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Suor Maria degli Angeli
di Giovanni Buzi
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Suor Maria degli Angeli

Forse, questa notte non succederà.

***

Sfumatura rosa arancio su tessuto bianco. Lino tanto sottile da sembrar non esistere, quasi uno scherzo della luce. Eppure, dolce al tatto. Ricamo di steli e viole. I petali ancora inesistenti sono indicati da tracce blu. Tre fili di seta verdi coprono parte di gambi e foglie. Un movimento dell’ago; lampo scarabeo, una foglia sembra volar via. Suor Maria degli Angeli alza il capo. Lo sguardo oltre la finestra aperta. I roseti s’agitano, frusciano i pini. Dal chiostro viene un profumo oro di tramonto e silenzio. In un sarcofago cade pigro un cannello d’acqua. In uno specchio torbido emergono due occhi; un guizzo e il pesce rosso scompare nel fondo. Muschi e striature color sangue sul marmo scolpito. Nel chiostro porticato, tante esili colonne. Tra le foglie stilizzate dei capitelli s’affacciano schematici visi, felini alati, ibridi dai corpi di donna, ali di pipistrello, artigli, code di serpente. Suor Maria degli Angeli, sedici anni appena compiuti, richiama a sé lo sguardo. Un riflesso ambra le accende le pupille. Abbassa il capo e riprende il ricamo. L’ago affonda nel tessuto e scomparendo lascia un punto smeraldo.

***

Su un’isola del lago di Bolsena, il Convento delle Suore del Benedetto Angelo Custode è un blocco inespugnabile di pietra grigia. Labirinto di corridoi, celle, scale. Pareti nude. Un costante odor di zuppa, lavanda, cera fusa, fiori in agonia. Lenti rintocchi di campane. Bisbigli, passi felpati, brusii.

