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Alexander Zino'vev e la letteratura del dissenso
di Maurizio Canauz
Pubblicato su SITO


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Alexander Zino'vev e la letteratura del dissenso

Ai miei nonni:

Isolina, Flaviano

Lidia ed Ernesto

Che hanno vissuto

 lle bellezze e le deformità

 del XX secolo.

 

I REFRETTARI

Nei vecchi ortodossi sistemi comunisti ogni uomo che si esprimeva o si comportava in modo non conforme a quanto prescritto o a quanto ipotizzato e regolamentato dalle istituzioni veniva emarginato dalla società, diventando quello che Zinov’ev definisce un otscepenec, un refrattario[i].

Ma come si cura un refrattario, come gli si impedisce di nuocere alla società?

«Alcuni esigono che lo si getti fuori. Ma sono una minoranza. La maggioranza esige invece che vengano messi dentro».[ii]

In altre parole il fine è quello di farli rimanere nella società  ma in posizioni marginali, impegnandoli in lavori umili lontani da quelli per i quali avevano studiato, si erano formati e per i quali avevano mostrato, indiscutibilmente, delle capacità.

Nella letteratura dell’Est Europa i personaggi di questo tipo e con questo destino non sono rari.[iii]

Penso, tra gli altri, a Tomas o Jahn Ludvik il personaggio principale di Lo Scherzo di Kundera.

In questo romanzo Ludvick giovane studente per scherzo invia una cartolina ad una studentessa dalla quale è attratto, con le seguenti frasi: « L'ottimismo è l'oppio dei popoli! Lo spirito sano puzza di imbecillità! Viva Trockij ! Ludvìk.»

La cartolina giunge nelle mani della polizia politica e da allora la sua vita cambia radicalmente. Processato viene espulso dal Partito comunista e per questo dall'università. La società non vuole però allontanarlo concedendogli la possibilità di rifugiarsi all’estero, ma punirlo e per questo viene costretto a prestare servizio militare per due anni in miniera e successivamente incarcerato.

Solo con il passare del tempo ci sarà un modesto riscatto e un profondo cambiamento personale che gli consentirà di accettare quanto avvenuto.

Similmente Tomas il personaggio della celebre Insostenibile Leggerezza dell’essere si ritrova ai margini della società, privato del suo lavoro e del suo ruolo sociale per un articolo pubblicato dalla rivista

Il testo dell’articolo era stato, invero, modificato dalla redazione della rivista a sua insaputa per renderlo fortemente critico contro il Partito Comunista.

Tuttavia questo fatto non aveva avuto, in ultima istanza, alcuna rilevanza per una sua, almeno parziale, discolpa. 

Era stato condannato e parte della sua punizione era stata quella di essere allontanato dalla sua professione di medico che, tra l’altro, svolgeva con buoni risultati.

Anche in questo caso lo svalutazione sociale si attua con l’inibizione di utilizzare il proprio sapere e di svolgere l’attività per cui ci si è formati.

La perdita delle competenze, per quanto socialmente utili, non sembra essere un problema degno di rilevanza per chi detiene il potere.

Con questa logica l’emarginazione del soggetto posto al limitare della società diviene la punizione mentre, al contrario, il possibile esilio del punito nel bengodi occidentale viene considerato, in fondo, come un premio.

La punizione più grande e forse la più umiliante, pensata dai burocrati di partito,, è quella di tenere i refrattari prigionieri ai margini della società dove possono essere visti da tutti e additati come esempi negativi.

Ciò che maggiormente sorprende è, tuttavia, la poca importanza che viene data alle loro capacità professionali.

Da medico a lavavetri (nel caso di Tomas) senza alcun ripensamento o mediazione, quasi che tutti gli uomini e i loro personali talenti fossero fungibili.

Il processo descritto in questi libri di Kundera è simile a quello presente in alcuni scritti di Zinov’ev.[iv]

Ad esempio in Appunti di un guardiano notturno, un brillante studioso stanco di sopportare quelle che per lui sono menzogne decide di esprimere il suo dissenso, la sua disillusione da un palco durante una conferenza.

Punito, passa dall’essere un membro modello della società con una discreta carriera accademica a guardiano notturno in uno dei tanti uffici e servizi.

La sua intelligenza, le sue conoscenze professionali sono ufficialmente dimenticate, la sua vita si svolge ora negli interstizi, nei vuoti che anche una società burocratizzata come quella ibanese[v] lascia.

Tuttavia sarebbe impensabile che l’annullamento (o almeno il ridimensionamento) del ruolo sociale comporti, sempre, come conseguenza anche l’annullamento personale.

Non si perdono le capacità, l’acume, l’ingegno per una disposizione burocratica e politica, tuttavia si modifica il punto di osservazione e il modo di osservare ciò che vi è attorno.

