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MARTA - Ritratto di una donna in punta di matita
di Maurizio Canauz
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Marta è una donna e questo, in fondo, potrebbe già bastare a raccontarla. Marta ha i capelli di un giallo delicato e limpidi occhi chiari. Marta è giovane e forte. Marta ha un sorriso di quelli che ti entra nel cuore. Marta è una di quelle donne per cui gli uomini si girono ancora a guardare quando gli passa accanto e vorrebbero fischiare (cafoni). Marta ha lottato per cambiare. Marta ha pagato per i suoi errori e vive in un piccolo monolocale umido con i muri scrostati non lontano dal porto. Marta deve strappare il mutuo da uno stipendio da fame. Marta la sera sente la sirena delle navi e dei pescherecci e sogna un mondo lontano con strade all’infinito lunghe come la speranza. Marta non è sola, Marta ha una piccola casa, Marta ha un bambino. Marta si sveglia presto alla mattina e si perde nell’alba. Marta prende le sue poche cose di fretta come ogni mattina ed esce di casa. Marta scende le scale, con un fagotto in braccio e uno zainetto in spalla. Marta bussa alla porta di una vicina e le lascia il fagotto baciandolo come fosse l’ultima volta, Marta prende la vecchia utilitaria nel parcheggio che bofonchiando si mette in moto, Marta ripensa di sfuggita al ragazzo che le ha lasciato in regalo il piccolo fagotto, una giacca a vento come Dio comanda, jeans regolari e faccia da vinile e la capacità di parlare e raccontare come fosse tutto una fiaba. Marta ricorda come fosse bello stare a parlare con lui o solo a guardarsi, finché una notte camminando per la città, con la nebbia unica sentinella, scoprirono che tra loro era nato qualcosa di grande Marta ricorda bene il giorno che lui la lasciò senza neppure un biglietto. Marta non rimpiange nulla ma l’assale, mentre guida, un senso vago di infinito panico mentre il cielo sopra la città è qualcosa di viola carico che si abbraccia con il mare. Marta lavora in una fabbrica di pesce surgelato. Marta lavora al reparto confezionamento su una macchina grande come una montagna che sputa tranci di pesce alla velocità di siluri marini e questo forse potrebbe già bastare. Marta è brava nel suo lavoro, precisa, efficiente, attenta. Marta non sa stare lontana dalle rogne: Marta è la rappresentante sindacale. Marta discute con il Padrone e lotta per i turni, i ritmi di lavoro, gli aumenti salariali. Marta non riceve mai un premio o una gratifica, Marta è sola con i suoi principi. Marta lavora turni e vede suo figlio poco e male. Marta uscita di fabbrica lavora saltuariamente come donna delle pulizie perché il salario da operaia è troppo basso per sopravvivere. Marta aveva sognato di diventare medico, come suo padre, per aiutare chi soffre. Marta non vede i suoi genitori da almeno dieci anni da quando è fuggita di casa perché credeva di seguire l’amore e la felicità. Marta ha provato a scrivere o a telefonare ai suoi genitori ma quelle lettere o quelle telefonate non sono mia partite. Marta è stupidamente fiera e orgogliosa e non si accorge che sta, giorno dopo giorno, perdendo i pezzi della sua vita mentre scende le scale di casa. Marta è stanca. Marta ha mal di testa e di stomaco, ogni giorno. Marta dovrebbe andare dal medico ma rimanda sempre al giorno dopo perché non ha tempo. Marta prende una serie di pastiglie colorate perché l’aiutano a non sentire il male e il vuoto che ha dentro. Marta è sola. Marta torna a casa, come ogni sera, a recuperare il suo fagotto. Marta sente la stanchezza esplodergli nel petto, la luce farsi fioca mentre le mani lasciano il volante della sua utilitaria. Marta ormai è solo un rantolo sul ciglio della strada coperto dall’acuto grido di gabbiani lanciato contro un cielo che non sa che nella vita esiste il dolore. Marta pensa al suo fagotto, pensa che non lo vedrà più e prova una pena indicibile. Marta non pensa più, ha freddo. Marta non c’è più. Se fosse un gioco enigmistico sarebbe solo un doppio cambio di vocali. Marta – morte. Ma forse Marta è qualcosa di più, forse... Marta è un funerale modesto, dozzinale come tanti, con un occhio alle spese. Marta è la solita predica del prete, in una piccola chiesa gremita. Marta è un corteo, neppure troppo lungo, che scivola nelle pieghe della città fino al cimitero. Marta ha lasciato qualcosa: un piccolo appartamento, una rosa sul comodino, Marta ha lasciato un bambino. Marta ora è solo una cassa di legno che viene calata piano nella pancia della terra. Marta è solo un attimo di commozione, qualche lacrima e poco più. Marta, per chi ci crede, è una preghiera. Marta è un soffio che il vento spinge lontano, verso il mare, verso l’orizzonte. Marta è il vagito di un bimbo. Marta forse non è mai esistita o forse un’ombra che ricorderemo appena e di cui saremo contenti di esserne stati solo lontani conoscenti....e questo certo può bastare a raccontarla.
©
Maurizio Canauz
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