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Il "Risveglio" in Kate Chopin
di Lara Scifoni
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Kate O’Flaherty Chopin nacque a Saint Louis, Missouri, nel 1850 (o 1851), da padre irlandese e madre francese. Nel 1870 la O’Flaherty sposò Oscar Chopin, un creolo della Lousiana, e visse a New Orleans fino alla morte del marito, avvenuta nel 1882. La donna si ritrovò vedova poco più che trentenne con sei figli da allevare; tornò a St. Louis, dalla famiglia d’origine, e iniziò a scrivere racconti: Bayou Folk (1894) e A Night in Acadie (1897) sono bozzetti di vita locale, e vennero apprezzati sia dal pubblico che dai critici. L’opera più ambiziosa fu The Awakening, uscita nel 1899 e accolta, al contrario delle altre opere, da feroci polemiche, tanto che l’autrice non fu più ammessa al St. Louis Fine Arts Club a causa della presunta “immoralità” del romanzo. La Chopin, delusa e amareggiata, non diede alle stampe altri libri, ponendo fine a una carriera iniziata a trentanove anni e grazie alla quale si era guadagnata un posto di rilievo nel panorama letterario locale. The Awakening fu pubblicato nell’ultima decade dell’Ottocento, che in America coincise con un periodo di crescenti tensioni sociali. Gli stili di vita tradizionali stavano subendo grandi mutamenti a causa dei processi di urbanizzazione e industrializzazione. Di fronte ai fermenti sociali e intellettuali il baluardo rimaneva la rigida moralità vittoriana e anche le opere letterarie venivano valutate secondo criteri morali, prima ancora che estetici. Intorno alla metà del Novecento, se la Chopin riceveva menzione da parte dei critici letterari, era per essere annoverata tra i “Southern local colourists”, cioè gli scrittori di ambito regionale, con particolare riferimento ai suoi bozzetti di vita in Louisiana. Un’analisi più attenta e approfondita dell’intera produzione di Kate Chopin si deve a un americanista norvegese, Per Seyersted, il quale nel 1969 pubblicò Kate Chopin: A Critical Biography e, sempre nello stesso anno, The Complete Works of Kate Chopin, in due volumi. Egli rivendicò la scoperta di quello che definì un classico della letteratura americana. Il fatto è che negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento i critici lasciarono da parte i giudizi morali e si concentrarono sulla imagery e il ricco simbolismo di cui è intessuto il romanzo della Chopin, la quale possedeva una solida cultura, essendosi diplomata presso il Collegio del Sacro Cuore, dove le suore di lingua francese si preoccupavano d’impartire una buona istruzione alle ragazze borghesi. La scrittrice era perfettamente bilingue e si nutrì della letteratura americana ed europea, soprattutto inglese e francese, ma lesse con passione anche Dante, Cervantes e Goethe. Degli scrittori francesi apprezzava in particolare Guy De Maupassant, del quale tradusse in inglese un racconto intitolato Solitude. The Awakening risente, oltre che degli scrittori francesi, delle influenze fin-de-siècle di Oscar Wilde, Algernon Charles Swinburne, Walter Pater; il linguaggio è “decadente”: evocativo, sensuale, ricercato, a tratti magniloquente. Il romanzo, in merito al contenuto, si colloca tra realismo e simbolismo, tra critica sociale (la condizione femminile alla fine dell’Ottocento) e rifugio nella fantasia, rivisitazione del mito. Quando l’opera fu pubblicata nel 1899, la giornalista Willa Cather nel “Pittsburgh Leader” paragonò la protagonista, Edna Pontellier, a una Madame Bovary creola, poiché come la Emma di Flaubert, Edna è infedele al marito e va incontro a un tragico destino; pur riconoscendo delle innegabili analogie tra le due opere, questa lettura del romanzo della Chopin appare alquanto semplicistica. La novità del romanzo, rispetto all’epoca in cui fu scritto, risiede nel mettere in scena la fisicità femminile e mostrare il “risveglio” emotivo, sessuale, psichico e morale della protagonista. Uno dei temi fondamentali è l’appagamento