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Il vecchio della montagna
Capitolo 04
di Grazia Deledda
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Capitolo 04

Grande e sanguigno il sole sorgeva dal mare lontano quando squillò il campanello della messa. Tutto taceva nella nitida frescura del mattino, sotto il cielo puro e chiaro: qualche donna vagava qua e là, assonnata e silenziosa, e nelle capannuccie di frasche odoranti, le caffettiere gorgogliavano e saltellavano sulle brage.

Il secondo squillo di campanello risuonò come un piccolo nitrito metallico; vibrò impaziente fuor della chiesa e si spense fra gli alberi. Il sole pendeva ancora sul mare, incendiandolo con la sua luminosità di fuoco.

Le porticine delle stanze (cumbessias) addossate alla chiesa si spalancarono, e nel vano apparvero figure assonnate di bimbi, di ragazzi e di giovanotti.

Al terzo squillo di campanello tutti entrarono in chiesa; di nuovo un gran silenzio regnò al di fuori, sotto il bosco rischiarato dal sole senza raggi e sulla spianata ove le pietre scintillavano di rugiada.

Zio Pietro venne di là, dal bosco umido e brillante; scese dalle roccie come una Deità montana, cieca e forte come le pietre, solenne e mite come gli elci eretti al puro cielo del mattino. Aveva lasciato il berretto di volpe: il cerchio nero della berretta sarda stringeva i suoi capelli argentei. Lo guidava Basilio, che se lo traeva dietro trascinandolo un po', ridendo, curvando la testa alla ricerca di lembi di suolo meno pietrosi. Giunti a mezzo della radura zio Pietro alzò il bastone, e tenendolo in avanti disse:

«Siamo vicini, vero? Ho sentito il campanello».

«Siamo vicini, ma io non ho sentito nulla. Ci avete buone orecchie, voi!»

«Si vede nessuno?»

«Si vede... si vede...», disse Basilio, sollevando la testa e guardando qua e là, «si vede... un cagnolino nero. Oh, che bellino! Te' te' te'!», gridò scoccando le dita verso la bestiola che rispose abbaiando e dimenando la coda ritta, ma senza avanzarsi.

«Non ti ho chiesto se si vedono cagnolini neri; ti ho chiesto se si vedono cristiani.»

«Nessuno, zio Pietro, nessuno!»

Ma dopo qualche passo Basilio socchiuse gli occhi, rise fra sé, e disse con malizia che rasentava la malignità:

«Eh, eh, zio Pré, si vede Paska!...».

Il vecchio ebbe un lieve tremore fra le sopracciglia; ma tosto disse severo:

«Bugiardo: tu non la conosci neppure. Bada che non sono venuto per scherzare con te. Tira avanti, la sorte ti tiri».

«Non ho scherzato, zio Pré, m'è parso proprio di vederla. È piccola, non è vero? Ha il volto roseo lucente, gli occhi neri lucenti, non è vero? E due grandi sopracciglia nere come ale di corvo, non è vero? Era là, dietro quel cagnolino, e quando ci ha visto è scappata.»

«Tira avanti. Non è vero!», gridò il vecchio.

Basilio guardava il cagnolino, e gli rivolgeva continui cenni di richiamo; quindi non badava più al suolo, e il vecchio, sebbene tastasse il terreno col bastone, inciampava sovente.

«La messa è cominciata; non si sente più il campanello. Tira avanti, scimunito, e lascia stare quel cane. Non si vede nessuno?»

«Neppure una gamba di cristiano vivo. Oh, come è bellino quel cane, ha un collare d'oro e una campanella. Sentite, zio Pietro... Drin, drin, drin, drin. Te', bellino, te', piccolo sorcio. Se fossi stato solo me lo avrei rubato.»

«Bravo! E stiamo per entrare in chiesa!»

«Che male c'è? L'avrei messo con la lepre.»

«Pare impossibile che tu sii così ragazzo!», esclamò zio Pietro. Pure dopo un momento domandò: «Dove l'hai lasciata?».

«Chi? la lepre? Oh», disse il servetto, ricordando la bestiola nascosta nel cavo d'un elce, «l'ho lasciata in un luogo dove nessuno, neppure le fate, possono trovarla. Lo so io solo.»

«Dove, dove?»

«Se ve lo dico, lo sapete voi pure, e qualche giorno me la rubate, ve la arrostite, e poi dite che è scappata.»

«Non c'è pericolo!...», esclamò zio Pietro tristemente.