Scrive Zinov’ev:

«Una cosa è quando sei preso dal trambusto dell’esistenza, altra cosa è quando la guardi standotene fuori. Tutto cambia d’aspetto.»[vi]

Nel libro Appunti di un guardiano notturno il personaggio principale, che è anche l’io narrante del romanzo, da vita così a quella che può essere considerata una osservazione partecipata.[vii]

Dell’osservazione partecipata gli scritti di Zinov’ev hanno molte caratteristiche che sono facilmente individuabili:

  • sono realizzati in maniera diretta (quindi in prima persona)
  • sono realizzati attraverso una osservazione fatta per un periodo di tempo relativamente lungo (fino a qualche anno) in un determinato gruppo sociale;
  • l’osservazione si svolge con l’osservatore che instaura un rapporto di interazione personale con i membri del gruppo sociale  allo scopo di descriverne le azioni e di comprenderne, mediante un processo di immedesimazione, le motivazioni.

 Lo stesso Zinov’ev, per certi versi, è conscio di questo processo richiamandolo esplicitamente nei suo scritti:

«Pur non essendo uno specialista di sociologia, conosco però la semplice verità d’ogni scienza sperimentale: si comincia dall’osservazione dei fatti.» [viii]

e similmente:

«Quando ho cominciato ad osservare il nostro ufficio con l’occhio del naturalista che studia un formicaio, un branco di scimmie o un mucchio di topi, fui subito colpito dalla schiacciante maggioranza delle azioni dei funzionari, nonché della sproporzione esistente tra gli avvenimenti e le relazioni di quest’ultimi. »[ix]

 Le sue osservazioni condite con ironia e sarcasmo diventano così il materiale stesso dei suoi scritti.

Non c’è una vera trama. E’ la stessa vita quotidiana a fornire spunto per le sue riflessioni, che si inseguono senza un apparente percorso prestabilito, senza una fine da raggiungere o una storia da dispiegare.

Nessuna fine, lieta o triste che sia, ma solo un fine: svelare il vero volto di Ibania.

Proprio questo aspetto rende gli scritti di Zinov’ev poco narrativi e lontani dal romanzo tradizionale avvicinando il lettore ad altri generi letterari maggiormente legati all’antropologia e alla sociologia.

Prima però di affrontare questo aspetto e di approfondire gli scritti dell’autore russo mi si permetta un passo indietro per rispondere a una semplice domanda: Zinov’ev chi era costui?

ZINOV’EV CHI ERA COSTUI?[x]

In questo breve scritto, anche se potrà sembrare un po’ troppo didascalico, ritengo possa essere utile focalizzare l’attenzione su Zinoviev e sulla sua biografia, perché questo autore pur avendo goduto qualche anno fa di una certa fama in Italia, attualmente fagocitato dall’oblio.[xi].

Aleksandr Aleksandrovich Zinoviev nacque il 29 Ottobre 1922, in una famiglia numerosa, nel villaggio di Pakhino una vecchia cittadina a seicento chilometri da Mosca, nella regione di Chukloma nella provincia di Kostroma.

Sua madre era una contadina mentre il padre era un tinteggiatore.

Zinoviev frequentò inizialmente le scuole presso la sua cittadina natale per poi trasferirsi a Mosca per seguire le scuole secondarie.

Fu uno studente particolarmente brillante tanto da essere premiato dallo Stato nel 1939 per i suoi meriti scolastici.

Terminate le Scuole Superiori si iscrisse alla facoltà di Filosofia .

I tratti del suo carattere ribelle furono evidenti  già da allora.

Per aver criticato il culto di Stalin, fu espulso dall’Università. Per sfuggire alla polizia vagò per l’URSS e fece i più svariati lavori.

Arruolatosi fu, durante la seconda guerra mondiale, un valente pilota e ricevette la medaglia al valore.

Il suo valore militare gli permise di tornare all’Università dove tra il 1946 e il 1954 completò i suoi studi.

Tra il 1954 e il 1976 Zinov’ev lavorò presso l’Accademia delle Scienze e fu professore di logica presso l’Università di Mosca.

In quel periodo pubblicò diversi libri e diversi articoli di logica che furono editati dalle principali riviste specializzate sovietiche.

Alcuni di questi articoli, per il loro estremo valore, furono tradotti in inglese, tedesco e in diverse altre lingue ottenendo una discreta diffusione nei Paesi Occidentali.

Per quanto invitato a convegni e seminari non gli fu mai permesso di lasciare l’Unione Sovietica.

Dal 1970 iniziò una campagna denigratoria nei suoi confronti che lo portò ad essere emarginato. Fu sospesa la pubblicazione de suoi lavori e ogni recensione o commento di quelli già pubblicati.

Nel 1976 pubblicò in Occidente Cime Abissali, un libro di feroce critica al sistema comunista.

«Zinov’ev è stato capace di fare ciò che non era mai riuscito a nessuno storico, filosofo o sociologo, sia in Occidente sia nell’Unione Sovietica»: così commenta la sua opera un grande storico russo, Aleksandr Nekrich.

Una volta pubblicate Cime Abissali venne allontanato dalla Accademia delle Scienze e dall’Università e gli vennero tolti i titoli e le benemerenze. Divenne quindi a tutti gli effetti un refrattario.

A differenza dei personaggi letterari impossibilitati a fuggire all’estero fu alla fine costretto a lasciare l’URSS e nel 1978 si trasferì con la famiglia a Monaco di Baviera dove svolse diversi lavori e dove, infine, ritornò ad insegnare all’Università.

