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Università e ricerca
di Giuseppe Costantino Budetta
Pubblicato su SITO


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Dimmi di chi sei figlio e ti dirò chi sarai tra trent’anni.
Anonimo fiorentino del XIII sec.
Giuseppe Costantino Budetta

In Italia, c’è gente che supera esami e concorsi universitari pro-forma. I designati dalla sorte vincono il posto di ricercatore ed arrivano all’ordinariato, superando prove ad hoc. Se si vede bene, questo tipo di professore universitario ordinario ha buoni titoli scientifici. Lo hanno aiutato gli altri (the others). Gli è bastato essere presente in un laboratorio scientifico. Solo la presenza vale, come quando superò gli esami universitari presentandosi davanti alla commissione per ultimo, quando tutti gli studenti erano andati via. Si laureò ricordandosi a memoria una mezza pagina della sua tesi da esporre alla commissione. In rapida successione come da scienziati veri, vinse la serie di concorsi che lo portò alla cattedra come ordinario.

Il 16 di luglio (2009) sono stato presso la segreteria del rettore Univ. Fed. II. Erano circa le undici del mattino ed ero sudato dalla testa ai piedi. Come un pulcino infradiciato dalla pioggia diceva mia madre quando vedeva me e mio fratello bambini, sudati perché giocavamo a pallone. Mi sono fermato a prendere una bibita fredda nel bar dell’università, visto la calura.
Il segretario del rettore come ha sentito il mio nome dal bidello che mi annunciava nella stanza attigua avrà fatto il segnale riservato a quelli da non ricevere. Dopo un po’ si era affacciata alla porta una signora trenta - quarantenne che ha detto di riferire a lei, essendo il segretario impegnato. Dico: “Sono un professore universitario che insegna da ventidue anni a Palermo. Non riesco a trasferirmi in sede idonea, neanche con la Legge 104. Ho molti titoli accademici e pubblicazioni scientifiche, ma non contano.”
Ha risposto: “Deve andare presso l’ufficio personale docente.”
Dico: “Non mi risulta esista un ufficio che riceva le domande di trasferimento dei professori.”
Si è meravigliata ed ha detto che c’è, anche se è come non ci fosse. Mi ha squadrato dalla testa ai piedi. Dico: “Lei mi osserva dai piedi alla testa come un UFO.”
Ha detto di no, sollevando in aria il mento con un pizzico di strafottenza. Prima di andare via dico mostrando la mia camicia inzuppata di sudore: “Ecco com’è un professore universitario.”

Vado all’ufficio personale docente, un edificio mastodontico di fronte alla strada che costeggia la zona portuale. Penso: ecco come mi trattano. A 59 anni, non sono degno neanche di parlare col rettore della Federico II. Avere un appuntamento con lui, magari tra due mesi. Not possible. Ci sono due laghi. In uno nuotano i pesciolini come me e nell’altro i pescecani. I due laghi non comunicano. Nella realtà, i pescecani mangiano i pesciolini, superano ogni tipo di barriera con la loro voracità. Per il Corso Umberto I, pochi studenti, gruppuscoli di turisti svogliati ed i negozi coi saldi estivi. Mi dicono alla reception dell’edificio Personale-Docente-Università: “Vada al 4° piano.”
In ascensore un tizio preme per il primo. C’è anche un uomo ed una donna, in coppia. Quello che ha premuto per il primo piano è più corto di me ed azzardo la battuta:
“Lei si accontenta di poco, solo del primo.”
Risposta pronta, senza girarsi: “Sì, ma si arriva prima degli altri.”