dell’amore fisico al di fuori del matrimonio da parte della donna, e tutto il libro è intessuto di situazioni potenzialmente adulterine. Il romanzo della Chopin fece scalpore perché l’“eroina” è una donna, che all’inizio appare inquieta e divisa interiormente, ma che tuttavia nel corso della vicenda diventa progressivamente soggetto attivo nella ricerca della sua identità, una self-quest che la condurrà all’estrema scelta di libertà. Per comprendere appieno l’opera è importante ricordare che New Orleans fu fondata dai francesi nel 1718, per un secolo passò di mano tra le potenze europee che si contendevano la colonizzazione del continente nord-americano - Spagna, Francia e, naturalmente, Inghilterra -. Nel 1803 Napoleone vendette la Louisiana agli Stati Uniti da poco costituiti, e l’originaria Nouvelle Orléans divenne New Orleans. La città fu sempre uno straordinario crocevia di culture e lingue; le culture francese, inglese e spagnola si mescolavano alle tradizioni africane e caraibiche; qui, d’altro canto, si consumò anche la tragedia del commercio degli schiavi e si sviluppò il sistema delle piantagioni. Nel romanzo della Chopin è rappresentata la borghesia degli Stati Uniti del Sud; il “popolo” (le bambinaie e tutto il personale di servizio rigorosamente mulatto, i negri che lavorano nelle piantagioni e dei quali vi è solo un rapido accenno) rimane sempre sullo sfondo. Molto vivide e frequenti sono invece le descrizioni sensuali della natura rigogliosa a Grand Isle, nel Golfo del Messico: il fremito delle foglie al vento caldo, i colori vivaci della vegetazione, i profumi penetranti e lo sciabordio del mare, elemento fondamentale anche dal punto di vista strutturale: il libro si apre appunto a Grand Isle, dove i Pontellier trascorrono le vacanze estive; la vicenda poi si sposta a New Orleans e si chiude di nuovo a Grand Isle, conferendo circolarità all’opera. Il mare nel romanzo ha una connotazione ambivalente: nella mitologia greca è l’elemento da cui nasce Afrodite (άφρóς in greco significa “spuma”, quindi Afrodite è colei che è “sorta dalla spuma”) ed è l’acqua la fonte del “risveglio” di Edna, più volte paragonata, in maniera implicita o esplicita, a Venere: La voce del mare è seducente; senza fine, sussurra, frastorna, mormora, invita l’anima a cercare incantesimi in abissi di solitudine; a perdersi nei meandri della contemplazione interiore. La voce del mare parla all’anima. Il contatto con il mare è sensuale, avvolge il corpo nel suo abbraccio morbido, intimo. In questo passo viene sottolineata la seduzione incarnata dal mare, che si appella sia ai sensi che all’anima, quindi a tutto l’essere, ma il suo abbraccio può anche significare il perdersi nell’abisso. Qui la Chopin è molto abile perché anticipa “la morte per acqua” che si compirà nell’ultima pagina, in cui verranno riportate le stesse parole. Il mare rappresenta l’indissolubilità di Eros e Thanatos, dà la vita e la morte, simboleggia la sensualità come eccitazione e movimento ma anche come abbandono, perdita di sé. E sin dall’inizio l’autrice evidenzia la scissione della protagonista, perfettamente consapevole del dualismo tra la vita esteriore e quella interiore, manifestata nell’opposizione lessicale, in inglese, tra outward existence e inward life. La trama al lettore moderno può apparire scarna, essenziale, imperniata com’è sulla personalità della protagonista. Il romanzo, si diceva, inizia sull’isola di Grand Isle, dove la famiglia Pontellier trascorre le vacanze estive; Edna è sposata con un agente di borsa di successo, uomo convenzionale, che percepisce la moglie come una proprietà che non deve deteriorarsi. Egli è premuroso nei confronti di Edna e dei due figli, li asseconda in ogni capriccio, ma trova che la moglie sia in qualche modo manchevole nei riguardi dei bambini di quattro e cinque anni (i quali, tra l’altro, sono poco più che comparse, tanto che a stento se ne conoscono i nomi, Etienne e Raoul). In breve, Edna non è una “mother-woman”, a