Caduto il sistema sovietico Zinov’ev criticò il cambiamento e la nuova classe dirigente ritenendo il nuovo sistema peggiore, addirittura, del precedente, tanto che, davanti alle brutture del post-comunismo in Russia, si schierò a favore di Gennadij Zjuganov, leader del vecchio Partito Comunista russo.

Tornò, comunque, in Patria nel 1999, dopo esservi stato ufficialmente riammesso nel 1990 e qui morì nel 2006.

 

PER UNA LETTERATURA IBANESE … UN POSSIBILE LASCITO

Una volta dissolta l’Unione Sovietica viene meno il soggetto ispiratore di buona parte dell’opera di Zinov’ev e di molti altri scrittori che avevano trovato uno spunto (sia pur critico) per la loro opera  in quel mondo ormai dissolto[xii].

Come scrive Jon Elster in un articolo dedicato allo scrittore sovietico e alla sua Ibania: «L’ateismo militante non potrebbe fare a meno dei credenti che combatte, così come certo comunismo vive in simbiosi con la proprietà privata. Potremmo citare anche l’esempio dell’anticomunista crollerebbe se un giorno riuscisse realmente a distruggere “il Dio che ha fallito”».[xiii]

Lo stesso concetto era stato ben espresso, qualche secolo fa, da John Donne: « Abbi cura di odiarmi/ o troppo grande sarà il trionfo della vittoria/ Non che io voglia ergermi a difensore di me stesso/ ricambiando l’odio con l’odio/ ma tu perderesti il titolo di conquistatore/ se io, la tua conquista perissi a causa del tuo odio/ Quindi per timore che l’annullarmi ti diminuisca/ se mi odi abbi cura di odiarmi».[xiv]

Ebbene il crollo del muro di Berlino e la fine dell’Impero sovietico pone obbligatoriamente la letteratura del dissenso in una nuova luce.

La storia con il suo incedere modifica il contesto e questo ovviamente si riverbera nella letteratura, nel testo.

Rimane per gli scritti dei dissidenti e per la loro opera, senza dubbio, il valore di testimonianza storica e sociale, ma tende a scomparire ogni valenza politica e critica.

I brani, le pagine non vengono più sbandierati nei dibattiti, usati come clava per scardinare gli avversari e le loro teorie. Dalle urla si passa al sussurro.

Lo scritto entra così in una nuova dimensione in cui il valore letterario diventa, finalmente, predominante.

I critici, gli studiosi estraggono così le loro consuete armi e iniziano a vagliare con maggiore attenzione questi libri.

Alcune critiche rimangono, comunque, benevole nei confronti di questi autori e delle loro opere.

Ad esempio Elster paragona Zinov’ev per la comicità a Rabelais, per la causticità a Swift, per i paradossi a Lewis Carroll (pure lui un logico), per l’intuizione sociologica a Simmel, per la statura morale a Solzenicyn indicandolo come il creatore e l’unico rappresentante di un nuovo genere letterario.[xv]

Simile il giudizio di Sommariva il quale afferma che Cime Abissali[xvi] «dopo l’opera di Solzenyecin è il libro più prestigioso della letteratura russa del dissenso, abissale anche di mole e di contenuto con le sue quasi mille pagine. »[xvii]

Tuttavia la mia impressione, in assenza di un’adeguata letteratura critica[xviii], rimane quella di opere, nella maggior parte dei casi, alle quali manchi qualcosa per superare il limite del contingente, del particolare storico, rimanendo sempre legata all’aspetto personal - diaristico .

Lo stesso Zinov’ev sembra avvalorare la mia opinione quando scrive:

«A Ibania la grande letteratura non è possibile ... E’ impossibile non per gli impedimenti che incontri, ma perché nella vita ibanese manca il materiale adatto.»[xix]

«La grande letteratura presuppone una morale effettiva nella parte più o meno istruita della popolazione. Ma una morale vera, non demagogica o propagandistica. Ad esempio tutti noi sappiamo che è immorale pensare una cosa e dirne o scriverne un’altra. Per un uomo morale dire o scrivere una cosa contraria alla propria coscienza è un dramma. Ecco del materiale da letteratura. Per l’ibanese sono inezie, roba consueta. Non c’è nessuna emozione. Non c’è materiale da letteratura, giacché per l’individuo non esistono problemi. E così per ogni cosa.»[xx]

L’eccessiva mediocrità impedisce la nascita dell’opera d’arte che non avrebbe nulla a cui ispirarsi.

Lo stesso dicasi dell’incapacità o dalla mancanza di volontà di allontanarsi da un eccessivo realismo tipico, in fondo, di molta letteratura russo – sovietica,  che esalta la fedeltà nelle descrizioni a volte fin troppo puntigliose, ma che impedisce allo scritto e quindi al lettore, di raggiungere una visione di insieme e l’esemplarità di ciò che si sta descrivendo, bloccando ogni possibile passaggio dal particolare al generale.[xxi]

Questa incapacità, che porta alla difficoltà di creare veri e propri romanzi, si ritrova ben esemplificata  in alcuni autori russo – sovietici dell’inizio del novecento.[xxii]

Soprattutto nel periodo tra il 1921 e il 1924 i nuovi narratori vogliono, in primo luogo descrivere la rivoluzione, registrare le loro esperienze e le impressioni raccolte in quegli anni che ritenevano eccezionali.