***

Inginocchiata nella sua cella, Suor Maria degli Angeli, mani giunte, prega. È una notte di luna piena. Appena sfumata di turchese, ogni cosa bagna in una luminosità lattea. Un debole frullar d’ali; Suor Maria volta lo sguardo verso la finestra. Le mani vanno al ventre e si contraggono come carta che brucia. Di sottofondo, costante lo sciabordare calmo, oleoso del lago. Nell’aria vagano riflessi di luna scomposti dalle acque, come sciame di fantasmi. Fatto il segno della croce, Suor Maria s’alza. Pochi passi sulla pietra fredda. Aghi di ghiaccio nelle vene, nel cuore affonda una vipera che contorcendosi morde.
“Questa notte non succederà. Non può. Non deve. Quella cosa non tornerà davanti ai miei occhi”.
Passi lenti. Leggero fruscio della tonaca, Suor Maria si ferma. Lo sguardo sul bianco delle lenzuola, s’alza poi lungo la parete, verso il crocifisso: due bacchette di legno scuro su pietra grigia.
“Mio Dio, aiutami. Non deve accadere mai più!”
Si volta verso la finestra. Una lama di luce le taglia il viso. Ambra, le pupille brillano come gli occhi d’una tigre. Ogni suo muscolo è preso in una trappola di fili invisibili. Un brivido acuto le corre per la schiena. Groviglio di vermi roventi nello stomaco. Le mani non si contraggono più.
“Da dove viene quest’angoscia che muta il sangue in schegge di vetro?”
Lo sguardo le cade di nuovo sul crocifisso. Il riquadro della finestra si proietta sulla parete in una losanga turchese; un’ombra veloce la squarcia. Suor Maria si gira di scatto.
In un blocco di cristallo, un ritaglio del chiostro e del cielo. Soffio di vento, frusciando un pino risponde. Sotto ai panni ruvidi, Suor Maria sente accapponare la pelle, irrigidirsi i capezzoli. Lo sguardo fisso verso la finestra, fa il segno della croce e giungendo le mani sussurra parole. Nella mente, viva, l’immagine di rose bianche e spine. La luce della luna scivola sul velo, s’insinua tra la guancia e il collo, fredda lingua d’amante. Brividi sottili, insistenti. Formicolio di milioni d’insetti sotto alle ascelle, lungo il costato, il ventre, l’inguine. Insetti metallici.
Come le altre volte.
Sudore gelido sulla fronte. Chiude gli occhi e continua a pregare. In bocca, sapore di ciliegia amara, marcia. Soffoca un conato di vomito. Solleva le palpebre. Intorno, tutto è tranquillo. Penombre bluastre avvolgono i pochi oggetti della cella. Nel corridoio non un brusio, non un rumore per l’intero convento. Nessun fruscio contro i vetri della finestra. Eppure...
Suor Maria prende da una cesta una manciata di nocciole, le mette sul pavimento. Ha deciso: questa notte non si coricherà, non lascerà il corpo e la mente in balia di quegli incubi, tanto vivi da sembrare veri. Veglierà fino all’alba. S’inginocchia sulle nocciole, chiude con forza le palpebre. Reprime un gemito di dolore. Giungendo le mani, prega. Pochi minuti e non sente più i gusci conficcarsi fra tendini e ossa. Se le altre notti fosse stato veramente un incubo, solo un brutto sogno? Una ramificazione di brividi si propaga dal ventre alle vene. Come le altre volte.
– Vergine Santa, aiutami! – esclama soffocando le parole nelle mani.
Con ogni forza, tenta di trattenere il liquido amaro, caldo delle lacrime. Nella mente svolazzano uccelli dalle ali affilate, taglienti. Volta di scatto il capo verso la finestra. No, non s’è sbagliata! Qualcosa ha colpito i vetri. Spillo di terrore in gola. S’alza e, schiena contro la parete, resta con gli occhi sbarrati sulla finestra. Il cielo è traslucido come un’antica pergamena. Lo sa, tra pochi istanti il disco della luna entrerà nel riquadro della finestra e un raggio di quella luce malefica attraverserà la stanza. Sarà allora che si troverà faccia a faccia con la Bestia Immonda. Come le altre volte.
Sciabolata, un’idea le attraversa la mente: strappare il crocifisso dalla parete e, stretto in pugno, puntarlo contro la finestra. Esegue e, senza respiro, attende. Per la stanza s’attorcigliano, quasi visibili, i tentacoli d’una gigantesca, traslucida medusa. Fluido agitarsi di niente. In alto, verso l’angolo sinistro della finestra appare, timido, uno spicchio di luna. Dardo velenoso, un raggio di luce colpisce il vetro, penetra nella cella e infilza nel petto Suor Maria degli Angeli. Né il tempo d’un grido e stramazza al suolo. All’istante, dal suo corpo si libera un vapore, una nebbia sottile che s’addensa, s’agita e infine prende forma. Un’orribile forma. Sospeso, si materializza un ibrido gelatinoso, trasparente come vetro fluido. Un ectoplasma pulsante di grovigli neri e sangue. Gocce d’inchiostro che cadono in un boccale d’acqua. Un colpo d’ali e il mostro evanescente attraversa la pietra. Allontanandosi resta nel cielo una scia di striduli squittii.

***

Il sole splende nel cielo azzurro. La Madre Superiora e Suor Ginevra, la responsabile delle novizie, avanzano nel portico colonnato del chiostro. Una monaca cammina in senso opposto.
– Come sta oggi, sorella? – chiede la Madre Superiora.
– Molto meglio, grazie Madre – risponde Suor Maria degli Angeli abbassando lo sguardo, le guance rosee.
Guardandola allontanarsi, la Madre Superiora a Suor Ginevra,
– Quanto mi dà da pensare quella tenera anima. In certi giorni, come oggi, è fresca e colorita più d’un fiore, in altri è d’un pallore cadaverico.
– L’ho notato anch’io, Madre. Se permette, le consiglierò di andare a consulto da Suor Benedetta.
– Che Dio ce la conservi a lungo in buona salute, è un vero modello di devozione e mansuetudine.
– Ha le mani d’oro; le lenzuola che sta ricamando per le prossime nozze della sorella sono un vero splendore!