differenza della maggior parte delle madri creole presenti sull’isola. Nel libro si spiega cosa significasse all’epoca essere “donne-madri”: Erano donne che idolatravano i loro bambini, adoravano i mariti, e ritenevano che fosse un loro sacrosanto privilegio annullarsi come individui e farsi crescere le ali come angeli di bontà. Si noti l’ironia di questo passaggio, in particolare del “sacrosanto privilegio” delle madri di cancellarsi come individui. La signora Pontellier, al contrario, non è in costante adorazione dei figli e li affida volentieri alle nurse per dedicarsi ai suoi interessi: passeggiare, prendere il sole in riva al mare, conversare, dipingere e leggere. In seguito, parlando dei figli con l’amica Adèle Ratignolle, Edna ammetterà apertamente di non essere disposta a sacrificare se stessa per loro: I would give up the unessential; I would give up my money, I would give my life for my children, but I wouldn’t give myself. I can’t make it more clear, it’s only something which I am beginning to comprehend, which is revealing itself to me. E’ opportuno citare in lingua originale questo passaggio perchè tutta la vicenda è imperniata sulla dicotomia life/self: Edna è disposta a dare la propria vita per i figli, ma non se stessa, cioè il self inteso come “io” profondo e autentico, sebbene non le sia chiaro cosa ciò comporti poiché il processo di consapevolezza di sé e di autoaffermazione è ancora in nuce. I mariti lasciano l’isola la domenica sera per sbrigare i loro affari in città e vi ritornano solo nei fine settimana; quindi, Edna si ritrova in una comunità prettamente femminile che permette alle donne di socializzare e scambiarsi confidenze. Edna è diversa dalle altre, non solo fisicamente, come la Chopin puntualizza, ma anche caratterialmente: lei è presbiteriana, discendente da coloni inglesi e dunque appartenente all’America puritana; all’inizio rimane turbata dalla libertà di espressione delle altre donne, tutte creole, ovvero discendenti da francesi e di religione cattolica. In particolare, sull’isola la protagonista stringe amicizia con Madame Ratignolle, affascinante donna bionda con gli occhi azzurri, dalle linee morbide e femminili, che non mostra alcun pudore nel raccontare delle sue gravidanze senza trascurare i minimi particolari: sposata da sette anni, ha già tre figli ed è in attesa del quarto; lei è la perfetta incarnazione della “mother-woman”: a suo agio con il proprio corpo, si sente appagata nel ruolo di madre-moglie-nutrice e vive in funzione della famiglia. In diverse circostanze viene paragonata a una Madonna sensuale per gli splendidi colori degli occhi, dei capelli e dell’incarnato e la radiosità che emana tutta la sua persona. Edna ha ricevuto un’educazione rigida nel Kentucky, il padre era predicatore ed è rimasta orfana di madre da piccola; si rivela una donna riservata, non abituata alle manifestazioni d’affetto, ma a Grand Isle, grazie anche all’espansività e alla franchezza di Adèle Ratignolle, perde quel riserbo che era sempre stato un suo tratto peculiare e un pomeriggio parla del suo passato all’amica, mentre entrambe sono sedute di fronte al mare; Edna è libera di esprimersi e durante quella conversazione rievoca un’immagine che risale alla fanciullezza: l’immensa distesa blu e il vento caldo sul viso le ricordano una giornata estiva nel Kentucky, quando aveva attraversato un prato che le pareva grande come l’oceano mentre l’erba alta, la blue grass, le arrivava più su della cintola e lei camminava agitando le braccia come se nuotasse. Sull’isola soggiorna Robert Lebrun, figlio della proprietaria della pensione in cui Edna risiede, più giovane di lei di qualche anno, e con il quale la signora Pontellier ama intrattenersi e trascorrere le assolate giornate estive. Egli è un accompagnatore galante e premuroso, ma sempre corretto e rispettoso. Tuttavia, Adèle lo mette in guardia, e una sera lo invita apertamente a lasciar stare la signora Pontellier, perchè “- Lei non è dei nostri; non