A questi giovani scrittori sovietici, tutti tesi a registrare in fretta il loro patrimonio di esperienze, non interessava tanto produrre  vasti affreschi o  lenti ed elaborati romanzi ma preferivano i bozzetti, le descrizioni di fatti senza necessariamente una unità di trama.[xxiii]

Aspetti questi che, pur partendo da una valutazione diametralmente opposta del sistema sovietico e della rivoluzione sovietica, rivivono, almeno in parte, nell’opera di Zinov’ev[xxiv].

Ma torniamo brevemente a Kundera.

Rispondendo ad una domanda sul motivo del successo dell’Insostenibile leggerezza dell’essere” Massimo Rizzante, che di Kundera è cultore e traduttore scrive:

«L’arte del romanzo di Milan Kundera possiede da sempre due livelli: una o più storie, spesso d’amore, che spesso culminano in una scena erotica, e una serie di digressioni, divagazioni o “saggi romanzeschi” che trasformano i problemi privati dei personaggi in problemi di tutti. È il caso anche dell’Insostenibile leggerezza dell’essere. Il lettore meno attento – cioè la stragrande maggioranza dei lettori di romanzi – si appassiona alla storia d’amore, mentre i lettori più esigenti cercano di collegare la storia d’amore alle riflessioni, ad esempio, filosofiche o musicali dell’autore.

Il lettore che sceglie questa strada si accorge ben presto che tutti i registri presenti nel romanzo sono pervasi dagli stessi temi, cioè dalle stesse domande e che queste domande attraversano l’esistenza dei diversi personaggi.»[xxv]

Proprio questo aspetto esistenziale, questo affrontare di storie e temi universali che oltrepassano la contingenza dal tempo e dello spazio in cui sono ambientate, differenziano le opere di Kundera da quelle di Zinov’ev.

Gli scritti di Zinov’ev hanno solo un livello di lettura senza aspirare, né puntare mai all’eterno, alla scrittura che sfida e oltrepassa il tempo, all’archetipo umano originario, all’assoluto.

Si immergono nella storia dandone, a loro modo, testimonianza[xxvi].

Testimonianza soprattutto del mondo caro e conosciuto da Zinov’ev che è quello degli intellettuali e dei professori accantonati dal regime in quanto critici o in contrasto ideale ed esistenziale con esso. 

«I principali personaggi sono intellettuali moscoviti.  Tutti loro sono più o meno liberali solo quando bevono e sono fra amici. Nel complesso non sono dissidenti […] Zinov’ev e i suoi personaggi raccontano episodi di questa società, compongono versi su di essa, propongono paradossi ed elaborano teorie sociologiche su di essa. Ma essi non sono eroi di nessun tipo di resistenza. Anzi sono essi stessi parte del problema e lo sanno»[xxvii].

Zinov’ev quindi ha il merito di proporre uno spaccato della società sovietica diverso da quello di molti altri dissidenti rimanendo fortemente radicato agli ambienti che meglio conosce.

A tale proposito si pensi a Il Radioso futuro[xxviii], che è stato pubblicato in Inghilterra poco dopo Cime Abissali e che descrive con particolare attenzione il mondo degli intellettuali, spesso ambiziosi,  che devono fare “carriera” a Mosca .

Intellettuali che costantemente pensano in un modo, parlano in un altro e operano in un altro ancora, parti perfettamente integranti di una società basata sull’ipocrisia,

Zinov’ev osserva questa società con particolare attenzione e la sua mente analitica gli consente di penetrare nell’essenza dei fatti oltrepassando la cortina dell’apparenza.

Sarebbe, tuttavia, limitativo sospendere l’analisi di uno scritto soffermandosi solo sul versante del suo autore.

Infatti, come spesso si afferma, i libri una volta pubblicati escono dalla sfera propria dell’autore per godere di una vita propria.   

Chi si accosta ad uno scritto riceve il messaggio presente nelle sue pagine e lo interpreta secondo i propri codici attribuendogli spesso significati nuovi e diversi rispetto a quelli originali dati dall’autore. 

Lo stesso successo o fallimento di un’opera può dipendere da aspetti e ragioni che poco hanno a che vedere con quelle per cui è stata scritta.

Ad esempio, sempre Rizzante ricorda, riflettendo sulla penetrazione di Kundera nell’Europa Occidentale, come:

«Quanto al successo, l’avventura internazionale di Kundera inizia ben prima della pubblicazione dell’Insostenibile, e cioè nel 1968, quando il suo primo romanzo, Lo scherzo, fu tradotto e pubblicato da Gallimard in Francia. Quando uscì, era appena scoppiata la Primavera di Praga, e tutti gli intellettuali francesi facevano a gara a elogiare il romanzo e il suo autore: formidabile esempio di lotta contro il totalitarismo. Solo che la sfida di Kundera non è mai stata politica, e la Storia, per lui, è sempre stato un “laboratorio antropologico” per cogliere un “contenuto esistenziale” inedito, e non un’occasione di dipingere una società in un particolare momento. Grande malinteso, dunque. Il successo di Kundera inizia con un grande malinteso. E credo sia proseguito di malinteso in malinteso. Fino a oggi»[xxix].