Intanto s'accorse che erano giunti perché, dopo una piccola salita, stendendo il bastone aveva toccato un muro, e col suo odorato finissimo sentiva il profumo del caffè bollente che usciva dalle capannucce di frasche.

«Il cagnolino ci vien dietro, ma non vuole avvicinarsi», disse Basilio volgendosi ogni tanto. «Bau, bau, bau, drin, drin, drin. Perché non ti avvicini, marrano? Vieni qui che ti faccio la festa. Datemi il bastone, zio Pré.»

Il cagnolino, irritato dalle smorfie e dalle grida di Basilio, abbaiava forte; e il piccolo Efisio uscì correndo da una capanna.

«Leone, qui, Leone!»

«Leone, qui, Leone!», imitò Basilio. «È tuo quel cane, ragazzino?»

«Sì, è mio, non è tuo!», gridò Efisio inviperito.

«Se alzi la voce, gli do tante bastonate che gli faccio cacciar le viscere per gli occhi.»

«E finiscila, finiscila!», ammoniva zio Pietro.

Efisio mostrò la lingua, e Basilio gli fece le corna, e non contento di ciò, appena ebbe condotto il vecchio in chiesa, tornò fuori per continuare a insolentire contro il ragazzetto.

Zio Pietro si trovò solo, inginocchiato per terra, col braccio sinistro appoggiato al sedile, lungo la parete. La poca gente che assisteva alla messa si volse a guardarlo; egli lo sentì, e provò una tristezza, uno smarrimento profondo. Il cuore gli batteva forte, ma il volto roseo, sollevato verso l'altare e illuminato dalla luce della porta rimaneva sereno.

Dov'era Paska? Era in chiesa? Egli aveva sperato che ella, nel vederlo, sarebbe corsa a salutarlo. Ignorava lo scandalo della notte scorsa, e veniva a insaputa di Melchiorre per visitare ancora una volta la Madonna, ed anche per tentare un colloquio con Paska.

Ma Paska non veniva. E il cuore del vecchio si calmò, e il suo pensiero si sollevò tutto alla Piccola Signora, il cui roseo visino lucente pareva assorto nella contemplazione di una cresta azzurra di monte e di una cima d'elce che si disegnavano sullo sfondo della porta.

Le donne salmodiavano con voce monotona, e la loro cantilena aveva tutta la melanconica dolcezza dei susurri notturni del bosco. Zio Pietro ricordava, rievocate da quella cantilena, altre messe, ascoltate lassù in tempi lontani; e rivedeva i luminosi sfondi delle porte, le donne curve sotto la porpora dei loro corsetti di scarlatto; e più su qualche testa nuda di paesano, dai lunghi capelli unti, raccolti in treccioline, lucenti al chiarore dei ceri; e il lento sacerdote che andava e veniva con le mani sollevate, con la tunica d'un equivoco candore tanto rialzata dietro da lasciar vedere l'orlo dei calzoni neri.

Dopo le litanie le donne intonarono i gosos, cambiando tono, ma sempre con cadenza monotona e nostalgica.

Zio Pietro sentì un leggero brivido alla nuca, e un'onda di tenerezza, di ricordi, di rimpianti, gli coprì il cuore. Appoggiò le mani al bastone, si sollevò, sedette, e la sua voce sonora s'unì alla cantilena popolare: e i versi ch'egli cantava gli ridiscendevano sul cuore con ineffabile dolcezza:


Imploranos, de su Monte

Reina, s'eterna vida.1


Il ritornello veniva ripetuto due volte; le voci infantili s'acuivano, diventavano piccoli gridi rauchi: poi all'improvviso si fece silenzio, e zio Pietro tornò a inginocchiarsi per la benedizione. Coi gomiti appoggiati al sedile nascose il volto fra le mani, e attese e ricominciò a turbarsi. Sentì la gente andarsene; i ragazzi e gli uomini scender i gradini dell'altare; ma nessuno s'avvicinava a lui, nessuno gli badava. Ella dunque non c'era? Attese ancora, finché la chiesetta non rimase deserta: sentì la tosse rauca d'una vecchia che usciva ultima, e il lievissimo passo d'un bimbo scalzo che attraversava di corsa la chiesa: poi più nulla. Allora s'accorse che anche Basilio lo aveva abbandonato, e sentì una grave tristezza, un doloroso senso d'umiliazione. Le labbra continuavano a pregare, ma l'anima era fredda e vuota come la vecchia chiesa, e la preghiera vi si smarriva tristemente. Sentì Basilio rientrare in punta di piedi, avvicinarglisi alle spalle, e toccarlo al braccio.