L’ascensore si apre al 4° e m’immette direttamente nel Dipartimento – Personale – Docente. Mi ricordo della stanza del vice-capo ufficio. C’è aria condizionata e tutte le porte aperte. Numerosi gl’impiegati per un mese come luglio: effetto Brunetta.
Chiedo di entrare dal vice – capo – ufficio che lo indicherò con la sigla CUV (capo-ufficio-vice), per brevità. Con lui c’era un’altra persona, andata via subito. Con gentilezza, CUV mi fa accomodare di fronte a lui dall’altro capo della scrivania, piena di scartoffie. La persiana abbassata ombreggia l’ambiente come nel sottobosco. Dico chi sono e lui si ricorda:
“Lei ha una lunga ed inutile pratica qui.”
Si alza e va a prendere il malloppo. Sono tutte le lettere e le domande di trasferimento che ho presentato all’ufficio personale dicente. Tutte sistematicamente respinte in un arco di tempo di ventidue anni. E’ da ventidue anni che insegno a Palermo chiedendo ogni anno il trasferimento in sede idonea, nella mia regione, o in regioni attigue (Basilicata, Lazio…). Dice a monito:
“Professore, ma lei lo sa che i trasferimenti dei prof. universitari sono registrati sulla Gazzetta Ufficiale? Sono atti importanti. Non è facile essere trasferiti. Ci vuole la richiesta esplicita di una facoltà. Dev’essere il Consiglio di Facoltà a chiedere che un posto del suo raggruppamento sia messo a trasferimento.”
CUV voleva farmi intendere che ci vogliono forti pressioni politiche, o di parentela perchè si ottenga quel tipo di favori? Dico: “Ma ho eccellenti titoli scientifici e didattici…”
CUV mi guarda come se fossi duro di comprendonio. Come se dicesse: il merito è meglio che uno se lo ficchi in quel posto.
CUV dice: “Lei le ha tentato tutto. Si è rivolto anche alla studio di un avvocato milanese. Questo avvocato ha scritto una serie di lettere: al rettore della Federico II, ai vari presidi delle facoltà di Napoli, al Presidente della regione, ai rettori delle università di Salerno, Benevento, Avellino, Caserta. Questo suo avvocato ha scritto al rettore dell’università di Potenza dove lei ebbe un incarico d’insegnamento. L’avvocato milanese ha scritto anche a Viterbo dove lei, professore, ebbe un incarico d’insegnamento triennale. Tutti le hanno risposto con un diniego.”
“Ho fatto anche appello alla Legge 104, essendo all’epoca mio padre malato di Alzheimer.”
“La Legge 104 dà un vantaggio tra due concorrenti, a pari merito. Però nessun Preside di facoltà chiese un posto per lei e quindi non c’è stato mai un concorso per trasferimento cui lei avesse potuto partecipare, insieme con altri candidati.”
Provo ad obiettare: “Nel 1998, fu bandito un concorso nazionale per professore associato nel mio raggruppamento che è VET 01. C’era un posto libero presso la Facoltà di Veterinaria qui a Napoli. Feci domanda di partecipazione, presentando tutti i titoli scientifici e didattici. Mi feci aiutare da una segretaria comunale nell’allestimento della domanda e dei titoli come il bando richiedeva. Non fui ammesso e non ho saputo mai perché, sebbene avessi fatto esplicite richieste in questo senso.”
CUV si alza e dice: “Vediamo se le cose stanno così”.
Lo seguo nell’altra stanza. Estrae un tiretto da uno scaffale. Il tiretto contiene delle schede impilate in un asse di ferro. Ogni scheda è scritta a mano con inchiostro rosso. Dice:
“ Il professore che vinse il concorso alla Facoltà di Veterinaria si chiama P.D., vero?”
“Sì, proprio lui.”
“E’ il figlio dell’ex preside di quelle facoltà. Vero?”
“Sì.”
Il padre di P.D. era un grosso barone. Aveva una dozzina d’incarichi tra cui alcuni presso la II Facoltà di medicina (Napoli); negli ultimi anni, era stato direttore del dipartimento di Citologia, Facoltà di Medicina (Napoli). P.D. padre aveva all’attivo oltre cinquecento ricerche scientifiche (dono dell’ubiquità) ed aveva piazzato uomini di sua fiducia in molte facoltà come ordinari. Dico a CUV: “Scusi, ma perché fui escluso da quel concorso?”
“Perché lei non si poteva presentare ad un concorso di professore associato nel raggruppamento VET – 01. Lei risultava già vincitore di un omologo concorso.”
Dico: “Io ho superato un concorso nazionale a Roma per prof. associati e l’ho vinto. Ciò invece di avvantaggiarmi nella carriera, mi limita. Infatti il dott. P.D. come ricercatore ha potuto presentarsi a questo concorso – adesso sono concorsi locali - e vincerlo senza altri concorrenti.”
Esatto: “Lei come prof. associato non può ripresentarsi in un medesimo concorso per prof. di II fascia (associati). Concorso, ricordi, bandito nel suo stesso raggruppamento VET 01.”
Continuo a non capire. Due sono le cose. O mi prende per fesso la Legge dello Stato, o mi prende in giro CUV che dice:
“professore, è inutile che lei presenti altre domande. Le facoltà non richiedono posti per trasferimento. Capisce?”
Obietto: “Ma il Ministero dell’Università dà un contributo d’incentivazione per i professori che chiedono l’avvicinamento in una zona più idonea. Si chiama incentivazione alla mobilità dei docenti universitari.”
“E’ stato calcolato che questo contributo non è ottimale e che in un anno, la facoltà ci perde circa mille euro.”
“Sì, ma se il docente trasferito è di valore, la Facoltà ci guadagna e di molto.”
CUV se la ride e dice: “Non interessano queste cose.”
Lo saluto con una stretta di mano. Dice:
“Professore, ma perché non chiede un anno di congedo sabbatico? Prende lo stipendio mensile compresa la tredicesima e non ci va per un anno a Palermo.”
Dico: “Non è nel mio stile.”
Mi avvio all’ascensore. Con la coda dell’occhio vedo CUV che fa segno ad uno della security di seguirmi fino all’uscita dello stabile. Penso che sono un ingenuo. A cinquantanove anni ancora non l’ho capita. Nel 1993 avevo denunciato una – unica denuncia nella mia vita – che con laurea in Lettere e filosofia aveva vinto la Cattedra in Veterinaria. Il giudice archiviò la denuncia. Andai dal giudice a chiedere perché lo avesse fatto. Disse: “Perché ho altro da pensare.”
Dopo quella denuncia, fui escluso da tutti i tipi di commissione, comprese quelle di laurea. I miei incarichi d’insegnamento a Potenza ed a Viterbo risalgono a prima di quella data.
In Italia, si fa carriera col DNA di CASTA, non con quello grezzo ereditato dalle scimmie.