***

Il filo verde scarabeo compare e scompare dal tessuto bianco. Gli steli e le foglie sono quasi completi, qualche giorno e le tracce blu delle viole inizieranno a prender vita. Nella cesta giacciono i gomitoli di seta viola. Uova d’uccelli del Paradiso, uova di serpi degli Inferi. Suor Maria pensa ad Amalia Assunta, la sua amata sorella maggiore. Due anni le hanno da sempre separate, da otto anni le separano blocchi di pietra e un lago. Camilla dei conti Allibrandi del Buono, da un anno Suor Maria degli Angeli, alza il capo e lascia vagare lo sguardo fuori della finestra. Nel tepore del pomeriggio d’aprile, il chiostro si colora delle resine dei pini e del profumo dei fiori. Lo sguardo si posa distratto su un capitello. Una figura scolpita sembra fissarla. La fronte della ragazza s’imperla di sudore, le labbra scosse da un tremito leggero. Le mani restano, marmo affusolato, immobili sul lino bianco. Quella figura, mai notata prima, la continua a guardare con una fissità di Gorgone. Suor Maria sente la carne diventare pietra. Volto e seno di donna, ali di pipistrello, zampe, artigli ricurvi, coda squamosa... non si sbaglia, è quello l’orrendo Mostro che da qualche mese, ogni notte di luna piena, le appare davanti agli occhi! Le foglie smeraldo, sul lino bianco, tremano.
– Suor Maria! – la chiama Suor Benedetta.
La ragazza non la sente, ogni senso teso verso quel blocco di pietra. Nella mente un’esplosione: sciamare caotico di lampi accecanti, suoni striduli, scalpitii di cavalli, agitarsi d’ali. L’intero suo essere viene invaso da una sensazione d’aerea, immensa leggerezza, mentre nella carne affondano lente, lunghe lame affilate. Una mano sul petto, Suor Maria non riesce a respirare. Troppa aria, troppo cielo, troppa libertà! Nella mente una sola, infinita voragine blu. Chiude le palpebre e, perduta, resta ad ascoltare il crollo d’una foresta di cristallo. Schegge sparse le feriscono braccia, viso, occhi.
– Suor Maria! – sente l’eco d’una voce.
Trova la forza di girare il capo; davanti ai suoi occhi un fluttuare orribile di carne, pietra e fiori, seguito da un risciacquio d’eco e voci. Tremante, la mano destra infigge l’ago nell’altra. Un grido di dolore e sul lino, accanto a una foglia smeraldo, sboccia rossa una rosa.

***

La notte è calma. Nel cielo, luminose e tremolanti un’infinità di stelle. Un soffio di vento increspa la superficie del lago. Profumi di viole e di lontano. Suor Maria sdraiata sul letto guarda al di là della finestra. Come può esser bello il cielo! Per qualche istante, senza pensieri, lascia vagare lo sguardo. Improvvisa, un’angoscia l’assale. La gola si secca, polvere di vetro sotto alle palpebre. Non erano incubi, non erano sogni malefici quelle visioni. Era vero, era tutto vero! Come poteva la realtà essere così orrenda? Com’era possibile che lei si trasformasse in un Mostro capace d’alzarsi in volo per... andare a spiare sua sorella che dormiva innocente? Ora sì, ricordava tutto! Il volo, il lago visto dall’alto, bello come uno specchio incantato. I boschi, la campagna arata, i casolari, i borghi e infine, svettante su uno zoccolo di tufo, il castello di Bonaventura. Era là che aveva passato felice l’infanzia, là che viveva la sua famiglia. In un fotogramma – netto! – vede avvicinarsi la mole squadrata del castello sullo sfondo del cielo illuminato dalla luna. Un fruscio ovattato e sui vetri della finestra della camera di sua sorella appare il riflesso d’un Mostro alato!

***

– Suor Maria, sua sorella è venuta a farle visita.
La ragazza alza il capo e resta a fissare il viso ceruleo della Madre Superiora.
– Vada, la sta aspettando.
Suor Maria lascia cesta, ricamo e si dirige verso il parlatorio.
– Cara! – l’abbraccia la sorella. – Come sono felice di vederti! Sembri un po’ pallida, cos’hai?
– Niente Amalia. Fatti vedere: sei raggiante, non t’ho mai vista così bella!
– Oh cara, è la felicità! Non credo ancora che tra un mese sposerò l’uomo che amo! E non sai, i nostri genitori ci lasceranno il castello di Bonaventura, quel luogo che amiamo tanto, là dove siamo nate e abbiamo passato tanti bei giorni felici. Ma Camilla cosa fai, piangi?
– Scusa Amalia, è la felicità. Troppe emozioni. Vederti, sapere... Io vivo nel silenzio.
La sorella la bacia più volte sulle guance dicendo:
– Oh sono felice anch’io, tanto felice! Vedessi Fulgenzio quant’è bello: un angelo! Gentile, premuroso. Cara, posso farti una confidenza?
– Amalia, di chi potresti fidarti se non di me? – Suor Maria tenendole le mani.
– Sì, lo so, ma è una cosa molto delicata. Sai che da qualche notte...
Suor Maria impallidisce; che la sorella si fosse accorta delle strane visite durante le notti di luna piena?
– Cosa? – l’interrompe. – Cosa ti succede di notte? – dice d’un fiato, il cuore in gola.
– Non fare così, niente di drammatico, te l’assicuro. Mi prometti l’assoluto silenzio? Devo parlare; il mio cuore scoppia di gioia!
– Parla – rassicurata e allo stesso tempo inquieta Suor Maria.
– Da qualche notte, Fulgenzio... – gli occhi d’Amalia Assunta sono ambra accesa dalla fiamma.
– Fulgenzio... – l’esorta la sorella.
– Viene a trovarmi.
– Come?
– In camera.
– Ma...
– Non dire niente, ti prego. È stato più forte di noi. Fra un mese saremo marito e moglie; che male c’è? Vuoi che te lo presenti?
– Io non...
– Devi conoscerlo, gli ho tanto parlato di te! Oh, sono pazza di felicità! Lo porterò qui domani stesso, vuoi?
– Non posso ricevere visite di uomini, lo sai.
– Uomini di famiglia sì. La Madre Superiora è così buona, non negherà che ti presentarti il mio futuro marito.

