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Riti primitivi e sagre paesane
di Antonio Manca Puddu e Berto Ventura
Pubblicato su PB15


Anno 2004- Prospettiva Editrice
150pp.

ISBN

Una recensione di Rosario Scavetta
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Il libro riti primitivi e sagre paesane edito da Prospettiva non si deve solo leggere, bisogna anche viverlo! Il gentile lettore si chiederà il perché di questa mia affermazione.
Il saggio di Antonio Manca e Berto Ventura è una ricerca socio-antropologica che, attraverso feste popolari come i Candelieri di Sassari , i Ceri di Gubbio, i Gigli di Nola, i Cilii di Noto, percorre la storia di riti secolari, ed è solo vedendoli che si può capire il motivo del loro tramandarsi nel tempo.
Ho avuto la fortuna per lavoro e diletto, di assistere ad alcune processioni durante manifestazioni religiose simili, prevalentemente diffuse nell’Italia meridionale. Nella gran parte di queste accanto alle funzioni apotropeiche e propiziatorie sono spesso presenti nei riti allusioni sessuali.
Ed è proprio la Falloforia il tema portante del saggio di Manca e Ventura. Dal culto di Dionisio (Grecia) -dal quale sembra abbia avuto origine l’usanza di portare in giro il Fallo come simbolo di fertilità - tra i partecipanti dediti ad eccessi alimentari, baccanali ed orge, fino alla diffusione del Cristianesimo che ha cercato di modificare il carattere falloforico di questo riti, rielaborandoli , purificandoli.
Nel tempo i simboli fallici sono stati sostituiti da colonne lignee, da enormi ceri rivestiti e decorati artigianalmente o da poderose macchine che possono raggiungere venticinque metri d’altezza e venti quintali di peso, come nel caso dei Gigli di Nola.
la Falloforia nelle sue forme svariate è stata Festa di tutti e prima forma di socializzazione. E’ nata con l’uomo ed è sempre esistita (ricordi di culto fallico si trovano un po’ ovunque in Italia e all’estero) adattandosi ai tempi nuovi trasformandosi in Candelore, Candelieri, Gigli etc. etc.
Quindi il Cristianesimo ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione di questi riti.
Ancora oggi è usanza il venerdì Santo nelle chiese cattoliche e greche – spiegano i due autori – porre sulla tomba di Cristo, anche lui morto e risuscitato come Adone, piante, spighe, fiori creando così il cosiddetto “sepolcro”. La stessa usanza si aveva nei riti della divinità greca dove si creavano “giardini” sulla sua tomba. L’intero costume, i sepolcri, i piatti con i germogli di grano dunque, può essere la continuazione sotto un nome diverso, del culto mitologico d’Adone.
Particolarmente interessante la tesi “sposata” da Manca e Ventura nel primo capitolo “Miiti e riti: sogni e segni senza tempo”. I due autori evidenziano l’importanza del mito. Essi asseriscono che il mito non è mai locale, ma universale. Ed è proprio nella sua universalità che trae la sua forza, con la quale gli permette di durare nel tempo. Se il mito non fosse universale , si attenuerebbe, svanirebbe nel tempo. Esso deve necessariamente avere una struttura di base religiosa, altrimenti si ridurrebbe a mera favola, leggenda o romanzo popolare. Nelle Feste popolari come appunto “Candelieri”, “Gigli”, “Candelore”, “Cilii”, il mito ha resistito, ha superato la prova dei millenni pervenendo a noi attraverso la tradizione.
Sicuramente il merito maggiore di questo libro è di “dare vita” a temi che mai nessuno ha avuto l’ardire di proporli in modo insolito e provocatorio, così come specificato nella post-fazione, ma anche l’importanza – mi sento di affermare – di alcune tesi espresse all’interno del testo che trovano fondamento nella minuziosa ricerca storica che i due autori sono riusciti a riproporre in uno scenario contemporaneo. Essi riescono a selezionare ciò che reputano utile in modo da non rendere troppo tecnico il saggio, con una scrittura lineare e scorrevole (quasi romanzata) godibile dalla prima all’ultima riga, mescolando citazioni e tesi di altri autorevoli studiosi senza attriti durante la stesura del testo.
Insomma, un libro da leggere. Ma solo dopo aver visto almeno una delle Feste sopra menzionate!






Una recensione di Rosario Scavetta



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