è come noi. Potrebbe commettere il grossolano errore di prendervi sul serio”. Un’altra donna creola in vacanza sull’isola che suscita l’interesse di Edna è Mademoiselle Reisz, nubile e non più giovane, solitaria e litigiosa; a differenza delle signore Pontellier e Ratignolle, che denotano gusto nel vestire, lei appare sciatta, non presta attenzione all’aspetto esteriore e l’unico suo vezzo è un fiocchetto nero con delle violette artificiali che porta sul capo e non cambia mai. Tuttavia, Edna è in qualche modo attirata da lei perché la Reisz è un’artista, suona il pianoforte e anche Edna è appassionata di musica. Una sera, ascoltando Chopin al chiaro di luna, addirittura si sente sopraffare dall’emozione per quelle note che scorrono armoniose come le onde del mare e le lacrime le salgono agli occhi. Madame Ratignolle e Mademoiselle Reisz sono antitetiche, eppure Edna si sente legata ad entrambe, in quanto a lei complementari: sono dei modelli femminili con i quali la protagonista si rapporta senza tuttavia accettarli tout court; tutte e due hanno rinunciato a qualcosa nella vita: Adèle si realizza pienamente (agli occhi di Edna: si annulla) nel matrimonio e nella maternità; la Reisz è il paradigma della donna single, dotata di temperamento artistico, assertiva e autosufficiente. E’ emblematico che entrambe le donne suonino il piano, però mentre Adèle lo ritiene un modo per intrattenere la famiglia e allietare l’atmosfera della casa, la Reisz vive per la sua arte e la musica le consente di esprimere sé stessa; d’altra parte, è atipica e anticonformista e per questo piuttosto isolata; a Grand Isle non fa mai il bagno in mare, e ciò dà adito a commenti maliziosi circa i capelli finti o la paura di bagnare le violette artificiali; metaforicamente, il rifiuto del mare è legato al rifiuto della corporeità. Chopin messo in musica è un richiamo ironico al cognome dell’autrice, anche lei artista in quanto scrittrice; non bisogna tuttavia dimenticare che la musica è uno dei campi simbolici del testo, insieme all’acqua, e i due temi vanno ad intersecarsi; anche la lingua del romanzo è fluida, musicale, ricca d’immagini evocative. Il turning-point del libro è costituito da un bagno in mare di notte, al chiaro di luna, subito dopo il concerto di Mademoiselle Reisz. In precedenza Edna aveva sempre avuto paura dell’acqua: […] Un certo sgomento incontrollabile la prendeva quando era in acqua, a meno che non ci fosse vicina una mano a cui afferrarsi e che potesse rassicurarla. Ma quella notte Edna era come un bimbo che trotterellando, inciampando, afferrandosi, all’improvviso si rende conto delle sue possibilità, e per la prima volta cammina da solo, baldanzoso, con eccessiva sicurezza. Avrebbe potuto urlare di gioia. Urlò davvero di gioia mentre con un paio di bracciate sollevava il corpo sulla superficie dell’acqua. Una sensazione esaltante la prese, come se le fosse stato concesso un vitale potere di controllo dei movimenti del suo corpo e della sua anima. Divenne spericolata e incauta, sopravvalutando le sue forze. Voleva nuotare verso il largo, fin dove nessuna donna era mai arrivata prima. Edna impara a nuotare da sola: ciò segna la svolta perché simboleggia il risveglio della sua coscienza, la rende consapevole della sua forza. Non a caso viene paragonata a un bambino che impara a camminare: è una rinascita dal torpore in cui ha vissuto fino a quel momento, una trasformazione che all’inizio investe solo i sensi; gradualmente implica la consapevolezza di sé, l’aspirazione all’indipendenza fisica e morale, alla realizzazione come artista, e ciò la condurrà a rifiutare sempre più apertamente le convenzioni sociali che la imbrigliano e a scegliere di allontanarsi da una casa in cui si sente “in gabbia”. Quella notte Edna rifiuta di andare a letto nonostante le ripetute richieste del marito e rimane a dormire sull’amaca. Il mattino seguente fa chiamare Robert perché vuole fare una gita in barca al villaggio di Chênière Caminada: è dunque