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Una donna eccezionale
di Davide Rissone
Pubblicato su PBSE2019


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Giorgia stava ancora dormendo quando Alberto si alzò per fare il caffè. Cercando di fare meno rumore possibile, scivolò fuori dal letto, andò in cucina, preparò la caffettiera, la mise sul fuoco e regolò la fiamma, poi si voltò. Un piede stava spuntando dalla coperta. Giorgia aveva la testa affondata nel cuscino e si era avvolta nelle lenzuola, creando una specie di bozzolo da cui solo quella piccola parte era riuscita a sfuggire.

La caffettiera emise un leggero sibilo. Alberto distolse lo sguardo dalla camera e lo puntò verso la finestra del salotto. Come annunciato dalle previsioni stava piovendo ed era ancora piuttosto buio. Le luci del portico dei vicini erano già accese e Mario, in fondo al vialetto, stava trafficando con la motrice del camion. Il freddo faceva girare il motore a rilento, sembrava dovesse spegnersi da un momento all’altro, ma non appena si abbassava di giri, Mario dava un colpetto di acceleratore per risvegliarlo. Alberto si avvicinò un altro po’ alla finestra. Sentì l’umidità sulla guancia. Carla, ancora in vestaglia, era ferma sulla porta di casa. Si stringeva nelle braccia e osservava il marito. La pioggia le stava bagnando i piedi, ma non sembrava importarle. All'improvviso alzò una mano e il camion si allontanò, senza fretta, sobbalzando sotto la pioggia, nello stesso modo in cui una vecchia locomotiva abbandona la stazione.

Tornò ai fornelli, sollevò il coperchio e controllò il caffè. Non stava ancora uscendo. Prese una sigaretta, la sistemò tra le labbra e si inchinò in avanti per avvicinarsi alla fiamma. Tirò un paio di boccate e si spostò il fumo dalla faccia, agitando la mano davanti al naso. Inspirò a fondo e contemplò la carta consumarsi.

Giorgia aveva ritirato il piede, e dalla porta della sala si scorgevano solo più dei capelli lunghi e lisci celarle il viso. Per un momento ebbe la tentazione di tornare a letto, svegliarla e stringerla forte, più forte che poteva. Quando la cenere cadde a terra cambiò idea. Le tende non erano state tirate, e non appena fosse uscito un po’ di sole la luce si sarebbe infilata tra i suoi capelli, incendiandoli, e quelli, con i loro riflessi dorati, avrebbero illuminato tutta la stanza.

La pioggia non accennava a smettere. Alberto fece un ultimo tiro e buttò la cicca. Solo allora pensò ad Alice. Quando l'aveva conosciuta aveva su per giù sette, otto anni. Chiuse gli occhi e ricordò i lineamenti delicati del viso e gli occhi piccoli e scurissimi, come grani di caffè. Portava i capelli lunghi quasi fino al fondo della schiena, erano di un biondo abbagliante, come quelli della sorella.

La caffettiera borbottò.

 

Alberto suonò il campanello e restò in attesa strofinandosi i piedi sullo zerbino. Una freccia rossa indicava la porta. Alice aprì dopo un paio di minuti, senza domandare chi fosse.

– Ehi!, gli disse.

– E tu chi saresti?

– Sei venuto per Gio, vero? – disse la bambina tenendo un braccio appoggiato alla porta.

– Sono Alberto, ti andrebbe di andare a chiamarla?

– Gio ha detto che posso venire con voi stasera, dove mi porti?

– Ha detto così?

– Ha detto che posso mangiare tutto quello che mi va …anche le patatine.

Alberto rimase impalato a osservarla mentre sorrideva e si dondolava avanti e indietro, aggrappata allo stipite. Lo sorvegliava, ma allo stesso tempo sapeva che con il suo corpo non avrebbe potuto fare granché.

–  Le patatine, eh? –  ripeté Alberto.

La bambina si limitò a un cenno del capo, mentre con un piede scalzo si grattava una puntura di zanzare sulla caviglia. Alberto sorrise.

– Okay, però a me va un hamburger insieme alle patatine, che dici?

– Non so, chiedo a Gio se ha abbastanza soldi.

Alberto scoppiò a ridere. “Che tipo”, si disse, – per stavolta offro io, il prossimo giro tocca a te però, eh?

– Gio mi ha detto che mi dicevi così, prenderò anche una coca.

– Andata – rispose Alberto, e la prese in braccio. Era leggerissima. Alice gli si aggrappò al collo, odorava di shampoo.

Giorgia spuntò dal corridoio con un vestito in mano.

– Ciao! Immagino tu abbia già fatto conoscenza con il mostriciattolo!

– Ha fatto gli onori di casa.

– Scusa, la babysitter sta arrivando …mamma fa il turno di notte. Finisco al volo e scendo.

– Noi abbiamo fame, vorremmo un hamburger, spicciati! – disse Alberto sempre sorreggendo Alice.

– Ti ho detto che non puoi venire, Maria sta arrivando – ribatté Giorgia salendo le scale.

– Ma lui ha detto che mi compra le patatine, e le compra anche a te se le vuoi – disse Alice liberandosi dalla presa. Alberto rimase con le mani protese in avanti.

– Lui – disse Giorgia, – si chiama Alberto, mostriciattolo!

Alberto ha detto che…

Ho capito cosa ha detto, ma non se ne parla. La voce di Giorgia era ovattata, come provenisse da un luogo lontanissimo.