Kundera stesso non sarebbe riuscito quindi, almeno inizialmente, ad affrancarsi totalmente dall’essere uno scrittore del dissenso e questo, se da un lato lo ha aiutato a raggiungere il successo e la notorietà dall’altro lato ha limitato la comprensione completa della sua opera.

 Quasi per una forma di avarizia o di pigrizia il lettore si accontenta della lettura più superficiale senza cercare di penetrare nei veri possibili significati dell’opera.

Abituati dalla televisione e dalle varie forme di comunicazioni oggi imperanti e banalizzanti si ha fretta di consumare l’opera senza prestarvi eccessiva attenzione senza spendere energie mentali per approfondirne il senso.

Nel caso di Zinov’ev e la sua opera per come è strutturato questo processo di semplificazione interpretativa, dettata dal nostro cervello e favorita dalla società “usa e getta” in cui viviamo,  rimane tuttavia marginale.

Troppo evidente, fino ad essere quasi unico, risulta il suo intento di evidenziare con sarcasmo le incongruità (anche logiche) e le bassezze di un sistema politico e sociale ben determinato per offrire altre possibili chiavi di lettura.

Tuttavia proprio ciò che ha reso inizialmente attraente per i lettori e per l’intellighenzia occidentale  la sua opera e cioè la critica ai regimi totalitari e in special modo a quelli comunisti, diviene anche il limite di questi scritti che, con il tempo, si trovano (spesso) rapidamente ricoperti dalla polvere dell’oblio.

 

E QUALCOSA RIMANE …

Prendendo spunto da un verso di una canzone di De Gregori[xxx] sarebbe impensabile e ingiusto impacchettare ed archiviare un’esperienza letteraria come totalmente superata, come obsoleta.

Il rischio, infatti, è quello manicheo di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.

Un rischio veramente eccessivo in quanto sicuramente nelle opere di Zinov’ev vi sono pagine estremamente interessanti che affrontano tematiche e argomenti che possono superare gli angusti confini di Ibania, potendosi applicare a qualsiasi società ed organizzazione.

Trovo, ad esempio, interessante l’analisi che in Appunti di un guardiano notturno, l’autore fa sul talento (per quanto, di fatto, Zinov’ev la ritenga strettamente legata a Ibania.)

«Poniamo che X sia la grandezza di un’astratta capacità (ovvero in senso antico e borghese): matematica, pittura ecc.

Poniamo che Y sia la grandezza dell’adattamento sociale di un individuo. Poniamo che L sia la grandezza in senso ibanese. Avremo allora la regola seguente: L= X*Y*L dove L è il coefficiente sistematico. Prendiamo ad esempio due individui A e B e poniamo che  per il primo X =100 e Y =0,1 ; mentre per il secondo X =10 e Y =2. Nel vecchio senso borghese il secondo è un’assoluta nullità rispetto al primo. Ma in senso ibanese la cosa è diversa. La grandezza del talento del primo degli individui è in senso ibanese uguale a 10 L mentre quella del secondo è di 20 L. In senso ibanese il secondo ha due volte più talento del primo. Non si tratta di una semplice convenzione di idealisti rispetto al significato delle parole. Le suddette misure sono applicate nella pratica. Il secondo individuo viene realmente preferito al primo.»[xxxi]

Questo brano che pone in evidenza lo stile, forse fin troppo razional - analitico di Zinov’ev, che può di fatto essere una discriminante forte per apprezzare o meno la sua opera, mostra come in una organizzazione o in gruppo l’aspetto sociale faccia da moltiplicatore o da riduttore del talento individuale anteponendo al merito e alle capacità altri valori.

La promozione, la carriera, l’encomio, la cattedra non sarà data a chi ha le maggiori capacità ma a chi meglio risulta integrato nel gruppo.

Ebbene questo aspetto che Zinov’ev collega a Ibania e alla sua struttura politico – organizzativa non è, in realtà, tipico dei regimi totalitari ma, oserei dire purtroppo, di ogni organizzazione anche del Paese più liberale e occidentale.

L’ aspetto sociale, il rispetto delle regole formali, la mancanza di eccessiva originalità o di una capacità tale da risultare imbarazzante per i superiori e i colleghi, portano a far preferire i mediocri, con un effettivo danno per l’intera società.

L’assenza a lungo andare di talento comporta un impoverimento della organizzazione che con il passare del tempo diventa così rilevante da portare ad un peggioramento delle condizioni di vita collettive.

Se, infatti, il riconoscimento del merito e del talento riguarda l’individuo la scelta di chi e come far accedere i singoli alle posizioni di responsabilità è un fatto che riguarda tutta la società.

Il reclutamento è, invero, fondamentale per il benessere di una organizzazione così come la scelta di chi deve assurgere in posizioni di rilievo.

