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Spesso si ha la sensazione che la scuola, per insegnare la letteratura, ne cristallizzi la storia e metta su un ideale piedistallo gli autori classici, da dove si può vederli meglio nella loro interezza, ma necessariamente a distanza. E probabilmente nessun poeta tra i maggiori della nostra letteratura si presta meno e, per quel che ne sappiamo, avrebbe gradito meno questa trasformazione coatta in monumento bronzeo quanto Giacomo Leopardi. Se ci si limita a pensare ai suoi anni di studio "matto e disperatissimo", ci si fa l'idea, inadeguata, che la sua ambizione fosse quella di restar solo tra le sue carte nella biblioteca paterna. Eppure, in tutta l'opera leopardiana si può dire ci sia una volontà ed una necessità di dialogo, dalle Operette morali alla frequente propensione al colloquio in molti dei Canti, con il ricorrente uso della seconda persona singolare, da "Silvia" ad "Aspasia" fino a "La ginestra". Inoltre, confinare Leopardi al ristretto ambito dell'erudito giovinetto che diventa il poeta del pessimismo cosmico, oltre a non rendergli giustizia, risulta forse tendenzioso e fuorviante. In questo tentativo di allargare lo sguardo sulla filosofia leopardiana, non si può fare a meno di imbattersi nella vita del poeta, ed accorgersi che la filosofia è parte della vita, in Leopardi, mentre la poesia ne è spesso la sublimazione e l'interiorizzazione.
Lanfranco Bertolini è un preside, ora in congedo, che decide per un momento di far uscire il poeta di Recanati dalle pagine dei programmi scolastici e rendercelo com'era in vita: sì malinconico ed angosciato a volte, ma anche cordiale, dignitoso ed umano. Lo guida in questa sua ricerca quella "Lettera ad un giovane del XX secolo" che Leopardi cita varie volte nello "Zibaldone", senza peraltro comporla mai nella sua interezza (o meglio disseminandola qua e là nella sua opera, come l'autore efficacemente ci mostra). Quest'analisi riesce a portare sul tappeto alcuni aspetti della meditazione leopardiana poco noti o sottaciuti, come il discorso sulla perfettibilità dell'uomo su cui il poeta avanza dubbi ancor oggi non dissipati, se pensiamo a quanto dello sviluppo tecnologico si sia ottenuto senza un reale progresso umano e sociale. Ed il suggerimento del poeta che l'autentica ambizione, per quanto chimerica, del genere umano debba essere la felicità, non la perfezione, è quanto mai attuale.
Da persona che ha lavorato a lungo nella scuola, Bertolini sa quel che la scuola può dare, il rigoroso inquadramento dei concetti critici e la storicizzazione della letteratura, che sono idee che vanno trattate con un bel po' di passione (o se preferite, di cuore), altrimenti si traducono soltanto nel mettere ogni autore ed ogni opera al suo posto, senza discutere chi quel posto abbia loro assegnato e specialmente perché: incasellamento, quindi chiusura, piuttosto che collegamento, quindi apertura. Ed allora, l'autore decide che bisogna cambiare angolazione: lasciare che i giovani esaminino i vari aspetti di Leopardi come viene trattato a scuola, non per farci vedere che hanno imparato la lezione, bensì per conferire al poeta una nuova freschezza critica, chiamandolo Maestro, Poeta o magari semplicemente Giacomo, ma con un medesimo intento: dialogare con lui attraverso la sua opera, intesa nel senso più vasto.
Definito così il ruolo dei giovani interlocutori, si chiarisce anche qual è quello dell'autore, come esperto insegnante e studioso: dove la scuola si limita giocoforza ad indicare un certo numero di alberi, egli deve guidarci nella foresta, orientandoci con sicurezza, ma senza nemmeno impaurirsi ad ogni svolta che immetta in un sentiero non segnato. Così, invece di individuare stilisticamente e freddamente i poeti più o meno "leopardiani" del Novecento, Bertolini va più in profondità e cerca la corrispondenza d’anime e d’affetti, per esempio in una riflessione montaliana sul pessimismo, od in una vibrante preghiera alla poesia di Alda Merini. Allargare l'orizzonte per scavare in profondità, ed offrire un ritratto completo, quindi realistico del poeta recanatese. Ho particolarmente gustato, ad esempio, quegli estratti dei Paralipomeni della Batracomiomachia, in cui Leopardi, per nulla intimidito da un genere anomalo come il poema eroicomico, in apparenza estraneo alla sua poetica, ma di cui il poeta si appropria nel momento in cui si muta in satira. Satira che assolve ad un compito eguale e di segno contrario rispetto alla sua poesia, quando critica ed annienta le aberrazioni del mondo moderno (o meglio, dell'uomo di ogni tempo) per riportare il pensiero alle radici comuni del sentire, a quella sensibilità fuori dal tempo, e solo rivestita di un'apparenza temporale, che è alla base dell'universo poetico di Leopardi. Il merito dell'autore è di mostrarci tutti questi passaggi, che si rivelano poco a poco necessari alla formazione della poetica leopardiana: il rapporto con la famiglia, quello col mondo circostante, sia privato che politico, che con l'amicizia e con l'amore. Sono tutti passi che conducono Leopardi, con un'insospettabile e quasi tenace consapevolezza, rivelata dai passi delle lettere e dallo Zibaldone, alla profonda ed eterna meditazione sulla vita e sulla natura che conosciamo e che ci fa amare nel poeta l'uomo.
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