***

– Fulgenzio, questa è la mia amata Camilla, ora Suor Maria degli Angeli.
– Onoratissimo – il principe Sangiorgi d’Acquaviva abbassando il capo.
Suor Maria era rimasta senza parole; quello non era un uomo, era l’Arcangelo Gabriele! Alto, pelle chiarissima, occhi azzurri, lunghi capelli a riccioli d’oro, labbra rosate. Non riusciva a staccare lo sguardo da quel collo forte in cui pulsava la vita. Confusa, resta a guardarlo senza poter articolare una parola.
– Camilla è stata sempre molto timida – le viene in aiuto la sorella. – Allora, cara, che ne dici del tuo futuro cognato?
Suor Maria si volta e prende a correre verso l’uscita.
– L’ho spaventata?! – il principe ad Amalia Assunta.
– Devi capirla, sempre chiusa qua dentro...

***

Senza confessarlo a se stessa, da quel giorno Suor Maria attende la prossima notte di luna piena. Di giorno mentre ricama, le capita d’alzare lo sguardo e osservare il cielo. Era lontana dal pensare che l’intero suo essere spiava nel blu la pallida presenza della luna. Di notte, si svegliava sudata, la bocca, la gola riarse, le labbra assetate come fiori del deserto. Aveva bisogno della luce argento della luna. S’alzava e, gomiti sulla pietra del davanzale, osservava quel chiarore, bevendolo. Appagamento e nausea. Volo e pesantezza. Immagini sfocate d’alberi e penombre. Nel fresco della notte, sentiva muschio, resine, fumi d’incendi lontani. Sotto alle dita, illusione di velluti e foglie, pietre e rovi, in bocca un retrogusto di mandorle, gelsomino e ciliegie amare. La fronte le si copriva d’un gelido diadema di minuscole perle, chiudeva la finestra e tornava a letto.

***

Notte di luna piena. Lo sguardo fisso verso il cielo, Suor Maria inginocchiata prega. Una freccia di luce attraversa il vetro e la colpisce! Come le altre volte stramazza a terra e dal suo corpo si libera un vapore che si trasforma in un mostruoso ibrido. Un colpo d’ali e l’essenza vitale di Suor Maria si trova a volare al di sopra dell’argento del lago. Quella notte avrebbe vissuto coscientemente la trasformazione. Lo voleva. Non aveva paura del volo, dell’assoluta libertà. Da tanti anni chiusa tra quelle pietre, non ricordava come poteva essere bello il lago, fresca e profumata l’aria. Rivolge uno sguardo alla luna piena e sente nuovo vigore. A vivere il panico e l’orgasmo del volo era anche il corpo disteso sul pavimento della cella: com’era possibile? Il mostruoso ibrido continuava a volare libero nella notte, sfiorando appena le fronde più alte dei boschi di faggi. Una voragine s’apre ai suoi piedi e in lontananza compare la mole massiccia del castello. In un fruscio ovattato si posa su un davanzale. Il vetro le rimanda l’immagine d’un Mostro dal bellissimo viso di donna, seni e corpo coperti di squame, ali di pipistrello, zampe possenti e artigli. Come per tutti questi giorni aveva sperato, Fulgenzio era là. Nudo, accarezzava i lunghi capelli biondi di Amalia Assunta. Fin da bambine avevano avuto lo stesso ambra degli occhi e l’oro dei capelli; sembravano gemelle. Quel corpo che ora Fulgenzio accarezzava poteva essere il suo. Lo sguardo si posa sul collo del ragazzo, su quelle vene pulsanti di vita. All’improvviso, le vengono in mente altri colli, altre vene. Con una sorta di repulsione, si stacca dal davanzale e si lascia precipitare nel vuoto. Un colpo d’ali e riprende quota. Nella frenesia del volo, ricorda perfettamente ciò che ogni notte succedeva dopo aver spiato la sorella. Andava alla caccia d’un uomo. Un uomo da aggredire col peso del corpo mostruoso. In un vortice furibondo di svolazzi d’ali e strette d’artigli, l’immobilizzava a terra e, placando poco a poco, l’agitarsi delle grandi ali di pipistrello, con infinita, lenta goduria succhiava dalle vene del collo fino all’ultima goccia di sangue.