Alberto se la immaginò infilarsi il vestito nero che stringeva in mano poco prima. Giorgia era una ragazza piuttosto alta, ma il suo corpo era ben proporzionato. Era un piacere osservarla muoversi, era stata la prima cosa che aveva notato il giorno in cui si erano conosciuti. Quando era di fretta, però, perdeva ogni grazia, gliela l’aveva confessato lei stessa davanti a una tazza di caffè. Afferrava cose a destra e a sinistra e si contorceva come un serpente per sistemarsi le calze o infilarsi un maglioncino. Anche in quel momento, si convinse Alberto, stava saltellando di qua e di là per la stanza, e intanto gridava per farsi sentire fin sotto.

– Diglielo tu, dai, ti prego! – disse Alice voltandosi di scatto.

– Ci penso io – disse Alberto.

Giorgia scese senza scarpe e con i capelli in disordine. Erano ancora umidi. Afferrò Alice e la posò sul divano. Accese la tv e le disse: – Tu sta’ buona qui – poi si passò una mano tra le ciocche per ravviarle un po’.

– Ma Alberto ha detto che posso…

– Portiamola con noi, ci divertiremo.

– Non è necessario, davvero, Maria sarà qui a momenti.

– Chiamala e dille di non venire, io e Alice ci mangeremo un hamburger con patatine.

– E una coca.

– E una coca – ripeté Alberto.

Giorgia si avvicinò a Alberto, gli infilò un braccio dietro la schiena, lo strinse a sé e lo baciò.

– La chiamo e sono tutta vostra.

Alice si era sdraiata sul divano e li stava guardando. In quegli occhi, pensò Alberto, era racchiuso tutto il futuro della bambina, un futuro che lì per lì giudicò radioso. 

 

La caffettiera emise dei piccoli sbuffi di vapore. Alberto tornò ai fornelli e alzò il coperchio mentre il caffè stava ancora uscendo. Era schiumoso e colava con tutta la calma del mondo. Regolò la fiamma al minimo e tornò in camera da letto.

Giorgia non si era mossa. Si sedette sul bordo, le spostò i capelli dalla faccia e abbassò le coperte fino a scoprirla per metà. Le posò una mano sulla spalla per accarezzarla. Aveva la pelle liscia e morbida. La fissò aspettando che aprisse gli occhi.

La caffettiera gorgogliò, Alberto si alzò di scatto e il corpo di Giorgia sobbalzò sul materasso. Mugugnò appena, si coprì e continuò a dormire.

Spense il fuoco e versò il caffè in due tazzine. Aggiunse dello zucchero in una e del latte nell’altra, poi si accese un'altra sigaretta. Il vento stava sbattendo le gocce d’acqua contro il vetro; si stavano aggrappando alla finestra. Mentre scivolavano verso il basso ne arrivavano delle altre che si fondevano con le prime e precipitavano giù.

I lampioni in strada si spensero. Stava facendo giorno, ma la luce ancora non si percepiva. Si scorgevano solo le nuvole in lontananza, gonfie come palloncini.

Alberto controllò l’ora, gettò la sigaretta nell’acquaio e tornò in camera. 

Si stava facendo tardi, dovevano sbrigarsi. Si avvicinò al letto e nello stesso momento Giorgia si voltò dall’altra parte, seppellendosi sotto le coperte. Alberto si arrestò. Senza motivo si convinse che li sotto ci fosse Alice che si stava nascondendo. Una volta lo aveva fatto, così, tanto per prendersi gioco di lui. Stava per pronunciare le parole: – Ti ho scoperta, vieni fuori mostriciattolo! –  quando il corpo avvolto al suo interno si mosse, e lui ritirò di scatto il braccio. Allungò appena una mano e afferrò il lenzuolo, pronto a strapparlo via, e attendendo il momento in cui sarebbe saltata su, in piedi sul materasso, per gridare: – Ci sei cascato, sei proprio senza speranza, Gio non ci casca mai, ah ah ah.

Dei capelli biondi e sottili spuntarono dal risvolto della coperta. Erano come una colata di miele che si spande dalle lenzuola e prima di giungere a terra si sfilaccia in tanti rigagnoli lucenti. Vi immerse le mani, senza più timore, tastò alla cieca e dopo un istante percepì qualcosa di morbido e caldo muoversi sotto le dite. Recuperata la sicurezza, proseguì. riconobbe una pancia, distese le dita, si spostò verso destra e incontrò un fianco. Lo afferrò e fece una leggera pressione verso il basso. Il corpo, ancora caldo, non oppose alcuna resistenza, e nella rotazione una spalla si adagiò sul ginocchio di Alberto. A quel punto, non restava che sollevare il lenzuolo e dire: – Chi è che ci è cascato adesso, eh? Dimmelo un po’, signorina.

Una mano si posò sulla sua, era fredda e pesante. Il cuore gli si paralizzò. Chiuse gli occhi, restò in ascolto e infine decise di sbirciare. La stessa mano si spostò verso l’alto, gli percorse il braccio e giunse fino all’altezza del collo. Da lì, risalì un altro po’ e con il dorso gli accarezzò la faccia, poi si capovolse sotto sopra e lo tastò, come volesse capire a chi apparteneva. Il bagliore dell’alba rese livida la luce nella stanza. Un attimo dopo, delle labbra si poggiarono sulla sua guancia e lo baciarono.

– Che ore sono, dobbiamo andare? – disse la stessa bocca. Un profumo dolciastro gli solleticò il naso.

Alberto riaprì gli occhi, fece un lungo respiro e rispose: – Sì, il funerale comincia tra meno di un’ora.

– Gio? –  disse poi.

– Sì?

– Il caffè si fredda.

© Davide Rissone





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