lei a prendere l’iniziativa e il giovane è lieto di accompagnarla. Durante la messa la donna non si sente bene e quindi si reca, sempre accompagnata da Robert, nel casolare di Madame Antoine. Edna dorme di un sonno profondo e ristoratore, mentre il ragazzo l’attende fuori. Quest’episodio contiene elementi tipici delle favole: Madame Pontellier è come Biancaneve o La Bella Addormentata (il piccolo letto è definito “snow white”, candido come la neve), e sebbene l’atmosfera sia propizia all’amore (l’isolamento, la complicità tra lei e Robert, il luogo che assume un’aura fiabesca nel languore del pomeriggio e poi della sera), il lettore non assiste al bacio salvifico del principe che risveglia la fanciulla dal lungo sonno secolare (scherzosamente Robert le dice che ha dormito “cent’anni”). Quando Edna si sveglia, mangia con grande appetito e poi esce, scaglia un’arancia al giovane amico per attirare la sua attenzione e lo raggiunge sotto l’albero d’arance, frutti sacri a Venere in quanto simbolo di fertilità. Il mito di Venere ritornerà ancora nel corso del romanzo; analogamente, il tema del sonno e del risveglio, sia reale che metaforico, percorre tutto il libro. Il sonno, d’altro canto, è l’equivalente simbolico della morte. Dopo la giornata trascorsa con Robert, Edna riflette sul fatto che quell’estate trascorsa a Grand Isle è diversa da tutte le altre e da ogni altra estate della sua vita: Riusciva soltanto a rendersi conto che lei - quella che ora sentiva di essere - era in qualche modo diversa dall’altra. Improvvisamente Robert decide di partire alla volta del Messico, ufficialmente in cerca di fortuna. La notizia lascia confusa Edna, che trova la partenza alquanto precipitosa e in seguito sentirà la mancanza del giovane amico. Terminate le vacanze sull’isola, i Pontellier rientrano a New Orleans, nella loro elegante casa, arredata con mobili e oggetti raffinati; l’ambiente urbano limita la libertà della protagonista e le impone degli obblighi sociali a cui diviene sempre più insofferente: dapprima decide di non ricevere più ospiti il martedì, com’era solita fare, con grande disappunto del marito. Egli rimane assai perplesso perché le visite di cortesia sono importanti in quanto servono a creare e consolidare legami, utili anche per il suo lavoro; Edna in questo modo trasgredisce le convenzioni sociali, non è più un’impeccabile padrona di casa, rifiuta il suo ruolo di “angelo del focolare”; dopo alcune scenate da parte del marito, va in camera sua e scaglia simbolicamente la fede per terra, cercando invano di distruggerla calpestandola con il tacco. Edna sente la casa sempre più estranea e lontana da sé. Alla ricerca di un po’ di quiete si reca a far visita ad Adéle, ma l’armonia familiare dei Ratignolle non la placa, al contrario l’esistenza placida dell’amica le sembra incolore, piatta, mentre lei vorrebbe gustare la coppa “del delirio della vita”. La donna si rende conto di pensare costantemente ai giorni trascorsi a Grand Isle e a Robert: l’eco del mare con il suo richiamo vitale l’accompagna come un sottofondo. Ad un certo punto Edna decide di dipingere e fare solo ciò che le piace. Léonce, di fronte alla consorte non più remissiva, diventa sgarbato e non tollera che lei trascorra il tempo nell’atelier, trascurando così i suoi doveri di moglie e madre: A volte il signor Pontellier si chiedeva se sua moglie non stesse perdendo il suo equilibrio mentale. Vedeva chiaramente che non era più lei. Non si accorgeva, cioè, che lei stava diventando se stessa e ogni giorno si andava liberando da quella identità fittizia che adottiamo come un abbigliamento con il quale comparire davanti agli altri. Edna, dunque, ha deciso di gettare “la maschera” e mostrare la sua vera identità, ma il graduale processo di appropriazione di sé non è indolore e implica un percorso di solitudine: frequenta da sola le strade sconosciute di New Orleans, va alla ricerca dell’appartamento di Mademoiselle Reisz, alla quale si sente spiritualmente vicina