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LE VIE NASCOSTE. Tracce di Italia remota.
di Antonio Mocciola
Pubblicato su SITO
Anno
2010-
Giammarino
Prezzo €
10-
95pp.
ISBN
n/a
Una recensione di
Alfredo Ferraro
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I luoghi non sono solo la cornice degli accadimenti, dello scorrere del tempo, ma qualcosa di intrinseco, di connesso con gli esseri umani ed influenzano il nostro stato d'animo. Ben lo sapevano gli antichi secondo i quali ogni luogo aveva il suo Genius (dal verbo gìgnere=generare), il nume tutelare. Esiste in Italia una costellazione di luoghi cancellati dalla storia, paesi desolati, abbandonati - per una ragione o per un’altra - che si sgretolano, si sfaldano, avvizziscono sprofondando nel soporifero abbraccio dell’accidia e dell’isolamento. E pur tuttavia custodiscono anch’essi una propria dimensione spirituale. Occorreva un’anima dalla sensibilità non comune per lasciare dietro di sé le località più eleganti e mondane e avventurarsi su strade assolate, mai entrate negli itinerari turistici, pur di raggiungerli e farceli conoscere. Parliamo di Antonio Mocciola, giornalista dalla prosa raffinata e appassionata il quale ha amorevolmente raccolto per noi in quest'ultimo libro le proprie pubblicazioni apparse, nel corso degli anni, in una rubrica del mensile “IL BRIGANTE”. Sono il frutto di vent'anni di ricerca e di turismo controcorrente praticato visitando luoghi sconosciuti, dai nomi arcaici, quali: Craco, Buonanotte, Romagnano al Monte, San Pietro Infine, Argentiera, Stramentizzo, Nardodipace. «Ventuno “Pompei del Novecento” - racconta la quarta di copertina - scrigni di tesori inesplorati. Un’Italia diversa, persa nel buio della storia. Una storia da rileggere, da riscoprire, da amare». Così Curon Venosta (Bolzano), finita sott'acqua negli anni 50 per le esigenze della nascente industria idroelettrica: “Un lago azzurro dall'aspetto pacificato lambisce morbide rive erbose e frastagliate. Mucche pascolanti, un vago odore di malga alpina. E in mezzo al lago alto e impavido, svetta un campanile. Là sotto c'è una chiesa, là sotto c'è l'antica Curon Venosta”. E il lettore si trova proiettato lì, sul posto, osserva l’affiorante campanile resistere con ostinata fierezza al proprio destino, in perenne contemplazione della propria bellezza, meraviglioso simulacro della volontà di sopravvivenza. Come la disabitata Bosa (Oristano), mirabile esempio di archeologia industriale, “città che non oppone, da secoli, alcuna resistenza alla sua voluttuosa decadenza”. Quali moti dell’animo può provocare in noi un posto che appartiene al passato, che misura il tempo non più con l’orologio ma col calendario? Ce lo spiega Mocciola: “Il senso di stordita meraviglia ti prende alla gola, ti incatena, facendoti dimenticare le suggestioni della Costa Smeralda”. Oppure Craco (Matera), cittadina anch’essa brutalmente amputata della presenza umana:“Come tante altre ha la sua brava cattedrale, il palazzo baronale, le strade acciottolate. Ma qui a mancare è il respiro umano. Il vento s’appropria delle pietre abbandonate e scuote le fronde, apre e chiude i battenti delle finestre, si insinua tra le feritoie e urla, spadroneggia. Ora che nessuna forma di vita si oppone all’alternarsi delle stagioni, la pioggia, il sole, la neve, la polvere sbranano quel che resta ancora in piedi". Si avvertono nella descrizione dell’inarrestabile declino gli esiti infausti dell’eterna lotta tra l’uomo e la natura, un’immagine hemingwayana che fa da sfondo ad una realtà avvilita, dilaniata, pietrificata, che appartiene ad una città spettrale, metafisica. Si può restare ammutoliti, increduli, sbigottiti di fronte all’effetto del vento che scuote i battenti delle finestre dalle quali con l’arbitrio della fantasia potremmo scorgere i volti dei vecchi abitanti, figure dalle guance rubizze, come quelle dei bambini o degli anziani in buona salute. Era così prima che una frana, nel 1963, investisse il paese con violenza inaudita. La volontà dell'autore di tener fede per tempo all'impegno preso e di contenere al massimo il prezzo di vendita (10 euro), regala ai lettori un agile pamphlet in cui pur prevalendo l’aspetto informativo («Ma non è una guida», tiene a precisare), riesce a non tradirne lo spirito letterario. A compensare infatti lo squilibrio fra il testo e la scarna iconografia ci pensa lui stesso con l’abituale brillantezza dell’esposizione dimostrando, una volta di più, che la scrittura non è necessariamente meno ricca di sfumature di una sgargiante galleria fotografica. L'icasticità del consumato cronista riesce a trasmetterci il suo stato d’animo, l’eleganza delle metafore immaginifiche colpisce la fantasia, cattura l’interesse e scatena un turbinio di sensazioni. Dardi di questo genere arrivano diritti al cuore del pubblico e lasciano segni indelebili È indubbiamente un’opera inedita, originale, e sta raccogliendo unanimi riconoscimenti. Avrebbe tutte le carte in regola per aspirare subito ad una trasposizione video documentale. Nel frattempo auspichiamo che il successo conseguito sin dai primi giorni di apparizione in libreria convinca l’editore ad approntare a tempo di record una seconda edizione, a questo punto meno spartana. In quanto all’autore, Antonio Mocciola, del quale oltre alle rare doti umane teniamo a ribadire le indiscutibili capacità professionali, ci è dato sapere che per il momento spera che in tanti rendano omaggio ad una di queste “tracce”, affinché essa diventi un po’ meno “remota”, augurandosi «che nella prossima edizione il libro annoveri una “Pompei” in meno, perché vorrebbe dire che quel luogo è stato restituito, almeno parzialmente, alla fruibilità dei visitatori».
Una recensione di Alfredo Ferraro
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