«Zio Pietro, volete che andiamo? Non c'è più nessuno.»

«E tu dov'eri?»

«Io? Qui, zio Pietro.»

«Non è vero! Sei bugiardo anche in chiesa? Non hai ascoltato la santa messa. Inginocchiati. Subito.»

Gli prese la mano, lo fece inginocchiare, e nel sentirlo sospirare e pregare fervorosamente a bassa voce, gli accordò il suo perdono.

«Zio Pietro, che bei fiori sull'altare! Sono veri? Mi lasciate andare a vederli?»

Il vecchio pensò che Basilio poteva far anche a meno del suo permesso, e quindi credé bene di darglielo.

«Va pure; e non toccar nulla.»

Ma dopo averlo sentito salire a passi leggeri ed elastici i gradini dell'altare fu colpito da un tintinnio di vasi mossi e rovesciati. Immediatamente Basilio fu di nuovo al suo fianco.

«Che hai fatto? Hai toccato nulla?»

«Nulla, zio Pietro. Andiamo, adesso.»

Se lo tirò dietro e uscirono.

Paska stava un po' curva sull'apertura d'una capannuccia, quando vide la rigida figura dello zio. Presa dalla paura d'un nuovo incontro con Melchiorre, ella non era discesa in città per le provviste, ma era stata alla fonte in buona compagnia, e non aveva assistito alla messa, né ancora veduto zio Pietro; e nel vederlo si sarebbe volentieri eclissata se Basilio, fissandola intensamente, non l'avesse riconosciuta agli indizi.

«Sei Paska Carta?», le domandò maliziosamente, scuotendo la mano del vecchio nella sua, quasi per dirle: «non riconosci quest'uomo? Non lo inviti ad entrare?».

Paska uscì dalla capanna: se zio Pietro non fosse stato cieco, né in balìa di un monellaccio, ella, dopo lo scandalo della notte prima, si sarebbe creduta in diritto di voltargli le spalle; ma poiché egli era la più debole e infelice delle creature, non poteva negargli il saluto: e lo salutò, infatti, con un amichevole cenno di testa.

«Siete qui, zio Pietro?»

«Sono qui. E tu dov'eri? Non eri a messa?»

«Non c'ero. Ero alla fonte. Eh, non mi avanzava molto tempo per andare in chiesa!»

Era ironica e inquieta. Con le piccole mani rosse s'allargava sui fianchi il grembiule di percalle nero a fiori gialli; e mille parole amare le salivano alle labbra, e il desiderio di sfogare tutta la sua ira e il suo dolore ingiuriando il povero vecchio la vinceva. Ma a che pro? Che colpa aveva lui? Che poteva farle? Forse era venuto per chiederle pace e perdono; e in fondo ella sentiva vergogna, perché la sola presenza del vecchio era per lei un muto rimprovero.

Eppoi c'era Basilio che la guardava ostinatamente, sorridendo con malizia, seguendo con sguardo curioso ogni suo movimento; e i padroni, fattisi sull'uscio della stanzetta, osservavano. Si volse a loro e disse con voce dispettosa e amara:

«Questo è mio zio Pietro, poveretto, il padre di quel miserabile che ieri notte mi ha percosso».

«Chi ti ha percosso? Melchiorre?», gridò il vecchio, e per il dolore e la sorpresa sollevò le palpebre, lasciando scorgere il bianco rossastro degli occhi spenti.

Basilio spalancò la bocca e cessò di sorridere.

«Non lo sapete dunque?», strillò Paska, continuando a slargarsi il grembiule. E volgendosi or verso zio Pietro, or verso i padroni (la signora era piccola e rossa in viso quanto suo marito era grosso e pallido), narrò la storia, metà in sardo, metà in italiano, curvando in ultimo le spalle, come se i poderosi pugni di Melchiorre stessero lì pronti ad atterrarla ancora.

«E mio figlio ha fatto questo? E mio figlio ha fatto questo?», ripeteva zio Pietro, con le mani l'una sull'altra appoggiate al bastone, e il volto umilmente abbassato. La barba gli copriva fin la cintura di cuoio, dalla quale pendeva l'acciarino in forma di piccola scure.

