Francesco Lo Vecchio è nato a Sciacca “a pochi metri dal mare”, nel 1956, ma è un Sambucese doc. Ha studiato presso Università degli Studi di Palermo che ha frequentato dal 1975 al 1982. A Brescia, per un ventennio, è stato uno stimato ed amato docente di Francese. E’ pensionato dal 1 settembre 2021 ad oggi.
Impegnato nel movimento nonviolento e nel volontariato, nel 1982, ha fondato l’Associazione ‘M.K. Gandhi – M. L. King – B. Khan’ e ha partecipato attivamente a numerose manifestazioni pacifiste.
Appassionato di fotografia, come ha testimoniato nelle ultime edizioni del Premio Navarro, attualmente collabora anche con La Voce di Sambuca.
Nel 2019 ha pubblicato per la Lilit Books il libro Da Zabut a Sambuca e nel 2022 Da Brescia a Sambuca.
Come ci confessa in “Da Brescia a Sambuca” , per lui “Essere nato nel cuore del Mediterraneo è come essere concepito dal sole: la grande “stella nana” generatrice di energia e vita. …. Il umore quotidiano dipende dal mattino, quando apre le finestre: se il cielo è carico di nuvole, si trascina senza entusiasmo. Esulta quando i raggi del sole inondano la stanza. …Dalla zona di villeggiatura di Adragna … lo sguardo si perde in un lontano orizzonte: il bacino artificiale del Lago Arancio, dove si specchiano le colline inchiodate da gigantesche pale eoliche….”
Vincitore del XIV Premio Internazionale Navarro, non si monta la testa, ma “ resta, con semplicità, al suo posto col suo titolo di “cuntastorie” proprio come quei vecchietti d’un tempo per raccontare la sua Sambuca, come nei due precedenti libri.”
“Cola e altre storie” è una raccolta di racconti destinati ai più giovani e, ci auguriamo, ai posteri, in cui c’è particolarmente una Sambuca irrimediabilmente scomparsa, ma c’è anche una Sambuca attuale, con le sue difficoltà e le sue potenzialità.
I racconti sono stati ambientati in luoghi reali di Sambuca, tranne la Conversazione tra due Nobildonne nella Villa del Gattopardo e Madame De Monastir e il porcellino stupratore, cui viene destinato tutto uno zabaione, ambientati a Santa Margherita di Belìce, e la “La Professoressa Lucia Tessitore” parzialmente a Palazzo Adriano .
Proviamo a immaginare Francesco che li scrive, probabilmente seduto nella sua adorata Conserva o in Adragna "...Nei pomeriggi roventi, in cui la sua gatta si sdraiava al sole restando immobile come se fosse deceduta, al riparo sotto la tettoia dietro la casa … tra vasi di fiori e gatti di passaggio, qualche uccello nascosto tra i rami degli allori …”
Le storie raccontate sono molto intriganti. Lo scrittore ci restituisce vie, cortili, quartieri, edifici, personaggi, che, in qualche modo, sono frammenti della nostra esperienza esistenziale, con abilità immaginativa e creativa, in ricostruzioni puntuali e dettagliate.
La forma è semplice e scorrevole; il linguaggio, chiaro e preciso, è impreziosito da parole, espressioni, proverbi dialettali e sintassi siciliani.
Francesco ci immerge in teneri momenti della nostra fanciullezza, nel tempo e nei luoghi in cui siamo cresciuti, riportando su un proscenio vicende e contesti che non meritavano di essere confinati in un angolo remoto del nostro inconscio.
Le sue descrizioni sono quasi un dipinto, dalle sfumature appassionate, di campagne incolte o chiazzate di papaveri e margherite in cui “… la mente spazia, si perde nell’infinito. All’autore piace attuare piani di “inseguimento” del sole poco prima del tramonto. Quella grande palla di fuoco, che sembra immergersi nel mare, dovrebbe indurre la specie umana ad abbandonare ogni progetto bellicoso, ripulire l’animo da cattivi sentimenti, spazzare via ogni residuo di rancore. …”
Lo scrittore esalta con la sua tecnica narrativa scrupolosa e fantasiosa ogni suggestione interiore.
In Cola e altre storie un mondo surreale, popolato da maschere pirandelliane ribelli e decontestualizzate, ma anche concreto e tangibile, avvinghiato alla società di una piccola comunità rurale.
Una ricerca di angolazioni simmetriche, di profumi e sapori, di ambienti e situazioni, di sentimenti e passioni che dimostra le sue capacità descrittive, di documentazione e di interpretazione della complessa identità sambucese ed umana.
Le coinvolgenti invocazioni alla Madonna si alternano con“Natuzza Las Casas, l’amante di Don Vartulu” e “La za’ Narda: pane di bontà”, con Il pacco di vestiario degli zii d’America o della Zuela, spesso preannunciato da una lettera, con la vampa della “Bammina” forti chi tira lu sciatu, in intrecci esistenziali , che ci disingannano e ci rincuorano.