perché la nubile donna è l’incarnazione dell’artista libera da pregiudizi. La Reisz a poco a poco diventa la sua confidente, anche perché è a lei che Robert scrive dal Messico e Edna si reca a farle visita per ascoltare la sua musica e poter leggere le lettere in cui viene spesso menzionata. Edna un giorno rivela alla pianista di voler fare la pittrice, ma Mademoiselle Reisz la mette in guardia su questo punto: Essere un’artista richiede molte cose; si devono possedere doti diverse - doti assolute - che non si acquisiscono con il solo sforzo personale. E per di più, per avere successo, l’artista deve avere un animo coraggioso. […] Un animo ardito. L’animo che sfida e osa. Edna, per riuscire nel suo intento, dovrà sfidare l’ipocrisia delle convenzioni sociali, e avrà bisogno di ali forti per spiccare il volo o rischierà di bruciarsi come Icaro. Léonce, intanto, si accinge a partire per un lungo e non meglio specificato impegno di lavoro a New York; ma prima si reca dal medico di famiglia perché è preoccupato per la salute della moglie e invita a cena il dottore, così da poter osservare il comportamento di Edna. Il medico si rende conto della trasformazione avvenuta nella donna, prima apatica e ora così palpitante di vita, e in cuor suo conclude che ciò è dovuto all’innamoramento per un altro uomo. Partito il marito e affidati i figli alla nonna, Edna è sollevata da ogni responsabilità: può dipingere, dedicarsi alla lettura di Emerson e recarsi alle corse di cavalli con il padre; è in una di queste occasioni che incontra un giovane amabile e di gradevole aspetto, Alcée Arobin, impenitente seduttore, che inizia a corteggiarla con savoir-faire e accende i sensi della donna. Nel frattempo, Edna decide di andare a vivere da sola, in quella che chiama la “colombaia” (“the pigeon-house”) una piccola casa calda ed accogliente, dove potrà essere indipendente. Questo riferimento alla “colombaia” è importante, perché l’incipit del romanzo, apparentemente stravagante, alla luce della vicenda che si sta dipanando assume un’importante valenza simbolica ed è intriso di sottile ironia: Un pappagallo color verde e giallo paglierino, rinchiuso in una gabbia appesa fuori della porta, continuava a ripetere senza interruzione: Allez vous- en! Allez vous-en! Sapristi! Va tutto bene! Sapeva parlare un po’ di spagnolo e anche un’altra lingua che nessuno capiva ad eccezione del tordo beffeggiatore che si dondolava sull’altro lato della porta, fischiettando nella brezza le sue note flautate con una pervicacia da far impazzire. Già nella scena di apertura, dunque, la gabbia simboleggia la limitata libertà di Madame Pontellier, prigioniera della sua condizione di moglie e madre, così come quella di tante donne vissute nell’epoca tardo-vittoriana. Il pappagallo che parla in francese e in una lingua strana, sconosciuta, si riferisce ai piani di comunicazione diversi della protagonista e di Mademoiselle Reisz rispetto al mondo che le circonda. Secondo Paolo Ruggieri, “il pappagallo incarna Edna, mentre il tordo beffeggiatore adombra l’immagine della stessa scrittrice, accomunate dal senso di frustrazione e dalla voglia di evasione. L’una è il riflesso dell’altra.” Ruggieri, inoltre, evidenzia come il tema del doppio ricorra in maniera quasi ossessiva nell’opera, a rimarcare l’“io” scisso della protagonista: la signorina Reisz è l’alter ego artistico di Edna, Madame Ratignolle è la parte di sé che la richiama al dovere di madre, facendo leva sull’istinto materno; però è un elemento della natura, ovvero il mare, a riflettere il suo “io” più profondo e autentico. Edna non sa come reagirà il marito, lontano per affari, quando gli comunicherà di voler abitare da sola, operando una scelta analoga a quella di Mademoiselle Reisz nella ricerca della sua autonomia; tuttavia è ottimista: Sentiva che le cose sarebbero andate a posto da sole; ma qualsiasi cosa accadesse, aveva deciso che non sarebbe mai più appartenuta a nessun altro se non a se stessa. Intanto, recatasi