Il preferire l’omologazione e la mediocrità al merito e all’originalità è quindi un problema per qualsiasi Stato o gruppo e non solo di quello ibanese.

A tale proposito posso ricordare un articolo di Paul Watzlawick secondo cui spesso oltrepassando la mera forma o il senso ideologico dei fatti si troverebbero molte affinità anche tra Stati che si dichiarano ispirati da idee profondamente diverse se non proprio in contrasto tra loro.

«…il contenuto di una realtà inventata attraverso la formulazione di una determinata ideologia non è affatto importante, e può essere in contrasto con quello prodotto da un’altra ideologia; le conseguenze sono invece spaventosamente uguali».[xxxii]

Sicuramente queste parole possono suscitare opinioni differenti soprattutto tra chi da particolare importanza al mondo dei valori e delle idee.

Tuttavia credo sia indubitabile che, sfogliando il libro di storia, vi siano fatti che ne confermano la validità.

Differenti approcci portano spesso a fatti e atteggiamenti concretamente simili. 

Ma lasciamo queste considerazioni che portano alla comparazione fra forme di Stato e fra organizzazioni politiche  e soprattutto la percezione del loro agire da parte dei cittadini, per tornare ad altri aspetti della vita di Ibania su cui Zinov’ev pone la sua attenzione.

Ad esempio appaiono interessanti le riflessioni dell’autore sovietico sul successo artistico e sulle sue cause che sembrano oltrepassare le frontiere di Ibania per trovare corrispondenze ed analogie nel mondo occidentale.

Per ottenere riconoscimento e successo nel campo artistico (e non solo) non contano le capacità (o almeno non soltanto) ma le “pubbliche relazioni”.

«L’Imbrattatele aveva detto che in arte una sola legge ha avuto sempre effetto: quanto più alto è piazzato il didietro che un pittore riesce a leccare, tanto più importante è quel pittore. Uno non può essere un gran pittore se non è il pittore del re.»[xxxiii]

E’ probabile che Ibania come qualsiasi Paese totalitario consenta una maggiore semplificazione e schematizzazione, avendo fondamentalmente una sola variabile rilevante: il potere.

Per le società democratiche e capitalistiche le variabili che interagiscono sono, infatti, diverse e possono rendere meno evidente un processo come quello del successo in campo artistico.

Fuor di metafora seguendo l’Imbrattatele, in uno Stato Totalitario, il favore da cercare è quello del politico che con il suo interessamento può aiutare in modo deciso l’artista ad arrivare al successo.

In uno Stato capitalistico i favori da ricercare possono essere diversi e rispecchiano i centri di potere presenti nella società.

Ad esempio si possono ottenere vantaggi ottenendo il favore da magnati e ricchi industriali o da gruppi religiosi o da partiti politici.

Mi tornano, a tal proposito, le parole di una canzone di Edoardo Bennato:

«Gli impresari di partito

                                                        mi hanno fatto un altro invito

                                                       e hanno detto che finisce male

                                                                 se non vado pure io

                                                                  al raduno generale

                                                        della grande festa nazionale!

                                                            hanno detto che non posso

                                                             rifiutarmi proprio adesso

                                                   che anche a loro devo il mio successo,

                                                          che son pazzo ed incosciente

                                                              sono un irriconoscente

                                                     un sovversivo, un mezzo criminale »[xxxiv]

 

Il successo dipende quindi non solo dal proprio talento ma anche dal sostegno degli “impresari di partito” ai quali si deve per questo pagare un tributo.

Tributo pesante che può essere riassunto nella la riduzione della libertà personale  e di espressione.

L’artista si vincola, si zavorra limitando così la sua possibilità di ”volare”.

Zinov’ev sottolinea lo stesso aspetto quando descrive il Pittore, il personaggio che per raggiungere il successo si è legato a doppio filo al partito rinunciando alla propria libertà creativa scegliendo la non appartenenza a nessun gruppo di potere. 

«Una volta sono capitato nel suo studio e ho osservato le pene che soffre quando crea. Erano mesi che spennellava il laido ritratto della moglie del Dirigente, e non gli riusciva mai bene. Si dilungò in un tedioso discorso sui suoi propositi e sulla sua peculiare visione del mondo, che voleva incarnare nel sorriso di quella vecchia donnaccola – rincitrullita a furia di sentirsi un personaggio eccezionale -, ma intendeva renderlo in modo che, in futuro, l’umanità non riuscisse ad afferrarne il vero significato. Quanto più una creazione è insignificante, disse il Calunniatore, tanto più terribili sono le sofferenze della creazione. Non si riesce ad ingranare.»[xxxv]

La creatività scemerebbe fino a diventare sofferenza per chi cerca strade facili per raggiungere la fama.

Mi fermo qui ma oltre a quelli riportati di esempi nell’opera di Zino’vev se ne possono  trovare molti altri.

Zino’vev nella sua analisi spietata di una società e una organizzazione determinata e facilmente identificabile raggiunge, probabilmente oltre agli stessi suoi originari intendimenti, aspetti tipici di tutto il  genere umano, diventando così motivo di riflessione comune.

Una satira quindi non solo di Ivan e della sua società ma di Adamo e del mondo degli uomini.

