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Vampiri e letteratura
di Giampaolo Giampaoli
Pubblicato su PB20


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Vampiri e letteratura

Da sempre l’uomo è affascinato dall’ignoto, che rappresenta il lato oscuro di una natura indomabile, sede dei segreti e dei misteri che ruotano intorno agli interrogativi inerenti alla vita e alla morte. Quando Edgar Allan Poe nella Boston di inizio Ottocento scriveva i primi racconti tenebrosi, in preda agli effetti dell’alcol e angosciato da ogni tipo di domanda sullo scopo dell’esistenza, voleva in realtà dare corpo ai timori dell’animo umano, legati al fascino, ma anche all’incertezza che in ogni persona suscita l’ignoto. Riflettendo su questi temi ben presto lo scrittore scoprì che, in una società in pieno sviluppo demografico e industriale, si accrescevano anche le paure degli uomini, poiché diveniva sempre più facile essere uccisi da un malvivente o da uno squilibrato mentale, oppure perdere la ragione ed abbandonarsi ai propri istinti e al piacere proibito. 

L’ignoto, anche perché sconosciuto alla ragione e sede di ogni fenomeno che va al di là della materia, possiede da sempre per l’immaginario comune una connotazione negativa; tale connotazione è resa chiara e visibile da una serie di creature mostruose che hanno il potere di manifestare una parte dell’ignoto agli occhi dell’uomo, attraverso le loro arti magiche e malvagie. Tra queste creature, alcune note storicamente perché la loro fama ha attraversato i secoli per mezzo di una lunga trazione orale o letteraria, deve essere annoverato il vampiro, un essere demonico nello stato di non morto, che per mantenere questa “precaria” condizione che consente l’immortalità, si nutre del sangue delle sue vittime. 

L’origine del termine vampiro è nella lingua slava, dove la radice pi significa mago o stregone e il verbo wempty bere o anche succhiare. La convinzione che un non morto potesse ritornare a tormentare i vivi (e quindi di una sorta di vampiro primordiale) era già presente presso le popolazioni preistoriche dell’Europa e del Nord Africa, ed il terrore che nell’uomo suscitava tale immagine è testimoniata dai resti di corpi con pietre conficcate nei punti vitali, ritrovati presso antiche necropoli. Il vampiro, però, non ha solo un’origine antropologica nella cultura delle popolazioni primitive, ma ha anche e soprattutto un origine biblica, poiché il primo esempio di demone succubus (ossia che succhia l’essenza vitale) è riscontrabile nella sposa malvagia di Adamo, Lilith, che assale nel cuore della notte gli uomini mentre dormono per succhiare il loro seme. 

Andando oltre nel tempo, anche la cultura greco-latina aveva i suoi esempi di vampirismo, ma erano per la maggior parte esseri di sesso femminile, che in qualche modo riprendevano proprio la tradizione iniziata con Lilith. Ovidio in alcuni celebri versi descrive la strix, un essere spaventoso assetato di sangue, che si manifesta agli uomini in forma di uccello rapace e beve con il suo lungo becco la loro linfa vitale. 

Si dice che strazino i fanciulli ancora lattanti
E pieno di sangue tracannato abbiano il gozzo
Hanno nome di strigi: causa del nome
È che di solito di notte orribilmente stridono

Alla figura notturna e demonica della strix nell’immaginario del popolo latino si affiancava quella della Lamia, probabilmente essere ancora più pericoloso perché solita presentasi alle ignare vittime con sembianze di bella fanciulla o di innocua vecchia. 

A livello del testo scritto, il primo documento che parla di un non morto è una tavoletta babilonese tutt’oggi conservata presso il British Museum, che a suo tempo doveva aver avuto una notevole importanza per la popolazione che l’aveva incisa; infatti vi si riporta sopra una formula magica indispensabile per proteggersi dall’attacco dai demoni succhia sangue, testimonianza di come all’origine del mito l’immagine del vampiro fosse legato alla magia sciamanica.   

