A Piazza Vanvitelli una lettura storica dell’ora
Napoli al ritmo del tic-tac
Don Marzio, gentiluomo Napolitano, coprotagonista di una commedia corale, “La bottega del caffè” composta da Carlo Goldoni per la mitica stagione teatrale del 1750, guardava l’ora, per mezzo di un “occhialino” sul suo orologio inglese del Quarè.
Allora solo le fasce più alte della società, quelle privilegiate sotto tutti i punti di vista, potevano possedere questi preziosi ed esclusivi accessori, di utilizzo ben poco pratico per essere la vita, ancora dopo l’inizio dell’ancien règime, sostanzialmente regolata sui ritmi del sole.
I lavoratori tutti, braccianti, operai, artigiani di ogni specie, faticavano quotidianamente in lunghe giornate regolate sulle ore di luce; l’unità di pagamento del lavoro era, in città e in campagna, la giornata.
E ancora per 200 anni almeno, gli orologi saranno dei preziosi ed esclusivi accessori, ben poco adoperabili su vasta scala poiché non tutti li possedevano, ed era molto difficile ”accordarli” fra loro .
Pertanto campane e fischi, resteranno ancora gli unici richiami per appuntamenti collettivi, sempre approssimati nell’orario.
Per la gran massa delle persone fino a tutto l’ottocento le ore precise non esistono, la vita è scandita sull’alternanza giorno/notte. Anche il pasto di metà giornata, che era praticamente un optional per la maggior parte delle persone, trovava accomunate poche famiglie.
Ancora agli albori del ‘900 la maggior parte delle persone non aveva né la possibilità di acquistare un orologio, né la necessità di farlo.
Cameriere e personale di servizio lavoravano “a giornata” in città e dimoravano nei locali del sottotetto del medesimo palazzo in cui prestavano la loro opera. Artigiani di ogni tipo lavoravano, in proprio, a lunghe giornate, dall’alba al tramonto per costruire case, arredamenti, serramenti, porte, portoni, scale, camicie, abiti, pasta, dolci, conserve, e così via. Tanto più nelle campagne il bracciantato agricolo lavorava lunghe giornate dall’alba al tramonto come è facile apprendere leggendo Verga.
In tutte le principali città d'Italia, fino agli anni quaranta del ‘900, a mezzogiorno, cioè alle 12,00 in punto, un colpo di cannone segnava la metà della giornata.
L’8 Luglio 1904 la legge 351 del Regno Italiano, “ Per provvedere al risorgimento economico della città di Napoli” istituiva l’Ente Autonomo Volturno, più noto come EAV, ancora esistente il cui unico socio attualmente è la Regione Campania.
L’ Ente, con delibera del 1931 fece progettare e realizzare, su disegno dell’Ingegner Ventura 40 orologi elettrici stradali, con caratteristiche artistiche, montati su colonne di ghisa create dalla fonderia Enrico Treichler di Capodimonte, la novità più interessante era che gli orologi, collegati tra loro, segnavano in tutta la città, contemporaneamente, “l’Ora esatta”, anzi per essere più precisi ogni apparecchio elettrico era dotato di due quadranti circolari che permetteveno la lettura dell’ora, la stessa ora, da tutta la zona prospiciente l’apparecchio. Tale delibera metteva Napoli in linea con altre importanti città europee che all’epoca avevavo optato per analoghi impianti.
Occorre però sottolineare che nel progetto dell’EAV il numero degli orologi al termine dell’operazione avrebbe dovuto essere di ben 500 unità, i 40 deliberati erano quelli il cui costo era a carico dell’ente, i restanti dovevano essere realizzati da privati autorizzati o convenzionati.
Detto per inciso anche Milano ebbe i suoi orologi elettrici nel 1929/30, anche se non artistici, ed anche quelli di Milano sono giunti sino a noi, solo che in quella città essi sono, se si può dire proliferati, infatti, l’appossito ente che li cura ne manutiene attualmente 1354.
Gli orologi di Napoli erano inseriti, come ricorda una nota recente dell’EAV, in un “futuristico” sistema che si avvaleva di cinque circuiti alimentati elettricamente e coordinati da una centralina di comando e controllo, situata al piano terra dell’edificio in via Cisterna dell’Olio 44, ancora attualmente sede dell’EAV.
Il significato degli orologi dell’”Ora Unica” va letto nel contesto della delibera e non certo con la considerazione odierna del tempo e la sua misurazione.
Quando furono progettati e ordinati gli orologi di Napoli, attorno al 1930, ancora nella città erano pochi a poter consultare un orologio.
Ma l’adozione di un “Impianto per l’ora unica” rappresenta una scelta non di poco conto nell’Italia di allora e per una città vasta e multiforme come Napoli, pullulante di numerose imprese artigianali, anche se nel periodo di fine ‘800, come conseguenza dell’unificazione italiana, aveva visto un vero e proprio crollo della ampia industrializzazione che aveva portatato, nel nascente Regno, a individuare nel tratto Napoli-Pozzuoli il primo sito per la Ferrovia Italiana.
Degli orologi che la leggenda metropolitana fa riaggallare nella memoria collettiva, come il mostro di Loch Ness, in numero differente da 40 a 20, quanti fossero, se ne contavano ancora 24 dopo le devastazioni della guerra ma tra vandalismi ed incuria ne sono giunti a noi solo una dozzina, e anche recentemente, ci sono allarmi da mancati avvistamenti.