POST SCRIPTUM. In ambiente universitario, invece di dire: il direttore del dipartimento di Biologia e sperimentazione molecolare si dice: il direttore della Biologia. Come se la biologia fosse una nazione, un mondo a sé. Alcuni dipendenti intendono l’intera facoltà come un mondo a sé. Idem, per i dipartimenti: il direttore dell’Anatomia umana per indicare il direttore del Dipartimento di Anatomia e fisiologia della facoltà di Medicina. Per quelli con alto grado di frustrazione, il mondo è la Facoltà. Un’altra espressione ricorrente nei dipartimenti universitari è: quelli della Neurologia….quelli dell’Anatomia…per indicare il personale di un dato dipartimento: il personale del dipartimento di Anatomia = quelli dell’Anatomia…il personale del dipartimento di Neurologia = quelli della Neurologia. I dipendenti come un’associazione coesa di soggetti, raggruppati intorno ad un capo che sarebbe il direttore. Quelli dell’Anatomia Patologica ce l’hanno a morte con quelli dell’Istologia. Quelli della Clinica Chirurgica si sono alleati con quelli della Patologia Medica per attaccare quelli della Clinica Medica.

A volte ci sono vere guerre. Alla base delle guerre interdipartimentali, c’è la spartizione di fondi di ricerca, di posti di ricercatori, o di cattedre. Ci sono alleanze che nascono in un giorno e si dissolvono con altrettanta facilità. All’interno di ogni dipartimento, l’ambiente è all’apparenza liberale, in realtà retto da ferrea disciplina. Se t’inimichi il direttore, o il vice, o un ordinario di rilievo – nel senso di una persona inserita in un contesto di conoscenze politiche o di parentela – allora il malcapitato è espulso, oppure se di ruolo, messo in condizione di trasferirsi altrove, oppure gli si rende la vita (lavorativa) impossibile con le armi del mobbing.

© Giuseppe Costantino Budetta





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