I primi esempi di opere letterarie in cui compare la presenza di un vampiro appartengono alla letteratura antica e, più precisamente, sono legate ai nomi di Flegone, un autore lidio vissuto nel II secolo d.C., e di Filostrato, che ne “La vita di Apollonio di Tiana” presenta il personaggio della empusa, altro genere di succhia sangue di sesso femminile. Il protagonista dell’opera è il giovane Menippo, fedele allievo di Apollonio che, sprezzante di ogni pericolo, si adopera per salvare il suo maestro dal terribile essere demonico. 

Per quanto concerne la letteratura latina, invece, di particolare interesse per il profondo phatos di una storia d’amore tanto dolce quanto macabra, è il racconto del liberto Flegone Traiano, vissuto alla corte dell’imperatore Adriano, dove si narra la storia di Philinio. 

La ragazza torna dal sepolcro nello stato di non morta per andare ancora a giacere nel letto del suo amante Machete, ma nel momento in cui viene scoperta dai sui poveri genitori, che desidererebbero riabbracciarla, fugge in preda al panico. L’evento, di cui nessuno sa darsi una spiegazione, viene narrato al saggio Ryllus, che immediatamente fa risuonare il suo tragico ammonimento: guai a ricollocare Philinio nel sepolcro, ormai l’unica soluzione è bruciare il suo cadavere, ma mentre la salma viene cremata Machete si uccide per il dolore. 

Le opere citate presentano alcuni esempi di una prima letteratura in cui compare la figura del vampiro, ma per giungere ad un genere specifico sul tema si deve aspettare il Settecento, il secolo dei lumi, durante cui la nuova cultura occidentale fondata sull’assoluta prevalenza della ragione si scontrò con gli inspiegabili casi di vampirismo. I dotti del tempo ridicolizzarono tali manifestazioni del soprannaturale, che avvennero in molte località del vecchio continente, attribuendo questi comportamenti deviati all’isteria popolare e alla diffusione orale di storie macabre (in buona parte anche dedicate ai succhia sangue) che spargevano il germe del terrore e della superstizione nelle menti delle persone incolte. 

Malgrado ciò, il fascino dell’ignoto che si affaccia alla realtà dando sue restimonianze non poteva che sollecitare la fantasia di scrittori e poeti, ora interessati come mai erano stati a dare una loro interpretazione della secolare figura del vampiro. Quest’ultimo è presente nei versi di vari autori di rilievo tra Neoclassicismo e Romanticismo, tra cui si annoverano Coleridge (che dedica “Christabel” all’inquietante figura di una ragazza vampiro) Southey, Stagg, Scott, Keats e, per la letteratura tedesca, Burger e Goethe. L’autore del Faust rielabora la storia di Philinio, un chiaro e doveroso tributo al liberto Flegone, così ne “La sposa di Corinto” la ragazza torna dal sepolcro per assolvere al suo ruolo di non morta, anche a costo di tradire l’eterno amore di Machete, che dovrà essere sacrificato come banchetto per la crudele empusa.

Attraverso questi esempi che dimostrano come la tradizione del vampiro, tramandata per merito della superstizione popolare, possa avere una solida attinenza letteraria, si arriva al giugno 1816, quando presso villa Diodati, sul lago di Ginevra, si incontrarono lord Byron, i coniugi Shelley e il segretario Polidori. In quei giorni, consacrati dagli alti letterati ad inventare e raccontare storie dense di mistero e di terrore, nacque il “fortunato” Mostro di Frankestein, ma non fu l’unico parto letterario di rilievo; meno conosciuto dai lettori comuni e poco ripreso a livello cinematografico (almeno per quanto interessa i riferimenti diretti), nelle bellissime stanze della residenza del poeta romantico fu concepita da Polidori la trama per il suo romanzo “Il vampiro”, nella prima edizione pubblicato con la firma dello stesso Byron. 

Prendeva forma in quel momento lo stereotipo del succhia sangue destinato a sopravvivere a lungo e a caratterizzare tanta interessante letteratura gotica; bello, affascinante, libertino, ma anche spietato nel suo costante bisogno di linfa vitale, in realtà il protagonista del romanzo di Polidori assumeva il nome di Lord Ruthwen, lo stesso nome che a Byron aveva dato una sua vecchia amante, e del grande letterato non era altro che una versione fantastica, in cui si esasperavano gli aspetti del carattere. 