***

Odori di cedro, polvere antica e lavanda, Suor Maria richiude quel fragile manoscritto. Non sui libri la sua anima si placa. Lascia la biblioteca e s’avvia verso la chiesa. Lunghi corridoi deserti, statue senza sguardo. Un cuore rosso e sanguinante come una fragola nuda. Il pavimento in cotto si fa intarsi di marmo. Fiammelle, ori e penombre. Un profondo silenzio amplifica il respiro. Tutt’intorno cera fusa, fiori e acqua marcia. S’inginocchia di fronte al crocifisso d’avorio: il corpo abbandonato, il viso bello. Dalla corona di spine scendono gocce di sangue scarlatto. Il viso dolce, il corpo levigato sono quelli di Fulgenzio. Suor Maria degli Angeli non desidera altro.

***

Per un solo istante, Amalia Assunta dirige lo sguardo oltre la grata, là dov’è la sorella. La famiglia è al completo per le nozze; la madre, la contessa Adalgisa, il padre, conte Ottone Allibrandi del Buono, il fratello Abelardo, mancava solo il cadetto, Odoacre, partito con i Crociati.
Amalia Assunta è bellissima. Da un alto copricapo di velluto blu scende un leggerissimo, lungo velo. Sulla fronte, una perla a goccia gareggia con la purezza della pelle. Le è accanto il principe Fulgenzio Sangiorgi d’Acquaviva, il viso scolpito nel marmo. La sposa portava una cospicua dote: il Castello e il feudo di Bonaventura, una non trascurabile somma in denaro, più cavalli, servitori e gioielli. Gli sposi avevano ricevuto sontuosi regali. Anche Camilla aveva donato loro qualcosa, lo spledido corredo di lenzuola di lino e seta ricamato per mesi. La cerimonia nella cappella del Convento fu sobria, la festa e il pranzo nel Castello di Bonaventura, memorabili. Giocolieri, saltimbanchi e menestrelli. Canti, balli, vino e cacciagione a volontà. Anche per Suor Maria quella sarebbe stata una notte di festa. Una festa memorabile in quella notte di luna piena.

***

Terminati i festeggiamenti, gli sposi si ritirano nella loro stanza, stanchi ma felici. Suor Maria, inginocchiata a pregare nella cella, attende. Attende quel raggio di luna. Puntuale, arriva. Un battito d’ali e il Mostro vola verso il castello lanciando striduli lamenti. Fulgenzio, sulle lenzuola da lei ricamate, ha già infilzato la sorella e con amore, lento come lo sciabordare del lago, va e viene tra le sue gambe bianche, affusolate. Amalia Assunta, i capelli abbandonati, offre il corpo e l’anima al suo legittimo, bellissimo sposo. Un’esplosione di vetri e l’ibrido è nella stanza! Fulgenzio ha appena il tempo di voltare il capo; una valanga di zanne e artigli gli strappa la sposa che in un volo perfetto viene scaraventata al di là dei vetri infranti della finestra. Faccia a faccia con quel Mostro risorto dagli Inferi, il giovane resta pietrificato in un’espressione d’indescrivibile stupore: quell’orrore ha il volto di Suor Maria, la sorella di Amalia Assunta! Sì, sembra proprio lei sorridergli dolce e dolce affondargli i canini ricurvi nelle vene del collo.

© Giovanni Buzi





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