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Sonetti
di Paolo Bertoli
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Primo aprile

Dai quadri gratterò via il colore,
per schiaffarlo sulle tue buie giornate,
tesoro… eran solo parole abbozzate,
ma tu ci credevi davvero, eri persa d’amore.

Io derubavo poeti e poetesse,
e ti inondavo di essemmesse:
eran coraggiose messinscena
attaccate l’una all’altra, appena appena.

Ma proprio oggi l’hai capito,
che fra noi c’è troppo attrito?
Che sono un pallido fallito?

Prendi la porta e te ne esci,
e a me rimangono sghimbesci
giorni d’aprile, tanti pesci.



Di te mi fa male

Di te mi fa male ogni dettaglio
le mani il collo il culo tondo
nel tuo pensiero acre io m’incaglio
solo in questa sera senza sfondo.

Di te mi distrugge la tua linfa
quando mi dici amore ancora
Di te mi fa male che sei ninfa
e io tuo satiro della malora.

Di te mi fa male quando sorridi
tu lontana amante in altri lidi
dispersa tra le cose tra la gente

sciolto endecasillabo morente,
Di te mi fanno male gli occhi blu,
più di tutto mi fa male… ch’eri tu.



tu non sei solo una donna

Se tu sei solo una donna
la vita è solo una nave in bottiglia
la poesia solo parole in colonna
il mondo è tra la sabbia infinita una piccola biglia.

Se tu sei una donna e niente più
il sole è tenue un faro a pile
il mare è tutto fuorché blu
questa mano un inutile utensile.

Tu non sei solo una donna
sei una suora in minigonna
sei una Troia senza mura

sei la mia gioia, la più oscura.
Tu sei un bianco foglio appeso,
parole perse e animo arreso.



Ma perché sei ancora qui?

Spunti fuori dai cassetti,
negli armadi ti nascondi
nelle cose mi circondi,
mentre scrivo stì sonetti.

La chitarra prendo in mano
cerco il modo di fuggire
da te, dal mondo all’imbrunire,
ma è davvero troppo triste troppo strano

aver creduto tanto invano
di poter dimenticare
una cosa grande quanto il mare.

Insomma sei ancora qui
sei dopo il do e prima del mi,
sei la nota più felice, tu sei il re.


Sei come il mare

Tu sei come il mare e per amarti
devo starti accanto e non guardarti.
devo risentire del tuo clima
devo decantarti con la rima.

Sei come il mare sempre in moto
in te io amo, in lui io nuoto
eppur mi sfuggi in questa vita
come fa l’acqua tra le dita.

Il tuo viso si nasconde
tra il ricordo e le sue fronde
tra una dieci mille onde

che non riesco ad arrestare
ma non posson più scrostare
dalla mia anima il calcare.


Un altro sonetto

Ecco un altro mio sonetto
che nasce uccello senza ali
per dire ciò che mai fu detto
e guarir tutti i miei mali.

Scemo io qui ancora aspetto
che il tuo cuore crudo e nero
presto torni nel mio petto
ma no, non torna, è tutto vero!

Di me già non fai più parte
mentre imbratto queste carte
questo ricco e grigio aprile

ogni giorno… di lacrime un barile.
I miei sensi fanno a botte,
e sia pure sempre notte.



Che bello sarebbe poi sognare

Che bello sarebbe poi sognare
come voi fate, un sogno vero.
Le notti bianche attraversare
a cavallo di un destriero.

Nei miei rari sogni vedo
biciclette senza ruote
appartamenti senz’arredo
tante tetre tombe vuote,

vedo prove di maturità
vedo lei che non ci sta
vedo case da cartolina

vedo cadaveri in cantina.
Chiedo solo un sogno vero
In questa vita in bianco e nero.



Colori

Sono al verde ho il conto in rosso
umore nero a più non posso,
il blu mi assale e mi fa stanco,
dopo certo vado in bianco.

Labbra viola ed occhi gialli,
mi abbandono a questi calli
caccio un ultimo colore
per l’arcobaleno del dolore.

Cerco un rosa straripante
che spennelli questo istante,
cerco un rosa zuccherato

per sto sguardo malandato
che nel grigio mi conduce
alla ricerca di una luce.


Diciannove Aprile

Oggi è il giorno diciannove:
cielo grigio ma non piove,
dov’è mai il dolce dormire?
Questo è il mese del patire.

È la prima primavera
mattino fresco e afosa sera
l’aria è intrisa del tuo Addio
in un giorno solo mio.

Odio odio tutto quanto,
che ho da dire più di tanto?
Resta solo un solo afflato

volo in volo allucinato,
resta in ballo un ballerino,
solo in pista, che cretino.



Venti Aprile

È arrivato il giorno venti
il ciuffo dritto e il cravattino
ho sugli occhi linde lenti
ho da incontrare un uccellino.

Il suo nome è Guendalina
piume corte becco aguzzo
occhi ambigui da gattina,
fosse mai… stasera guzzo!

Siamo in casa già abbracciati
ma il mio nido triste e angusto
le fa nascere disgusto,

l’uccellino ha occhi infuocati,
provo un’ardua acrobazia,
ma quello è già volato via.


Ventitre

Oggi è il giorno ventitrè,
mi ha colpito un maleficio
esco presto dall’ufficio
vago a caccia di perché.

Trovo un cane zoppicante
che mi guarda con timore
non temere amico errante
ho già perso il mio furore.

Mi vien dietro saltellando
ma io fuggo bestemmiando
vuol giocare con qualcuno

dolce fido di nessuno.
E va bene, vieni pure,
troveremo insieme cure.


Eccoti

Ero solo con un cane
La marmellata senza il pane
Mordeva il tedio alle caviglie
Galoppavo contro i sogni a sciolte briglie.

Ma tu poi sei arrivata
In un giorno che pioveva
Una bianca mareggiata
Che ruggiva e non smetteva.

Tu sei dentro a questo foglio:
Tu sei onda e io son scoglio
Tu sei faro e io vascello

Che in balia di un sogno bello
Mi dimentico di tutti,
dondolato dai tuoi flutti.



Voglio solo

Non so proprio cosa sia
Questa strana epifania
Ma tant’è, non m’interessa
farmi largo nella ressa,

Se il tuo cuore ora mi vuole
…no non cercare le parole,
voglio solo andare via
con la tua mano nella mia,

voglio solo la tua bocca
che si schiude e già mi tocca.
No non chiedere il perché

e non chiedere se è amore:
Voglio solo unirmi a te
come l’ape fa col fiore.


Amanti

Siam come venere e la luna
Prime fra le luci della notte
Contiam le stelle ad una ad una
E ai marinai dettiam le rotte.

Siamo il sangue nelle vene
di chi brucia in un istante
Siamo l’anima che freme
Siamo il sole per le piante

Siamo aria e siamo fuoco
Siamo amanti sempre in gioco
Siamo dentro ogni respiro

In questa eterna presa in giro,
disegniamo ancora vita
in fine punta di matita.



Dopo

È la fame che mi prende
Se la tua anima si arrende
É un vulcano nella testa
Un bulldozer nella foresta

Di me poi non resta nulla
Una pianura triste e brulla
Davanti e dentro non ho niente
Sono sol’una, tra mille candele spente.

Rimango appeso al tuo sorriso
Amaro souvenir di quei momenti
Quand’occhi chiusi ma non spenti

Scorgevan dolcissimi altrimenti
E abbandonandosi silenti
Fuggivan dalla terra al paradiso.

© Paolo Bertoli



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