Alcuni anni dopo fu Nodier a porsi il gravoso obiettivo di proseguire le gesta del vampiro crudele e dongiovanni, compito che riuscì ad assolvere scrivendo “Lord Ruthwen e i vampiri”; aveva così inizio un lungo filone di comparse letterarie dei succhia sangue, che confermava i lodevoli risultati di Polidori. Fanno parte di questa stagione ottocentesca tanto fortunata per la letteratura macabra anche vari racconti di Poe, Dumas, Tolstoj, Gogol e Hoffman, testi accomunati dalla presenza palese o sottintesa di figure vampiresche, in cui gli autori cercano di dare legittimità narrativa sempre più chiara ad un topos letterario capace di affascinare i lettori della borghesia colta. 

Merita una nota a parte Le Fanu, che si inserisce nel filone macabro-romantico con un contributo tanto personale quanto efficace; il racconto “Carmilla”, pubblicato nell’antologia “In a Glass Darkly” nel 1872, che offre un esempio di come una storia incentrata sulla figura di un vampiro possa essere elaborata in modo da costruire una trama complessa, densa di risvolti emozionanti. Nella fattispecie, però, il demoniaco protagonista non è di sesso maschile ma femminile (forse un ennesimo tributo alle lammie dell’antichità) e, più precisamente, si tratta di una ragazza affascinante che, sistematasi in casa della ricca coetanea Laura, gli si lega con un affetto che va oltre la semplice amicizia. Nel personaggio di Le Fanu, infatti, si riscontano caratteri spiccatamente omosessuali e l’amore di Carmilla per la sua ospite tradisce una chiara attrazione fisica che, però, non impedisce alla crudele vampira di compiere il suo malvagio compito. Così in breve tempo molte ragazze dei luoghi contigui alla dimora di Laura muoiono per malattia e anche lei inizia ad accusare i primi sintomi. 

Nel finale, con il suo arrivo il generale Spielsdorf salva la ragazza da morte sicura, mosso dal desiderio di vendicare la scomparsa della figlia uccisa proprio dall’impietosa Carmilla, che si rivela la vampira Mircalla, ormai da secoli votata al Dio delle tenebre e appartenente alla stirpe dei Karnstein.

Attraverso tale stagione letteraria caratterizzata da tanta narrativa macabra dedicata all’immagine del vampiro, si giunge all’opera che rappresenta per la cultura popolare l’acme di questo filone o, tanto meno, il contributo maggiormente noto: il “Dracula” di Bram Stoker. Quest’ultimo autore si ispira per il suo immortale personaggio (immortale sia nella realtà immaginata dallo scrittore che nella fama) al principe rumeno Vlad, implacabile condottiero che lottò per impedire l’invasione del suo regno da parte dei turchi; ma il sovrano per il suo popolo non fu solo un simbolo di eroismo da venerare, poiché di lui i suoi sudditi temerono l’estrema crudeltà con cui era solito punire nemici e oppositori. 

Vlad impalava chiunque si mettesse sulla sua strada, facendo di questo rito di sangue un vero e proprio spettacolo, che prevedeva l’esposizione in gruppo delle vittime affinché i sudditi potessero ammirare e temere il grande potere del sovrano, che aveva allontanato la minaccia mortale venuta dall’Oriente. La sua crudeltà nei confronti dei nemici era tale, da dare vita a leggende popolari in cui si affermava che Vlad era solito banchettare bevendo il sangue dei suoi nemici. 

Il principe rumeno governò nella regione della Valacchia dal 1456 al 1462, anno in cui fu spodestato dal trono in seguito ad un’insurrezione popolare e decapitato, ma la sua storia con ebbe fine con questo tragico epilogo. Ben presto si diffuse la leggenda che Vlad era tornato in vita da non morto e si aggirava per le campagne in cerca di vittime, a cui succhiare il sangue per la sua sopravvivenza. 

Stoker nel suo romanzo rielabora abilmente varie componenti legate alla storia del principe rumeno per costruire un topos letterario destinato a vivere a lungo; l’immagine del Conte Dracula, il re dei vampiri, in realtà il sovrano Vlad dopo la morte. Alcuni riferimenti sono reinterpretati dall’autore, come il paletto di frassino che può uccidere Dracula se conficcato nel suo petto, ispirato come oggetto narrativo alla pratica dell’impalare a cui era tanto affezionato il principe rumeno. 

