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Storie della razza antica - Blood
di Vittorio Baccelli
Pubblicato su PB20


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Storie della razza antica - Blood

C’eravamo ritrovati nel mio monolocale che possiedo in città per il solito pokerino settimanale, ma eravamo solo in tre, quando è suonato il cellulare di Marco.
Era Luca che ci avvertiva che non sarebbe arrivato, aveva la febbre e stava proprio male. Povero Luca, è già un bel po’ che non è più lui, proprio adesso che deve discutere solo la tesi per laurearsi in medicina si sente sempre male.
Peccato, mi dispiace per lui e anche per il pokerino che è saltato, in tre non viene bene, non mi diverte.
Tra l’altro fuori avevo anche incontrato Càrola con la sua bimba piccola, ma avevo dovuto lasciarla perché ero già in ritardo per il poker, cazzo! con Càrola ci sto bene insieme.
Quest’amico anarchico, quasi medico, come mi disturba che stia male… ma non ho voglia di tornare a casa, me ne vado perciò in giro per la città, gli altri se ne sono già andati via in auto… invece io sto girando a piedi.
Ricapitolando, Luca sta male, il pokerino è saltato, in tre non è bello, gli altri sono già andati via ognuno per conto suo: c’è un pub qui vicino, ci sono stato qualche volta anche con Càrola, è proprio in centro.
Passo dove avevo salutato Càrola, ma lei ovviamente se ne è andata, arrivo alla porta del pub, entro e mi siedo ad un tavolo.
Non c’è molta gente nel locale, è sempre presto, ordino uno spumantino secco. S’avvicina al tavolino un tipo che conosco solo di vista, alto magro, pantaloni e girocollo neri: è un habitué di questo locale.
Mi sorride, gli rispondo e si siede al mio tavolo, proprio davanti a me.
Tutto sommato sono contento della sua presenza, mi dimentico di Luca e di Càrola: questo tipo mi piace, mi è sempre piaciuto dalla prima volta che l’ho visto, mi sembra un ragazzo molto simpatico e intelligente.
Niente di sessuale, per l’amor di dio! Sono un etero puro e convinto, ma mi piace come tipo, mi affascinano i suoi modi eleganti di fare: sarà come me una bilancia?
Parla, parliamo, non so bene di cosa, ma mi sento sempre più a mio agio: qualche altro spumantino e poi una bella birra gigantesca e ben fresca.
Dei dadi vengono tirati sul tavolo è già un po’ che stiamo giocando e con lui perdo, sto perdendo tutto quello che ho in tasca.
Sarai costretto a pagarmi le bevute, se mi peli tutto!
Dico scherzando e anche lui sorride.
Ecco ho perso tutto, ma non m’importa, anche il dispiacere per Luca s’è rintanato in un angolo nascosto della mia mente.
Ho finito tutti i soldi, che ci giochiamo ora?
Ma sono felice, non m’importa d’essere finito al verde e poi le consumazioni le pagherà lui!
- Perché non giochi te stesso?
Sbaglio o il mio nuovo amico ha detto proprio cosi? Gli chiedo conferma e lui annuisce.
- Si gioca?
- Si gioca.
Per primo tiro i dadi ed escono un cinque e un sei: undici.
- Bel colpo!
Poi sorride, scuote i dadi e tira: due sei.
- Cazzo! Che culo!
- Sono tuo, gli dico, e continuo a sorridere, al che lui mi guarda accattivante.
- Vieni con me?
- Sì.
Gli ho detto proprio di sì, ma di lui mi fido, lo seguirei all’inferno. Ho perso tutto, anche me stesso, mi sento leggero e liberato: ora sono suo, sì sono suo.
- Vieni come me.
- Vengo.
E mi ritrovo in una sala antica, il pub improvvisamente è svanito, siamo seduti l’uno di fronte all’altro su comode rosse poltrone, mi guardo attorno, drappeggi alle pareti, quadri antichi, mobili d’epoca, un soffitto di legno intarsiato, il pavimento sembra d’onice e forse lo è, e sopra di esso sono posati vecchi tappeti.
Non scorgo finestre e neppure porte, ma forse sono nascoste dai tendaggi: siamo seduti l’uno di fronte all’altro e lui mi sta accarezzando i capelli; il suo nome, mi rendo conto che non conosco il suo nome.
Sono tranquillo rilassato, adesso gli chiedo come si chiama, ma sono felice.
Non capisco bene quello che sta succedendo, c’è nell’aria una musica che non riesco ad afferrare e anche un profumo gradevole che non so definire.
