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1981
di Flavio Carbone
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In fondo al pullman Coca Cola dorme, Geppo e Zigano scrivono sullo striscione collo spray nero “Guardie Infami-No alle diffide”, Roscio rolla una canna, Prospero sta in disparte a trafficare con delle scatoline.
Ha i giorni contati, non doveva sgarrare: niente spaccio, ci parlo dopo la trasferta, niente tossici in Curva.
Patata sta pomiciando co’ Sabrina: non hanno manco diciotto anni.
Non sarà una passeggiata a San Siro coll’Inter; i Boys che ci tirano di tutto dal terzo anello, sassi, bottiglie di vetro, biglie di ferro.
I bastardi hanno messo il settore ospiti sotto ai tifosi della squadra di casa e dall’altra parte i celerini a caricare.
La prefettura, il questore, il ministro, i reparti antisommossa.
Lo-stato-vuole-gli-scontri.
Gli scontri servono per le leggi speciali, per i fondi alla polizia, alle forze armate, la gente perbene deve sentirsi sicura.
Siamo a metà strada, l’autista va a ottanta all’ora, fra venti chilometri Autogrill Roncobilaccio.
Io lavoro da mio padre in officina, le mani sempre sporche di grasso, non ci starò tutta la vita, so che farò qualcosa, non so che cosa, ma non sarà sempre così.
Geppo scarica la frutta al mercato, si alza tutte le mattine alle cinque; Zigano con la tuta piena di vernice, fa l’imbianchino, ha lasciato scuola a quindici anni, Luciano lo chiamano “Er Dottore” solo perché vive ai Parioli, Marco e Franco, i Gemelli, entrano e escono dalla galera per gli scontri all’Università.
“Daje regà sveja! Famo ‘npo’ de spesa all’autogrill”.
Chiamo i miei, siamo in venti; ci avvolgiamo le sciarpe in faccia.
Adrenalina come se fosse la prima volta, corriamo veloci, saltiamo i tornelli alle casse; prendiamo di tutto, pane, prosciutto, birre, un signore ben vestito strilla “delinquenti” e si prende uno schiaffo in testa.
La gente è disgustata, terrorizzata, rassegnata, gente perbene.
Quando metto piede fuori, capisco che c’è qualcosa di strano; chiamo subito i miei “Aò in campana!”.
C’è un pullman targato Bergamo senza nessuno dentro vicino a una siepe: un agguato.
Dobbiamo prendere tempo, siamo scoperti in mezzo al parcheggio, le mazze e le spranghe stanno nel bagagliaio.
Vedo qualcosa muoversi dietro la siepe, hanno nascosto le armi, qualcosa luccica….coltelli!
Questi figli di puttana se ne fregano del codice ultras, niente lame allo stadio; i primi a portarle quelli della Fossa dei Leoni, il codice prevede solo qualche sfregio alle gambe, ma ormai è il caos, non si esce dalle lame negli scontri, presto arriveranno i morti.
“Geppo lancia du’ fumoni!”.
Geppo, magro come uno spillo corre corre corre verso il pullman, i bergamaschi sono fuori con mazze, spranghe, coltelli, manganelli rubati alla polizia.
C’è pure qualche sciarpa rossonera; per evitare le diffide i milanisti vanno a fare gli scontri coi bergamaschi fuori casa senza seguire il Milan. Il paradosso.
Patata è rimasto vicino all’entrata; il ragazzino è solo alla terza trasferta, un armadio col bomber e col passamontagna lo chiude in un angolo, una sprangata allo stomaco lo fa piegare in due, povero Sandro, che je racconto a tua madre?
Prima di partire da piazza San Giovanni stamattina, mi ha guardato e m’ha detto: “Trattamelo bene sto fijo mio, è un regazzino, pensace tu”.
Geppo ha raggiunto il pullman, senza pensare lancia un fumogeno in mezzo alla teppa; è tutto nervi, riflessi a mille, sempre all’erta.
Due minuti in cui non si vede niente, solo fumo rosso come nei gironi dell’inferno: “Daje regà!!! Sveja sveja sveja!”.
Ci sono tutti, stiamo compatti, non ho paura, per avere paura avrei dovuto avere qualcosa da perdere, qualcosa per cui ritenermi fortunato.
Lentamente il fumo si alza, siamo di meno, ma siamo organizzati, schierati, io in testa e loro di fronte coll’idea a frullargli che non sarà una passeggiata di salute.
Li guardiamo negli occhi con disprezzo; gira voce che qualcuno s’è venduto i diffidati raccontando la storiella alla polizia, infame.
C’abbiamo tanta rabbia in corpo.
L’agguato l’hanno fatto loro ma partiamo noi, è il momento nostro, la mejo gioventù, voi siete solo vecchi ubriaconi, siete alla fine, facciamo ciao ciao alla Vecchia Guardia.
Io ci ho davanti un sacco da pugilato, grosso, goffo, immobile, sbraita frasi incomprensibili nel suo dialetto, gli levo il fiato con violenti e ripetuti colpi di mazza alla bocca dello stomaco, non si tiene su nemmeno cinque secondi, si accascia al suolo.
Geppo, Zigano, Roscio e Cocacola se la cavano alla grande; in quattro-cinque di loro capiscono l’aria e se la danno a gambe, rischiando la vita, saltano i guardrail e le corsie dell’autostrada.
In dieci cominciano a indietreggiare verso la siepe, almeno quindici sono accasciati al suolo sanguinanti, ma faccio cenno ai miei di stare fermi, non si infierisce, lasciamoli a mangiare la polvere.
Sto parlando a Geppo sul da farsi, quando sento qualcosa spaccarsi in mille pezzi sulla mia testa; mi inginocchio solo due secondi, un rivolo di sangue mi scende lentamente sulla tempia destra.
Da laggiù hanno cominciato a tirare bottiglie di vetro, anche Zigano c’ha una ferita vicino allo zigomo, maledette schegge.
Allora ve la cercate, allora l’avete voluta voi: “Sete popo dei cojoni..Ancora…? nun ve basta?”, urlo a scuarciagola, e riprendo “Ancora?”.
Mi giro verso i miei: “Daje regà!”.
Cominciamo a correre di nuovo saltando i feriti sull’asfalto, le facce che escono dalla siepe sono terrorizzate, altri sei scappano dall’altra parte dell’autostrada, in cinque sono così fessi da aspettarci, ma è un vero massacro, dopo due minuti li abbiamo spazzati come birilli, ci avanza solo qualche sputo.
Mando i ragazzi a prendere le bandiere e gli striscioni sul pullman loro; quando guardo dall’altra parte della carreggiata mi accorgo che a scappare è stato Bepi, il capotifoso.
Questa giornata ve la ricordate; da lontano arrivano i lampeggianti della polizia, faccio cenno che non ce ne andiamo, sarebbe inutile, niente scontri coi celerini, siamo feriti.
Patata è a terra che sputa sangue, Sabrina è scesa dal pullman e lo asciuga con un fazzoletto.
Guardiamo Bepi e i suoi cinque conigli; Geppo sventola una bandiera dell’Atalanta, Zigano stende colle braccia una sciarpa nerazzurra, io gli faccio segno di venire colla mano destra, le nostre risate rimbombano nel parcheggio.
“Alla prossima pensatece due volte”, dico mentre stiamo fermi a guardarli, grondanti sangue, la luce blu lampeggiante e la sirena della polizia, lo stridere delle gomme sull’asfalto, il giorno del mio ventesimo compleanno, 10 Aprile 1981.

© Flavio Carbone



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