«E vostro figlio ha fatto questo, zio Pietro, e vostro figlio ha fatto questo, contro sua cugina, contro l'orfana di padre e di madre, e forse si prepara a far altro, perché, già, lo so, egli vuol bere il mio sangue, dopo che mi ha calunniata e vilipesa in mille modi. Ma parola che gli do io», e si posava una mano sul petto, «qualcuno gli troncherà le gambe quando meno egli pensa, o non mi chiamerò più Paska Carta!»

«Paska! Paska!...», cominciò il vecchio; ma Paska anziché lasciarlo proseguire, si mise a piangere, e strillò fra i singhiozzi:

«Paska! Paska! Già, lo so cosa volete dirmi, zio Pietro, so tutto, tutto so... ma volete che mi lasci ammazzare da lui? Lo sto forse molestando io? Perché non mi lascia tranquilla? Dite?».

«Buon uomo», disse la signora poiché molti curiosi s'avvicinavano, «venite qui dentro un momentino. Aiutalo, Paska.»

Il marito le fece gli occhiacci, ma la buona signora mormorò: «Poveretto!», e, atteso il vecchio sulla porta, l'aiutò ad avanzarsi, e lo fece sedere su una panca.

Basilio gli sedette a fianco, e torcendo il collo cominciò a guardarsi intorno curiosamente. Una tenda turchina divideva l'ambiente in due parti, nascondendo i letti da campo rizzati in fondo alla stanza: dal tetto di canne penetravano fili di sole che descrivevano macchie sul pavimento rozzamente acciottolato: soli mobili la panca ove sedevano, qualche seggiola, una cassa di legno giallo, un tavolino ingombro di vassoi, di bottiglie, e di calici che brillavano alla viva luce della finestruola. Sullo sfondo di questa si vedeva il bosco, verde sul cielo azzurro. Un piccolo specchio rifletteva di fronte un pezzo di quel luminoso paesaggio: l'aria fresca che veniva dal bosco dava alla tenda un movimento di onda turchina. A Basilio pareva di trovarsi in un magnifico salone e ne provava un piacere infantile: i suoi occhi andavano dal radioso sfondo dello specchio al prisma d'una bottiglia di menta, che alla luce sembrava un'anfora di smeraldo di cui ogni sfaccettatura sprizzava scintille. E non sapeva quale più intensa delle due possibili gioie: o sentir scendere per la gola il filo denso della verde bevanda, o accostarsi allo specchio e vedercisi riflesso meglio che nella tremula superficie della fontana. E Paska era lì accanto, fresca e bella come una rosa. Spiando i discorsi di zio Pietro e del figlio, Basilio aveva tante volte pensato a lei, dominato a poco a poco da una potente curiosità di conoscerla. Adesso ella era lì, col grembiule a fiori che le disegnava il puro arco dei fianchi: era lì, a testa nuda, con le piccole mani fragranti di caffè. Egli non aveva mai veduto una donna più bella di così: e la sua curiosità appagata, e la speranza di bere il liquore e di guardarsi nello specchio lo rendevano di momento in momento ebbro di felicità. Dimenticava la lepre che lo attendeva nel cavo muscoso, le capre abbandonate, il padrone lontano, zio Pietro che gli stava a fianco. Tutto ciò che vedeva, compreso il volto rosso della signora e il viso giallo e la minacciosa barba nera del signore, gli sembrava bello, e non gli dava soggezione. Come dovevano esser felici là dentro, coi dolci nascosti nella cassa, e i liquori e i vini! Anche Paska, nonostante la batosta di zio Melchiorre e le lagrimette versate, doveva esser molto felice.

Ella intanto proseguiva i suoi lamenti, resa più ardita dal doloroso e umile silenzio di zio Pietro. Egli la ascoltava sempre a capo chino e con le mani aperte appoggiate sul bastone; sentiva lo sguardo dei signori fissarlo, e non poteva protestare né parlare, assorto, più che nel racconto di Paska, nel ricordo dell'angoscia provata la notte prima, durante l'assenza di Melchiorre. Dunque non s'era ingannato prevedendo sciagura, e forse non s'ingannava neppur adesso, tremando alle minaccie di Paska. La voce nasale del padrone incitava alla vendetta la serva con frasi beffarde. Che poteva dire il vecchio? Come osar di parlare a Paska in presenza di quel padrone rude e beffardo che la difendeva in quel modo?

«Tu hai ragione», provò a dire, «ma tu sai come è mio figlio! Il dolore inasprisce, figlia mia, e devi compatire, devi esser prudente, devi perdonare. Egli l'ha fatto per troppo amore, perché ti vuol bene ancora.»

