“Con gli occhi tessemmo le aeree architetture
franati anche noi
nelle viscere di un ricordo
nelle linfe di un tempo
ostinato”
(A. R. Merico)
E’ una corposa antologia poetica ‘Fenomenologia del silenzio’ (Musicaos, 2021) di Anna Rita Merico, composta da poesie pubblicate tra il 2004 e il 2021 con uno scritto finale di Mario Pagano che traccia con efficacia le linee portanti della poetica dell’autrice. Le sillogi da cui sono tratti i versi, sono nell’ordine: “Segnate pietre”, “In the processo of writing”, “Dall’angolo bucato entra memoria”, “Una parola si bea, al sole, pulsando infinita”. Si tratta di un lavoro miscellaneo, che vede confluire nello stesso libro poesie, pensieri, racconti. Tutti annodati tra loro dall’urgenza del dire e da una forma di scrittura auto-analitica che mira ad ampliare i confini della propria interiorità, nella consapevolezza che tale interiorità è sempre e comunque connessa al mondo e alla sua storicità. L’estro creativo che la caratterizza le consente di spaziare liberamente da uno stile poetico più diretto e immediato a uno più pensato, ragionato, dal sapore filosofico. Il suo lavoro di scavo e di ricerca è dunque sorretto da metodo, volontà, ostinato rigore, “lavoro di cura senza ch’alcuno lo abbia mai richiesto” (p.227). Tutta la sua poesia infatti si muove e tende alla ricerca di una “parola” sempre attesa, giusta e dal sentore ‘sacrale’, che possa dare compiutezza al mistero dell’esserci e all’esistere, e che non è mai slegata dai luoghi e dalla storia “è viaggio di dentro/ è viaggio a Sud/ è viaggio di rimbombi/ tonfi/ verticalità” (Irsina, p.143). Ascolto interiore e attraversamento delle terre del silenzio: la Campania, la Basilicata, la Puglia, tutte regioni orientate a Sud, su cui scorre la luce e in cui germoglia un sentire che si fa parola, poesia, verso immortale. Da lucana, devo dire, che mi ha molto colpito la sezione “Dall’angolo bucato entra memoria” del 2015, in cui appaiono alcune poesie dedicate alla mia terra di Lucania: Oppido, Trivigno, Craco, Tricarico, Aliano, Cancellara, Acerenza. Un bellissimo viaggio nei luoghi della storia e della memoria. Un dipanarsi del verso nel solco della tradizione, calcando “orme di briganti”, come elemento fondante della nostra identità “Qui, l’antico, parla. / Qui la Luce si mostra” (p.132). Tutto va accolto, nulla si dimentica. Noi siamo fatti della nostra storia, di ciò che siamo stati e sono stati i nostri padri. Il presente conserva le crepe del passato, eppure, scrive l’autrice, “qui ci sono silenzi buoni” e sono quelli che ci mettono in contatto con le nostre ferite e con parte più lontana e profonda di noi stessi. Sono testi che evocano atmosfere fortemente suggestive, grazie alla potenza espressiva delle immagini e alle innumerevoli sfumature lussicali “nelle lunghe gonne nere/ s’annidavano le albe degli antichi racconti/ le pieghe del tragico/ le rughe di tutta la terra/ dal passo ci giunse/ l’eco di un sibilo fondo// tacemmo” (Acerenza, p.141). Le ho trovate belle, intense, soprattutto adese a un sentire condiviso.
Per Anna Rita Merico, scrivere è procedere per tappe, costruire mappe, tessere e annodare i fili in una geografia interiore, che è possibile solo nell’incontro con gli spazi e i luoghi dell’anima, nella consapevolezza che la contemporaneità non basta e neppure il viaggio già fatto. Altri sentieri, altri percorsi, altre parole attendono di venire alla luce “Alcune cose ci sono, sono state dette. Per altre non è ancora maturo tempo e parola ma, la materia, quanto mai diafana e spessa, già preme all’interno della sua totale pienezza” (p.127).
La Madia
Occorre
aprire la madia
riprendere l’eresia
mai scordarla
con gesto affilato
farne parola
dirne spessore
folle presenza
segreto ritmo
Occorre
aprire la madia
ritrovare
l’impasto delle farine
i grumi rivoltati nella pelle
del desiderio
(Anna Rita Merico)