da Mademoiselle Reisz, Edna viene a sapere che Robert sta per rientrare dal Messico e, per la prima volta, messa alle strette dalla domanda diretta della pianista, ammette di amarlo. E’ felice perché presto rivedrà il giovane, eppure, quella sera stessa, Arobin si reca a casa sua e si china a baciarla, accendendo così il desiderio della donna, che risponde con ardore e si concede a lui. Dopo non prova vergogna, né rimorso: C’era solo un cupo spasimo di rammarico, perché non era stato il bacio dell’amore che l’aveva accesa, perché non era stato l’amore che le aveva accostato alle labbra questa coppa della vita. A differenza dei più famosi romanzi d’adulterio della seconda metà dell’Ottocento, Madame Bovary (1857) e Anna Karenina (1875), qui la donna fedifraga non si sente in colpa per il peccato commesso; semmai si rammarica di non aver ottenuto l’appagamento erotico con l’uomo che ama veramente e l’autrice non esprime alcun giudizio morale in merito. La mancata aperta condanna per la condotta di Edna è stato uno dei motivi dello scalpore suscitato dall’opera. Léonce, quando viene a conoscenza del trasferimento di Edna nella “colombaia”, cerca di salvare le apparenze e affinché la gente non pensi che la famiglia stia attraversando difficoltà economiche, da New York affida incarichi per delle migliorie alla casa e fa pubblicare un annuncio in cui informa che i Pontellier trascorreranno l’estate all’estero in attesa della conclusione dei lavori. Ciò dimostra l’abilità ma anche il conformismo di Léonce, sempre attento a non dar adito a pettegolezzi. Egli è il benpensante che incarna i tipici valori borghesi: discrezione, rispettabilità, decoro. La moglie, intanto, sta organizzando una sontuosa cena per festeggiare il suo ventinovesimo compleanno e l’ingresso nella nuova casa; nel descrivere la serata, la voce narrante indugia su dettagli assai raffinati: in tavola vengono sfoggiati posateria d’oro e d’argento, coppe di cristallo; Edna, al pari di una regina o di una dea, indossa un diadema di diamanti sulla fronte e uno scintillante abito in satin. La giovane donna è felice di vivere nella “colombaia”, che acquista subito l’aspetto accogliente e intimo della “casa”, un rifugio che alcuni decenni più tardi Virginia Woolf avrebbe definito “una stanza tutta per sé”: V’era in lei la sensazione di essere discesa nella scala sociale, ma al tempo stesso vi era la corrispondente sensazione di essersi elevata nella sfera spirituale. Ogni passo compiuto per liberarsi degli obblighi accresceva la sua forza e le sue possibilità individuali. Cominciò a guardare con i suoi occhi, a vedere, a comprendere le sotterranee, profonde correnti della vita. A questo punto la sua forza consiste nell’aver destabilizzato l’ordine antico, che include anche la liberazione erotica e il diritto alla creatività, sebbene questa non sfoci in una piena realizzazione artistica. Edna sogna l’amore romantico, incarnato da Robert: rientrato dal Messico, lo incontra per caso e subito lo incalza con le sue domande: gli chiede perché se n’è andato, cosa ha fatto in Messico. E’ una donna che ha perso la reticenza di un tempo ed esprime liberamente ciò che pensa. Anzi, è lei in seguito a prendere l’iniziativa e a baciarlo con voluttà; Robert le spiega che è partito perché lei apparteneva ad un altro ; a volte fantasticava che lei potesse essere libera dal vincolo matrimoniale ed essere solo sua. Alle parole del giovane Edna ribatte piccata: Parlate del signor Pontellier che mi lascia libera! Non sono più una delle proprietà del signor Pontellier di cui egli possa liberamente disporre. Io mi do quando scelgo di darmi. Poi lei gli rivela il suo amore: è lui che l’ha svegliata “da uno stupido sogno che era durato tutta la vita”. In realtà Robert non si dimostra diverso da Léonce, convinto che una donna si possa possedere o lasciare libera e quindi considerandola anche lui una proprietà. Edna nel momento cruciale della rivelazione è costretta a separarsi da Robert per