Satira del genere umano che mantiene ancora attuali questi scritti che la storia, con il suo incessante incedere, ha comunque segnato pesantemente.  




NOTE

[i] Nel campo della letteratura in Unione Sovietica, qualcosa di simile avvenne nel 1946 quando gli scrittori non ortodossi vennero etichettati come “cosmopoliti sradicati “(bezrodyne kosmopolity), profondamente estranei e nemici della cultura sovietica. Si veda  a tale proposito: G. Struve, Storia della letteratura sovietica, Garzanti, Milano 1977.

[ii] A. Zinov’ev, Appunti di un guardiano notturno, Adelphi, Milano 1983.

[iii]In Unione Sovietica e nei Paesi ad essa collegati il rapporto tra letteratura e potere fu sempre piuttosto travagliato. Dopo la seconda guerra mondiale fiorì quella che è stata chiamata la "letteratura del cassetto".

Una nuova generazione di intellettuali - nel panorama di controllo implacabile della società sovietica - cominciarono a comporre opere per sé stessi, avendo ben poca speranza in un'ipotetica pubblicazione. Scrivere, per loro, era una profonda esigenza interna, il modo per liberarsi della maschera che erano costretti ad indossare nella vita di tutti i giorni. Da quel metaforico "cassetto", uscirono così alcuni capolavori della letteratura russa, basti pensare a titoli come "Il Maestro e Margherita" di Michail Bulgakov, "Vita e destino" di Vasilij Grossman, "Il dottor Zivago" di Boris Pasternak (quest'ultimo, terminato nel 1955, uscì in Urss solo nel 1988). Soprattutto la vicenda di Grossman può spiegare come, alla fine della II Guerra mondiale, diversi intellettuali cominciavano a riflettere sul generale impianto menzognero del regime comunista sovietico.

Grossman, ebreo ucraino attivista del Partito, era stato tra gli osservatori - come giornalista inviato al seguito dell'Armata Rossa avanzante verso ovest - dei cirmini nazisti, dalle terre russe abbandonate nella ritirata fino ai lager spaventosi come Treblinka. Da una posizione manichea che considerava Germania hitleriana e Unione Sovietica come inconciliabili avversari, lo scrittore cominciò a spostarsi verso un'amara riflessione sul regime di Mosca. Tra il 1946 e il 1953, il maglio della censura si abbatté su qualsiasi cosa scrivesse: Grossman aveva intuito, con clamoroso anticipo sulle riflessioni storiche dei decenni seguenti, che le analogie tra nazismo e comunismo erano evidenti. Il rapporto tra Lager e Gulag, la società trasformata in una forma di schiavitù, il rapporto tra individuo e Stato soffocante, le delazioni.

[iv] Tra l’altro può essere interessante notare come sia Zinov’ev sia Kundera abbiano avuto un destino simile a quello dei loro personaggi trovandosi per questioni politiche e di critica al sistema privati del loro lavoro e del loro ruolo sociale e considerati dei refrattari. A differenza dei loro personaggi però sia Kundera sia Zinov’ev lasciarono i loro Paesi per trasferirsi in Occidente.

[v] Ibania è letteralmente traducibile come il «paese degli Ivan» che fuor di metafora è identificabile con l’ Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

[vi] A. Zinov’ev, Appunti di un guardiano notturno, op. cit. p. 91.

[vii] Per una definizione e un approfondimento si rimanda a P. Corbetta (1999), La ricerca sociale: metodologie e tecniche III, Metodi qualitativi, Il Mulino, Bologna 1999; G. Semi, L’osservazione partecipante, Il Mulino, Bologna 2010.

[viii] A. Zinov’ev, Appunti di un guardiano notturno, op. cit.  p. 24.

[ix] Ibidem p. 91

[x] Le principali informazioni su Zinov’ev sono tratte dal sito https://www.zinoviev.ru/en/ e soprattutto da una sua brevissima autobiografia: https://www.zinoviev.ru/en/zinoviev-biography.html

[xi] A tale proposito non giova sicuramente il fatto che il suo principale scritto, Cime Abissali pubblicato in Italia nel 1977, sia esaurito e non siano previste ristampe a breve dalla Casa Editrice Adelphi che ne detiene i diritti per l’Italia.

[xii] Il rapporto tra la letteratura e la fine di una civiltà alla quale si è  lungamente ispirata traendone spunti per le opere artistiche non è raro. Si pensi, anche se con valutazioni critiche differenti basate più sulla nostalgia che sull’ odio, quanto avvenne alla fine dell’Impero Asburgico. A tale proposito si veda C. Magris, Il mito asburgico nella letteratura austriaca contemporanea, Einaudi, Torino 1997.

[xiii] J. Elster, Negazione attiva e negazione passiva: un saggio di sociologia ibanese, p. 160 in P. Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, Milano 2006.

[xiv] J. Donne, The Prohibition, in Canzoni e sonetti, SE, Milano 2009.

[xv] Si veda: J. Elster. op cit., p. 153.