«Bell'amore, zio mio, bell'amore! Amore di bestie feroci! Io non voglio né il suo amore, né il suo odio: non so cosa farmi né dell'uno né dell'altro. Vuol piangermi dopo avermi ammazzata, forse? Lasciatemi stare la testa, zio mio, queste non sono cose da dirsi.»

«Paska, fallo per amore mio, sii prudente, per questo povero vecchio che ha perduto la luce del giorno. Siamo nati tutti per morire, e all'altra vita ci portiamo solo le buone opere, il perdono delle offese, il compatimento, l'amore del prossimo...»

«Ma, buon uomo, perché queste cose non le dite a vostro figlio?», domandò l'ironica voce del padrone.

«Sì, perché non le dite a vostro figlio, zio mio?»

La signora vide arrossire il vecchio, e ne ebbe pietà. Rivolta al marito e a Paska disse:

«Via, finitela. Porta da bere qualche cosa a questo vecchio. Abitate sempre nel bosco, buon uomo?»

«Sempre.»

«Anche d'inverno?»

«Anche d'inverno.»

«Ma d'inverno ci dev'essere molto freddo quassù e molta nebbia.»

«Non importa.£»

«Che vita!», ella disse con pietà.

Ma il marito era un magistrato; e fissando gli occhietti neri lucenti sul volto di zio Pietro vi ritrovava le stigmate della delinquenza, sebbene sapesse che il vecchio era sempre stato un galantuomo.

«Quante ne avrà fatte costui in vita sua! Ma se ha sfuggito la umana giustizia non sfugge la divina. Cranio dolicocefalo, volto prognato, angolo facciale imperfettissimo. E quel muso di volpe lì accanto? Delinquente in formazione, di specie pericolosissima: microcefalo, con fronte depressa. L'alba e il tramonto del delitto. Razza maledetta!»

«Di dove sei tu?», domandò a Basilio.

«Di Oliena», rispose sorridendo il giovinetto.

«Quanti anni hai?»

«Non so. Diciotto, credo.»

«Non si direbbe. Ti piace il vino?»

«Uhm... non ne vedo mai...»

«Ma vedendone ti piacerebbe?»

«Sicuro. E a chi non piace il vino?»

«Paska, vino!», gridò il padrone.

Basilio si pentì della sua risposta.

«No, no», disse però la signora, «è troppo presto per il vino. Cosa volete, buon vecchio? un po' di caffè? liquore?»

E Paska servì la menta, versandola lentamente nei calici rosei fioriti d'oro. Mentre zio Pietro sorbiva a poco a poco il liquore, Basilio vuotò avidamente in un sorso il suo calice, arrovesciando la testa all'indietro, chiudendo gli occhi per l'intenso godimento. Che frescura e che dolcezza sul palato e sulla lingua! Che cosa buona, Dio mio! Aveva l'irritante voluttà del vento di primavera e del profumo intorno alla fontana!

Basilio avrebbe voluto battersi un pugno sul petto per il piacere; ma rimesso appena il calice sul vassoio di cristallo, sentì la bocca ardergli, come una volta che aveva masticato pepe, e arrossì e fece una smorfia.

A un tratto apparvero la gracile figura di Efisio e il musetto del cagnolino. Questo abbaiò e non volle entrare; il ragazzetto spalancò gli occhi e andò a porsi silenzioso accanto al padre.

Basilio ebbe paura del visetto pallido e dei piccoli occhi che lo fissavano con odio.

«Andiamo, zio Pietro», disse toccando il braccio al vecchio.

«Andiamo», rispose zio Pietro scuotendosi dal suo doloroso avvilimento.

E se n'andarono tristi ed umili, senza aver ottenuto da Paska una buona parola. Zio Pietro pensava:

«Che dirà Melchiorre se saprà che mi sono avvilito al punto di venirla a cercare, al punto di entrare da quei signori e di bere, e di parlare con loro? Ogni cosa è perduta; s'egli non sarà prudente si perderà e che sarà di noi?».

E mentre attraversavano la radura, accompagnati dalle grida dei bimbi e dal saltellante anelito del flauto, zio Pietro benché sentisse sul viso il tepore del sole e nella mano la mano di Basilio, provò di nuovo un terrore mortale, e gli parve di essere in mezzo a un bosco tenebroso, abbandonato da tutti.

© Grazia Deledda







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dal 2021-09-01
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