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Lettera agli amici della giovinezza...
di Davide Morelli
Pubblicato su SITO


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Sono ritornato più volte non solo sui miei passi, ma sulle vecchie strade. Sono ritornato davanti a quel portone. Sono tornato davanti a quell’appartamento al primo piano e ho scorto le sagome di giovani studenti e studentesse (conservo ancora in qualche agenda il numero di telefono fisso di quella casa). Certo ricordo quei giorni. Sono lì in un angolo qualsiasi della memoria, un poco polveroso e molto datato. Ogni luogo può essere ameno in compagnia delle persone giuste, ma c’è sempre qualche inghippo, qualche noia, qualche inganno o lo stesso “anello che non tiene” che non lo rendono ideale. L’idillio perfetto non esiste. Ce lo dice anche il Manzoni alla fine del suo celeberrimo romanzo.  Anche noi avevamo piccole liti, piccoli screzi, piccole incomprensioni.  Un tempo ci vedevamo in luoghi fisici. Ricordo aule, piazze, vie, gli scalini dove ci sedevamo sempre,  il prato su cui fumavamo davanti alla Cappella degli Scrovegni.  Le immagini di voi e quelle di Padova diventano un tutt’uno, si amalgamano, si fondono. Era Padova, eravate voi, era la mia e la vostra gioventù! E poi ricordo gli amici scomparsi, quelli andati per un incidente, chi per un malore, chi per un tumore. Non c’è stata una data definitiva in cui ci siamo congedati, in cui ci siamo detti addio. Pensavamo sempre che ci saremmo rivisti, ma poi le cose della vita, la pigrizia o solo l’inerzia dell’esistenza ci hanno fatto desistere. Oggi vi ritrovo solo nella mia memoria, ma tant’è! Così stanno le cose! Così va questa vita! Qualsiasi rimembranza, qualsiasi esercizio di memoria adesso non dico che sia nocivo ma è inutile. A quale pro? L’oggi sembra ricalcare l’ieri. Voi immagini lontane, quasi arcaiche, siete ormai il passato remoto. Si ha un bel dire “la giovinezza”! Ora ci sono problemi maggiori: l’ansia per il futuro proprio e di quello dell’umanità, insomma il combattimento in me e la guerra nel mondo. Nessuno conosce a menadito il sillabario e la simbologia del cuore umano. Io non so delle vostre avversità, delle vostre ipotesi, congetture né dei vostri dubbi. Un tempo appena ti sentivi solo ecco subito che invocavi aiuto e qualcuno veniva in soccorso. Ora dovrei essere troppo vecchio per dire che mi sento solo, ma se ne avessi troppo pudore della mia solitudine essa esploderebbe in tutta la sua desolazione.  Oggi ogni manifestazione di affetto è di troppo, anche gli abbracci sono vietati o malvisti ai tempi del Covid. Ci eravamo ripromessi che ci saremmo rivisti, ma poi le circostanze esterne, gli accadimenti fortuiti hanno fatto in modo che rimandassimo continuamente fino a perderci di vista. Un tempo il 31 dicembre lo passavamo insieme e brindavamo all’anno venturo. Ora non siamo più così carichi di ottimismo, di speranza. Oggi personalmente non sono più entusiasta. È cambiato non l’osservatore ma il luogo di osservazione. È come se si fosse verificata una sorta di parallasse temporale. Oh voi che siete immagini care, presenze fantasmatiche allettanti nell’animo! Le nostre strade, cari amici, si sono separate e forse non si congiungeranno più, nonostante avremmo molte cose da dirci, magari seduti al tavolino di un bar. Francamente non ho capito se ognuno sia artefice della sua sorte o se la sorte sia artefice delle nostre vite, ma forse, pensandoci e ripensandoci, capirò qualcosa, alla fine con sicumera plasmerò anche io delle certezze scontate e una visione del mondo netta, categorica. Non so sinceramente se serva o meno a noi stessi riflettere sulla vita: forse è la vita stessa che riflette noi stessi, ci rimanda un’immagine di noi stessi che talvolta ci pare deformata o distorta. I ricordi che ho di voi fanno parte del mio patrimonio umano, ma sono cose di cui andare poco fieri; gli aneddoti, le storie, le disavventure non sono cose da tramandare ai vostri figli. Nessuno di noi è famoso da dire in un futuro indefinito: “io l’ho conosciuto”. Né rimarranno le tante discussioni intavolate le sere dopocena. Sono, saranno tutte parole perse. Rimangono per ora  pochi frammenti delle nostre conversazioni nella mente di ognuno perché vivere è andare sempre oltre, non fermarsi all’immagine dei nostri volti di una pozzanghera, tralasciare molto, dimenticarsi spesso per non avere un fardello troppo ingombrante sulle spalle. Qualcuno dirà che è inutile farsi le pippe coi ricordi, ma è ben più deleterio farsi le pippe per una rivoluzione mancata o per una palingenesi della società che non si verificherà mai. Il potere non ha un volto, il potere ha infiniti volti. Il potere per comandare e per manipolarci omette, nasconde, inganna tutti noi, anche i più scaltri. A cosa affidarci? Al pensiero forse? Ma il pensiero scaturisce sempre dal caos e da conoscenze, esperienze limitate e provvisorie. Alla cultura? Ma anche essa è un compendio di pensieri. La cultura? Cioran scrive: “La storia delle idee è la storia del rancore dei solitari”. Tutto si fonda sul nulla o se non vogliamo essere totalmente nichilisti su fondamenta instabili. E poi ognuno a onor del vero più passano gli anni e più è preso dei ricordi. Ricordo la sete di giustizia di alcuni di voi, ma ora che avete lavoro, moglie e figli non volete che nessuno rinfacci voi le utopie giovanili. Sarebbe bello poter affermare con certezza, con un ardire incosciente, noi siamo questo e quello, noi non siamo questo e quello. Innanzitutto come scriveva Montale nemmeno siamo certi di esistere. Poi è difficile stabilire cosa siamo. Lasciamoli ad altri più baldanzosi e più avventati questi bilanci esistenziali, sempre provvisori e talvolta truccati. Per fare i bilanci esistenziali le bocce dovrebbero essere ferme e poi solo Dio si occupa egregiamente di queste cose. Il modo con cui l’Onnipotente farà i consuntivi e le voci che metterà in bilancio ci sfuggono. Di questo e di molto altro siamo totalmente ignari.  

© Davide Morelli





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