[xvi] Sommariva osserva come le Cime Abissali siano le eccelse mete radiose promesse dai classici del marxismo – leninismo che diventano nella loro realizzazione (sovietica) abissali, ossia non cime ma abissi e precipizi. La metatesi della lettera iniziale della parola russa (cime = sijajuscie; abissali = zijaiuscie)  oltra a essere un gioco letterario può essere indicativo di un qualche errore iniziale che ha instaurato un processo esattamente inverso alle intenzioni. G. Sommariva, Il pensiero non è un labirinto, Jaca Book, Milano 1981.

[xvii] G. Sommariva, Il pensiero non è un labirinto,  op. cit.

[xviii] La tematica del dissenso è stata quasi accantonata come se non si volesse affrontare la storia dell’incomponibilità del rapporto tra intellettuali e potere in Urss.

Segnalo tra i libri pubblicati recentemente: M. Clementi, Storia del dissenso sovietico, Odradek, Roma 2008. La ricerca ricostruisce i principali punti di conflitto tra Stato e letteratura in generale e tra realtà politica del socialismo reale e intelligencija in particolare, sulla base di una notevole mole di documenti.

Si veda anche: P. Zveteremich, Dissenso e no: esiste una letteratura "sovietica"? : estratto da Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina, Editrice Herder, 1983.

Tuttavia per un periodo storico durato così a lungo e denso di autori e di opere significative mi pare che l’argomento sia stato, soprattutto da un punto di vista quantitativo, poco approfondito e siano state realizzati pochi studi e analisi letterarie e critiche delle opere prodotte.

[xix] A. Zinov’ev, Appunti di un guardiano notturno, op. cit., p. 108.

[xx] Ibidem

[xxi] Brodskij affermò, nel suo discorso in occasione del ricevimento del premio Nobel avvenuto nel 1987, che se l’arte insegna qualcosa, ciò doveva essere nella dimensione privata della condizione umana in quanto solo l’arte è in grado di stimolare nell’uomo il senso della sua unicità trasformandolo «da animale sociale in un Io autonomo». Per questo motivo nei regimi totalitari l’arte in generale, la letteratura in particolare, dovevano essere necessariamente imbrigliate all’interno di rigidi schemi ideologici; al contrario, il regime avrebbe perduto il controllo del suo ulteriore sviluppo e non avrebbe potuto agire come il padrino degli ingegneri di anime.»

[xxii] Nel contesto dell’apertura europea degli anni a cavallo dei due decenni si inserisce anche la prima apparizione del termine neorealismo. In un saggio dal titolo “Letteratura russa a volo d‟uccello”, pubblicato a puntate sull’Italia letteraria dal 2 novembre 1930 al 22 febbraio 1931, Umberto Barbaro parla a proposito delle tendenze letterarie dell’Unione Sovietica di un «neorealismo che pur rifacendosi alla letteratura dell’Ottocento, non può dirsi un vero e proprio ritorno ma invece ha caratteri di novità, se non di avanguardia, con qualche analogia col neorealismo tedesco di Döblin in letteratura e di Dix nella pittura.

[xxiii] Si veda a tale proposito: G. Struve, Storia della letteratura sovietica, op. cit. e  Storia della letteratura russa, diretta da E. Etkind, G. Nivat, I. Serman, V. Strada. Vol. III.3. Dal realismo socialista ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 1991. M. Caramitti, Letteratura russa contemporanea, Bari, Laterza, 2010.

[xxiv] In questo senso mi sembra vada anche il saggio di Libor Brom,  A General Introduction to Alexander Zinoviev's Theory of the Soviet Man in https://www.zinoviev.ru/en/writings/zinoviev-brom.html, quando definisce Cime Abissali: «The Zinoviev's plotless satirico-sociological work».

[xxv] M. Rizzante su Milan Kundera, in Nazione Indiana, 21 febbraio 2012.

[xxvi] Secondo Fassio ad esempio una delle particolarità dell’opera di Zinov’ev che la rende particolarmente interessante è data dal valore sociologico della sua opera che è: « le premier auteur à avoir analysé la société soviétique, dans laquelle il vivait, comme étant un système social et non point comme une dictature inspirée par les idées marxistes.» Si veda a tale proposito: F. Fassio, Alexandre Zinov’ev: les fondements scientifiques de la sociologie, La Pensée Universelle, 1988.

[xxvii] L. Brom, op.ci

[xxviii] A. Zinov’ev,  Radioso Avvenire, Spirali, Milano 1997.

[xxix] M. Rizzante, op. cit.

[xxx] F. De Gregori, Rimmel, dall’album omonimo, RCA 1975. 

[xxxi] A. Zinov’ev, Appunti di un guardiano notturno, op. cit., p. 98.

[xxxii] P. Watzlawick, Componenti di “realtà” ideologiche, in P. Watzlawick, La realtà inventata, op. cit. p.177 e ss.   

[xxxiii] A. Zinov’ev, Cime Abissali vol. I e II, Adelphi, Milano 1977 – 78. 

[xxxiv] E. Bennato, Sono solo canzonette, nell’album Sono solo canzonette, Ricordi 1980

[xxxv] A. Zinov’ev, Cime Abissali, op. cit.

 

A cura di Maurizio Canauz



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