assistere Madame Ratignolle, la quale sta per dare alla luce il bambino e vuole l’amica accanto. La scena del parto è molto dolorosa per la protagonista, che ricorda la sofferenza provata al momento della nascita dei suoi figli e si sente a disagio, addirittura definisce il travaglio di Adèle “la scena di tortura”. Se pensiamo che queste parole furono scritte alla fine del XIX secolo, si comprende il motivo per cui non solo l’episodio in questione, ma tutto il romanzo, venne ritenuto sovversivo: il rifiuto del ruolo di child-bearer della protagonista, che sovvertiva la concezione vittoriana della donna, considerata mera fattrice. Quando Edna rientra a casa ancora frastornata per le emozioni del pomeriggio, trova una lettera di addio di Robert, il quale scrive di amarla e proprio per questo ha deciso di non vederla più. Il giovane si rivela convenzionale al pari di Léonce e la delusione di Edna è cocente. Il libro si chiude a Grand Isle: la lucida consapevolezza di sé ha condotto la protagonista all’estrema solitudine e nell’ultimo capitolo viene paragonata a Venere sorgente dalle spume, solo che ora il percorso è a ritroso. Edna non può tornare indietro: è impensabile continuare a vivere accanto a Léonce; Arobin non conta nulla per lei; la realizzazione artistica come pittrice non si è compiuta e comunque le convenzioni della società la ingabbierebbero in ogni caso. I suoi ultimi pensieri si concentrano sui figli: I bambini le apparvero davanti come degli antagonisti che l’avevano sopraffatta; che si erano impadroniti di lei e avevano cercato di trascinarla nella schiavitù dell’anima per il resto dei suoi giorni. Ma lei sapeva qual era il modo di evitarlo.[…] L’acqua del Golfo si distendeva davanti a lei, risplendendo dei mille bagliori della luce del sole. La voce del mare è seducente; senza posa, sussurra, frastorna, mormora, invita l’anima a vagare negli abissi della solitudine. Edna ha scelto di appartenere solo a se stessa e a questo punto si spoglia degli abiti e rimane nuda sotto il sole: è Venere che s’incammina verso il mare, assaporando una nuova sensazione di voluttuosa libertà, come una creatura appena nata che apre gli occhi su un mondo familiare, mai realmente visto prima. Inizia a nuotare e si allontana sempre più dalla riva, mentre le gambe e le braccia si fanno più pesanti: Pensò a Léonce e ai bambini. Erano parte della sua vita. Ma non avrebbero dovuto pensare di possederla anima e corpo. […] Edna udì la voce di suo padre e di sua sorella Margaret. Udì l’abbaiare di un vecchio cane che era legato al sicomoro. Gli speroni dell’ufficiale tintinnavano mentre attraversava il portico. C’era un brusio di api, e l’odore muschioso dei garofani riempiva l’aria. La protagonista è rappresentata in movimento; mentre nuota la sua mente ripercorre gli stadi del presente e della vita passata; il libro si chiude con la descrizione della natura, semplice, vibrante, pura, nel suo ciclo eterno: la forza rigeneratrice nella quale Edna si è immersa per “ rinascere”. Il suicidio femminile era piuttosto diffuso nei romanzi della seconda metà dell’Ottocento, specie se il tema era l’adulterio; esempi celeberrimi sono quelli di Anna Karenina, la quale, emarginata dalla sua classe sociale per essere andata a vivere con l’amante e aver rinnegato il suo ruolo di sposa e madre, finisce per gettarsi sotto un treno, e di Emma Bovary che, a causa dello scandalo e dei debiti, decide di avvelenarsi. La Chopin per la sua eroina sceglie l’annegamento che, come spiega Elaine Showalter in Tradition and the Female Talent, è congeniale alla donna, perché vi è affinità tra il principio femminile e l’elemento liquido (il sangue, il latte, il liquido amniotico, le lacrime); nel caso di Edna la “morte per acqua”, la più simbolica delle morti, non pare dover essere interpretata come una sconfitta, bensì come un incontro in perfetta armonia con le forze catartiche della natura.
A cura di Lara Scifoni
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