Occorre altresì puntualizzare e riportare alla memoria che Napoli aveva avuto una splendida stagione Liberty, di passaggio tra ‘800 e ‘900. Di questo stile ancora si ricordano numerose e bellissime affiches di Ditte produttrici o comerciali partenopee; io personalmente ho a mente da sempre le pubblicità con belle signore e automibili contornate da cornici e scritte in stile “Colpo di frusta” della Ditta Mele, patronimico tipicamente partenopeo, che mi pare producesse biancheria, ancora negli anni ‘70 del ‘900 la Ditta riproduceva quei disegni artistici sui suoi strofinacci di lino.
Gli orologi ebbero un design Liberty, così come molti oggetti nati negli anni trenta, in cui questo stile, soprattutto in Europa, era già esaurito, basti pensare alla Bauhaus, ma che da noi ristagnava nelle forme di uno stucchevole stie quale quello normalmente conosciuto come Decò.
In ghisa dipinta di verde, questi alti orologi dovevano avere un po’ l’aspetto di grandi fiori e dare a Napoli un apparentamento con Parigi dove già da tempo Gallimard aveva piantato i suoi splendidi steli di ghisa, con molli fiori a decorazione delle insegne della Metropolitana che rappresentano da soli uno degli aspetti artistici più ricercati e ammirati ancor oggi dai turisti di tutto il mondo.
E’ bene sottolineare che gli orologi elettrici dell’”Ora unica” erano nati con l’intento di coadiuvare la rinascita industriale cittadina favorendo un incremento economico di cui avrebbe beneficiato tutta la società partenopea degli anni’30.
E attenti a non dimenticarci che quei magici anni erano , non per Napoli sola, ma per il mondo intiero, quelli delle maschiette e del tormentone di Lola.
Pertanto tempi di ardite innovazioni, come le chiome corte e le ginocchia scoperte (altro che Mary Quant 1969) per le donne che danzano sulle prime note sincopate, magari fumando arditamente in pubblico con lunghi bocchini.
Gli apparecchi furono salutati al loro apparire dalla stampa cittadina con queste parole.” L’iniziativa del Volturno elimina una deficienza da tutti lamentata e cioè la mancanza di orologi che funzionino costantemente, che non interrompano la loro attività, per rendere inerti i loro meccanismi e per funzionare da motivi decorativi.”.
Non mi dilungherò a descrivere gli orologi che per questo affido alle fotografie, vorrei solo far notare come sulla parte alta della scatola circolare dell’orologio il meccanismo sia sormontato dallo stemma della città, anche dopo il restauro appare evidente il riferimento all’epoca del ventennio infatti lo stemma dove sono campiti i colori del comune sul fondo presenta, in altorilievo, percettibile molto bene nelle fotografie, l’immagine di un fascio littorio.
Alla conta attuale dovrebbero rispondere 12 apparecchi solidamente collocati:
Piazza Miraglia
Piazzetta MontesantoPiazza Vanvitelli
Piazza Museo Nazionale
Piazza Cavour
Piazza Duca d'Aosta
Piazza VII Settembre
Via Diaz
Via Santa Lucia
Via Duomo
Via Filangieri
Via Mezzocannone
Finalmente dopo un’agonia lunga 60 anni si giunge alla lapalissiana delibera del comune che decreta il necessario restauro degli apparecchi.
Ancora nel 2008 gli orologi non erano ricomparsi, le proteste di singoli cittadini, di rappresentanti di circoli storici e artistici, di esponenti della cultura e di amanti della città non si contano, si susseguono, inseguite da depistaggi, promesse vane, risposte a scaricabarile.
Le vicende si tingono anche di giallo, con sparizioni, sostituzioni e apparizioni degli orologi che finalmente iniziano a mostrarsi, restaurati, dalla priamavera del 2010.
Purtroppo la felicità è monca poiché più che di un restauro si è trattato di una manomissione, non solo non è stato rispettato il colore originario per adottarne uno nuovo scelto recentemente dal Comune per altri arredi urbani, ma che non doveva essere applicato a testimonianze storiche, che semmai dovrebbero darci suggerimenti di come ripristinare i colori. Ma anche i quadranti nati con i numeri romani ora sfoggiano cifre arabe.
I medesimi quadranti sono stati sostituiti, e non si capisce il perché, ma non tutti, ed anche le lancette sono in parte quelle originarie e in parte nuove, spesso il quadrante vecchio è abbinato alle lancette nuove, o viceversa.
I nuovi quadranti, oltre che per le cifre si distinguonoper non riportare più, nella parte inferiore la dicitura Società Telefoni Interni, ora sparita.
Ecco ancora un’ occasione perduta per salvare un documento dalla distruzione del tempo; ancora una volta in Italia si sono affidate a mani inadatte preziose testimonianze , ed anche chi è preposto al controllo, la Sovrintendenza ai BBCC, non ha saputo frenare i danni.
Ma le proteste a Napoli non sono finite. E con ragione, poiché a Piazza Vanvitelli, ci scoppia la testa: i due quadranti del medesimo orologio segnano due differenti orari al passante sbigottito, e, tenetevi ben saldi, l’ orario vero, quello attendibile, è ancora un terzo!
In maniera grossolana e superficiale si è contribuito a perdere, senza alcun rispetto, il significato profondo di quelli che sono apparsi, agli occhi di chi ha avuto il potere e la tracotanza di maneggiarli, solo “12 piccoli orologi” e non quello che realmente sono: l’immagine di Napoli negli anni trenta, leggibile nell’attuale contesto moderno facilitando a tutti la comprensione di come, pur passando per tutti il tempo e divenendo storia, anche e soprattutto a Napoli, che è Regina di ogni ritmo, l’ umile tic-tac dell’Orologio è una melodia.
Firenze 15 Marzo 2011
Copyright: artemanuela.it