L’Ottocento è, dunque, il secolo d’oro per la letteratura vampiresca, il periodo in cui non solo si delinea la figura classica del succhia sangue destinata ad imprimersi definitivamente nell’immaginario popolare, ma che vede i maggiori risultati narrativi, fonte di ispirazione per il cinema degli anni a venire. 

In merito ai capolavori del grande schermo, è d’obbligo il riferimento ai due classici dell’horror del primo Novecento che propongono la versione cinematografica del romanzo di Stoker: il film muto “Nosferato” di Friedrich W. Murnau e il “Dracula” di Tod Browning, interpretato da Bela Lugosi, rispettivamente del 1922 e del 1931, a cui farà seguito una lunga serie di pellicole di varia qualità. Tra queste ultime, presentano un’interpretazione particolarmente efficace del tema del vampiro elaborato nella letteratura gotica-romantica, che viene adattato ai caratteri della società moderna, le opere “Le notti di Salem” di Tobe Hoper, “Wampyr” di George Romero (interessante versione metropolitana del succhia sangue, incarnata da un giovane chiaramente alterato nella psiche per l’orrore che prova nei confronti di se stesso) e “Intervista con il vampiro” di Neil Jordan.

Riprendono invece fedelmente la storia raccontata da Stoker, rappresentando versioni più vicine a noi dei capolavori di Browning e Murnao, “Nosferatu, il principe della notte” di Werner Herzog (dove il temuto signore dei vampiri ha il terrificante sguardo di Klaus Kinski) e “Dracula” di Francis Ford Coppola. 

Il Novecento intorno al tema del vampiro vede una produzione cinematografica che supera in qualità quella letteraria, quest’ultima caratterizzata per lo più da opere di livello palesemente inferiore rispetto ai classici ottocenteschi e da relegare tra i romanzi di genere. Una produzione che, anche se largamente diffusa, può solo fare da supporto alle pellicole che arricchiscono il tema e non da fonte di ispirazione, ruolo che a suo tempo aveva svolto l’opera di Stoker. Tutto ciò è valido almeno per la gran parte della letteratura vampiresca contemporanea, ma non certo per la produzione in toto e lo dimostra, tra gli esempi di maggiore interesse, il romanzo di Richard Matheson “Io sono leggenda”. 

L’opera, a cui sono ispirate due belle pellicole dal titolo “L’ultimo uomo sulla terra” e “1975: occhi bianchi sul pianeta Terra”, dà inizio ad una nuova elaborazione del tema, in cui si afferma la figura del succhia sangue metropolitano, lontano dai topos narrativi classici della letteratura gotica, ma inserito con aspetti fisici e caratteriali nel contesto urbano moderno, come un pericolo da cui è indispensabile guardarsi.

Per concludere la rassegna dedicata alla letteratura vampiresca è doveroso, in merito alla numerosa produzione di genere degli ultimi trent’anni, ricordare altre due opere di soddisfacente livello narrativo, a cui sono ispirati film che abbiamo già avuto modo di citare. Alludiamo a “Le notti di Salem” scritto nel 1975 da Stephen King e alla trilogia di Anna Rice, costituita da “Intervista con il vampiro” del 1976, “Scelti dalle tenebre” del 1985 e “La regina dei dannati” del 1988. 

Bibliografia.
Abruzzese A., La grande scimmia: mostri, vampiri, automi, mutanti, l’immaginario: collettivo dalla letteratura, al cinema e all’informazione, Editrice Napoleone, 1979.
Cammarota D., I vampiri: arte, cinema, folklore, letteratura, teatro e altro, Fanucci, 1984.
Ferrari A. (a cura di), Mostri alieni vampiri mutanti : cinema fantastico, Mondadori, 2001. 
Grimaldi L., Storia del cinema: fantastico ottocento, burattini, vampiri e altre creature, Editrice Giunta, 2002 
pilo G. (a cura di), Vampiri: miti, leggende, letteratura, cinema, fumetti e multimedialità, Editrice Nord, 1998.

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