo stesso il mobilio, gli stessi i frequentatori abituali ed il vino; lo stesso l’oste e il modo di rivolgersi al cliente in attesa. Dal punto di vista del Ragioniere il Bar Scandiana è,però, un “luogo sordido e buio”;dal punto di vista di Ignazio Rando, invece, “un posto caldo ed accogliente”. Ci sono sempre due modi di vedere le cose, l’interpretazione del reale circostante non è mai univoca e si esprime attraverso categorie di opposti . Spesso, infatti, nella scrittura di Dario Franceschini si succedono parole, e concetti, fra loro apparentemente in contrasto : luce/ombra; immobilità/ movimento ; silenzio/musica, agitazione/calma. Dove è il falso, dove il vero? Lo scrittore più che una visione dialettica, e quindi relativistica,. della Realtà sembrerebbe preferire (se sono sue le parole con cui si esprimono i suoi personaggi) Chi sa guardare le cose , trovandosi nella dimensione del sogno, della follia, della morte e sappia farlo da ora, da subito, giacchè: “ Solo là tutto è vero , che senso ha aspettare il sonno?”. Che frase stupenda…. Ripetuta due volte,nel corso della stessa pagina, eppure diversa, a causa di una virgola: infatti, che senso ha, aspettare il sonno? non è lo stesso che scrivere : che senso ha aspettare il sonno? Nel primo caso, “gustarsi l’attimo di silenzio che si è stati in grado di creare”, oltre a produrre una sensazione di dolcezza, ti dà anche l’idea di un pensiero che si chiarisce pensando. E’ ancora una domanda aperta. Nel secondo caso, invece, il procedere più spedito della lettura, nonostante la presenza del punto interrogativo, ha già in sé la persuasione secca di una soluzione che è stata trovata. .E’ domanda retorica di cui si conosce, in anticipo, la risposta. Fuor di metafora,inoltre, la domanda autentica è questa : che senso ha aspettare la morte per arrivare a comprendere come avremmo dovuto, più ragionevolmente, vivere la Vita? La storia, infatti, che Franceschini racconta ha soprattutto rivelato come ci sia molta più ragionevolezza nelle visioni di Ignazio , nella sua improvvisa ribellione alla “normalità” , nella sua creatività che non nelle “certezze immortali della Conservatoria”, nell’arrogante prepotenza dei suoi meschini custodi: burocrati desiderosi di esercitare il loro piccolo potere sulle cose, sulle persone che, invece, non arriveranno mai a possedere perché la persone,viceversa, possono sfuggire al loro controllo. Possono farlo quando sognano. Quando muoiono , con un sorriso, in quanto non si deve aver paura di fronte alla prospettiva di continuare a sognare , oltretutto, senza più la minaccia incombente di un brusco risveglio . O, semplicemente, quando, all’improvviso, impazziscono ,come Ignazio Rando, nella cui storia la giustapposizione di sogno, follia e morte diventano l’unico modo di sentirsi vivo, davvero. Nell’altrove. Là dove conduce il cammino faticoso della vita . Durante il quale si procede seguendo, nell’apparente caos del mondo, comunque, una direzione. Nel primo romanzo di Dario Franceschini, questa direzione è rappresentata dall’immagine simbolica del fiume. Nel secondo, della strada. Ma le due “rappresentazioni” rimandano, spesso, l’una all’altra. Tanto è vero che, ne “ La follia improvvisa di Ignazio Rando” si legge, tra l’altro, che la gente “scorre nelle strade della città”;che “la strada aspettava Rando, quieta e larga come una fiumana.”o che la strada sbocca in una piazza cosi come il fiume sfocia in un lago . Ho provato a verificare quante volte ricorra il termine strada nel secondo romanzo di Dario Franceschini. Sono tante, tantissime volte. La maggior parte dei capitoli iniziano con la descrizione di una strada : strade solitarie o affollate, dimenticate o dove ritornare;strade in salita o in discesa, scomparse dietro una curva o terminate in un incrocio;strade da dominare senza paura o strade maledette su cui i tram corrono senza fermarsi; strade di montagne da cui guardare una chiesa immersa nell’acqua o strade che a una chiesa conducono, strade di campagne su cui veder venir su donne in bicicletta o strade di città,coperte di neve, su cui un uomo cammina zoppicando; strade che si perdono in una piazza o strade al cui centro conduce l’ombra di una casa, su cui sentirsi gli occhi dei passanti puntati addosso e strade al cui angolo appaiono le insegne dei luoghi in cui entrare; strade da guardare da dietro una vetrina , luminose, nei sogni, o tranquille e tiepide, nella realtà , dritte o sterrate, da percorrere fino in fondo per vedere un edificio bruciare o su cui pensare di essere stati sbattuti, metaforicamente, a causa del medesimo incendio che ha distrutto il proprio ufficio; strade su cui avanzare all’indietro, su cui cercare di non cadere , camminando sull’orlo di un marciapiedi o su cui uscire dopo aver attraversato un grande portone, su cui, infine, veder svolazzare piogge di farfalle o il cui silenzio sia spezzato dal rumore di due spari. Quante sono le strade del mondo? Tante…Tantissime… ma una sola conduce, davvero. Forse, Ignazio Rando ha trovato la giusta direzione su una strada immaginaria, non per questo meno reale, e cioè sul bancone che percorre, in piedi, calpestando fogli, carte , documenti, prima di uscire dall’ufficio in cui ha lavorato 37 anni,5 mesi e 4 giorni. Il bancone,infatti,è la linea retta, l’inizio del percorso che lo porta, attraverso il sogno e la follia, alla calma protezione di un luogo chiuso e sicuro: il cortile, nel quale incontrare, finalmente, con un sorriso, e ad occhi aperti, la morte, oltre il confine labile e fluttuante, (a volte rappresentato dallo scrittore come una linea d’acqua, altre come una tenda mossa leggermente), che ci divide dall’Altrove. Dal Vero. Dove Passato e Presente sono contemporaneamente cosicché, immersi nella medesima dimensione, i vivi e i morti non smettono di conversare tra loro e di incontrarsi. Dove posso sognare di morire e , nello stesso tempo, sapere che non è veramente accaduto. Dove posso morire, eppure, continuare a vivere. Non è facile “riscrivere Franceschini” . Perché non ci sono parole per descrivere le Grandi Cose della vita. Come dice la madre di Ignazio, in una pagina di commovente poesia : “ ci sono i vedovi , gli orfani , ma noi che abbiamo perso un figlio come ci chiamiamo? …per noi è un dolore così grande che non c’è nemmeno un modo per spiegare cosa siamo diventati.” I grandi dolori, cioè, come le grandi gioie non si possono spiegare. Si comprendono solo vivendoli. Così è per le grandi opere della letteratura: occorre leggerle.
Una recensione di Stella Fabiani
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