Sono tranquillo, rilassato, ora gli chiedo il nome, sono felice, le palme delle nostre mani si toccano e avviene uno scambio di sensazioni: dalle mani? Sì dalle mani, ma è qualcosa di più, è uno scambio piacevole, ma anche fisico, come se il sangue di noi due si mescolasse assieme e defluisse da un corpo all’altro.
Sento che è un dono, ma è un atto se pur gradevole, per me incomprensibile, come se fossi riempito all’interno di lui, e subito dopo sono io a riempire lui e ad esplorare ogni angolo, anche il più recondito, del suo corpo e della sua mente.
Non capisco, o forse ho compreso tutto troppo in fretta, nessuno mi aveva mai preparato ad esperienze simili e tutto è ovattato, come avvolto in una nebbia di vapori di sangue, che ci avvolge, che mi avvolge. Ma sono felice, non sono mai stato così felice, la sala ora offuscata, sembra una sauna rosa, la rugiada si posa su di noi e su ogni oggetto.
All’improvviso mi accorgo d’esser solo, tutto come in un sogno è svanito. Sono davanti alla porta chiusa del pub, l’aria è molto fresca, la notte è inoltrata, anzi è quasi mattino.
Mi rendo conto d’essere completamente nudo: i miei vestiti sono per terra, accanto a me. Mi riprendo e immediatamente inizio a vestirmi, che figura, se passasse qualcuno!
Ma non c’è un’anima in giro, scuoto più volte la testa mentre mi rivesto e tento di rifasarmi, non capisco cosa sia esattamente successo e mi avvio verso casa.
La passeggiata fino alla periferia mi tonifica, sento d’esser cambiato, qualcosa in più è in me, è come se avessi un’altra marcia, va bene… l’ingrano e via…
Ora sono del tutto cosciente, le nebbie si sono diradate, il bere mi ha fatto male? O l’amico in nero m’ha dato qualcosa?
Non so, ma poi metterò a fuoco, intanto apro il portone e salgo lentamente le scale di casa mia, entro e mi fermo sulla soglia della camera.
Lei sta dormendo: lei chi? Mia moglie, mia donna, mia amante? Non ricordo, ma è lo stesso.
È quasi del tutto scoperta, il plaid è scivolato da un lato assieme al lenzuolo.
Mi avvicino con le mani protese verso il corpo profumato, lo tocco, poi con le dita penetro all’interno della sua carne, ne sento il calore e la sento pulsare.
Mi incuneo con le mani nel torace, afferro saldamente il cuore palpitante mentre lei seguita a dormire.
Pian piano le mani riescono fuori dal torace con il cuore martellante, ben stretto tra le dita. Esce dal suo torace e lo sollevo lentamente, dei filamenti dall’organo s’allungano fino alla sua pelle per entrare nel corpo come tubi elastici, il sangue pulsa entro di loro, scorre veloce.
Alzo il cuore sopra la mia testa mentre i collegamenti flessibili mantengono la loro consistenza e s’allungano senza apparente difficoltà.
Adesso il cuore è sopra la mia testa, lo tengo stretto con le mie mani, lo sento palpitare più che mai mentre lo stringo sempre più forte e apro la bocca e allora un fiotto di sangue zampilla dal cuore verso la mia bocca aperta.
Bevo avidamente il dolce nettare vitale, lascio scorrere il sangue anche sulla mia faccia, lascio che mi bagni i capelli e mi zampilli addosso.
All’improvviso mi rendo conto che così la sto uccidendo, non voglio, e con sforzo mi fermo.
Il fiotto di sangue s’arresta e lentamente riporto il cuore dentro di lei, lo rimetto nella sua posizione d’origine, poi estraggo lentamente le mani da dentro di lei.
Ora tutto è a posto, la carne non reca traccia del passaggio avvenuto, ma ho macchiato col sangue un po’ dappertutto, vestiti, pavimento, coperte.
L’inesperienza m’ha preso la mano, questo non succederà mai più.
Lei è molto debole, ho veramente esagerato.
Prendo dal ripostiglio un sacco nero per la spazzatura e infilo dentro ogni cosa sporca, poi prendo in collo lei e la poso nella vasca da bagno.
La lavo, la pulisco completamente, l’asciugo e infine la poso dolcemente su un divano con una coperta addosso.
Pulisco tutta la stanza, rifaccio il letto. Solo allora la rimetto al suo posto, intanto è mattino avanzato.
Preparo un tè al latte e la sveglio. La faccio bere.
Lei dice d’essere molto stanca, mi chiede come ho fatto, mi confessa che ha avuto un orgasmo dietro l’altro per tutta la notte.
La rassicuro.
Dovrò comunque imparare a comportarmi, è stata la prima volta e, ho commesso un sacco d’errori.

© Vittorio Baccelli





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