In Cola e altre storie convivono cose, situazioni, luoghi irripetibili come l’amata e devastata Conserva “… polverosa d’estate, piena di pozzanghere d’inverno … ricca di cicoria e gireddi, … ulivi, vigneti e tanti altri alberi di frutta … ficare, cannare, faje, passiflora, gelsomini, tantissime varietà di fiori stagionali e inebrianti profumi, … galline, galli, pulcini e tacchini.., strani rumori di “donne” …
In questo libro scorazzano un Principe volante, un colto Marchese viveur-voyageur, briganti, proprietari terrieri, la dama di Via Del Corso … bella e maestosa …che sembrava uscita dalla corte di Versailles … e incendiava gli animi dei borghigiani, rimembranze del Terremoto del Belice del 14-15 gennaio 1968, nozze combinate, con relativa stimatura e biancheria sposta, di nobili, borgesi, popolani, scompigli di vita, misteriose scomparse, lumache, tra rassegnazione e speranza, morte “con la bocca aperta, inseguendo un sogno di libertà, una fantastica lumaca Regina, sovrana del Partitu di susu, il Visconte religioso e predicatore di valori, che non tollerava il pianto dei bambini o il belato delle capre e il Pastorello che si dilettava a raccogliere asparagi, littri d'amminazzi… che si fa scrivere da un amico, un Cola chi nnu ni voli mancu a brodu di scola.. né di matrimonio cu Tresa … atta di paglialora e littri di scrocco al Cavaliere intelligente, che non si lasciava sedurre dai salamelecchi, Vicarioti, come Nirìa … autoproclamatosi campiere … pericoloso …. Fascista e… nfami, e nna Vanedda chi pari un curtigghiu ed è un microcosmo in cui si sapeva tutto e di tutti … nessuno toccava niente… a sera si raccontavano storie e aneddoti … si vedeva in tv Villa e Morandi … transitava uno zingaro, con una gabbia in mano … che arriminava la vintura … si assisteva al rito di li buttigli… si mangiava supra lu scannaturi.
Nel palazzo rinascimentale di Don Vartulu, aristocratico di giorno e fuorilegge al calar del sole, si confondono passioni e ambiguità.
All’esterno e all’interno baroni, marchesi e visconti tra enormi lumache e profluvi di vino rosso. Visioni oniriche e miraggi trasportano in un universo alternativo a quello agropastorale.
Queste radici fotografano da dove viene l’ispirazione di Francesco e, a volte, vogliono indicare dove mira ad andare, naufragando leggere come un vento che racconta del passato, ma sbalestra nell’inimmaginabile. Francesco Lo Vecchio, che si auto minimizza un "contastorie", ci fa immergere in una Sicilia lontana, ma, spesso sfumata, senza tempo, ricca di eventi, aneddoti, curiosità e personaggi. La professoressa Tessitore, … per tutti la Signorina … con la sua permanente ai capelli accuratamente tinteggiati … le esili gambe … le scarpette in vernice, i suoi numerosi gatti in casa, che, innamorata di Dante… da pensionata insegnava per passione, non per i soldi … non amava il nozionismo … … esigeva il ragionamento …, Il pittoresco Principe Luigi Interrante, pastore analfabeta, biondo e dagli occhi azzurri,… lanciatosi dagli archi con un ombrello come fosse un paracadute e "Faruzza: spassu e triulu di la Vanedda", indiscussa protagonista di quel teatro, con i suoi abitini sgargianti, scollati, lo spolverino corto, la casa intoccabile, … la pletora di gatti soriani, sono tra i ritratti più stuzzicanti, complessi e articolati di questo suo libro. Una storia più grande, più misteriosa, ma anche più avventurosa e, a tratti, fiabesca. I suoi racconti inseguono sciascianamente una verità letteraria, in equilibrio con il verisimile, ma, nello stesso tempo, esplorano luoghi, mitologie, pozioni d’amore, incantesimi, leggende metropolitane, scavano detriti di memorie e archeologie di testimonianze, delineano i contorni umani di una complessa società, avezza al dolore e a sofferenze, causate dalla violenza degli uomini e della natura. Nella rievocazione del terremoto del ’68, che stravolse la Valle del Belice la sua descrizione di “ volti sbiancati… scene di panico … fughe in viuzze strette …movimenti ondulatori … distruzioni … cumuli di macerie… morti e sfollati accampamenti nelle tendopoli e in garage… notti insonni … soccorsi generosi … sciacallaggi …lutti … sacrifici, disagi, umiliazioni … demolizioni affrettate… piani di ricostruzione… quartieri spopolati … emigrazioni … ripresa …” ci vuole lanciare il messaggio di speranza che nella vita è possibile sopravvivere a qualsiasi sofferenza, anche se diveniamo persone nuove o personaggi costretti dalle situazioni a recitare una nuova parte. Sicilia, Sicilianità e Sicilitudine sono protagoniste lapalissiane con abitanti e episodi che ci vengono disegnati in maniera chiara e sincera dal punto di vista dello scrittore, che, avendo assimilato i reconditi messaggi di una "università popolare" nella sua affascinante "vanedda", risulta una voce narrante perfettamente inserita nel contesto. Il tessuto narrativo, inframezzato da bellissime foto d'epoca, è reso vivace anche dall'uso del dialetto e dall'aggiunta di detti popolari, poesie o estratti di testi di autori siciliani, conducendo noi lettori per mano, con studiata dolcezza, in un viaggio simbolico alla scoperta di una terra che fonde storia e mito, fantasia e realtà, entrando nei sogni, nelle illusioni, nelle inquietudini, per svelarci speranze, paure, dilemmi, gioie, errori, desideri, conflitti d’anima dello scrittore.