Recitativo in cinque stanze
Se mi abbracci una sola volta
la guerra scompare
(A. M. Ferramosca)
Viviamo ogni giorno di luoghi e di tempi sospesi, mutevoli, cangianti e che ci sopravvivono e che senza il nostro sguardo non esisterebbero e senza quello della scrittura svanirebbero, dissolvendosi nel nulla. In questo ultimo libro “Luoghi sospesi” (Recitativo in cinque stanze), Anna Maria Ferramosca traccia una mappa di quei luoghi sospesi, vicini e lontani, del presente e del passato, che interagiscono tra loro nutrendosi di libertà e di silenzio. Sono luoghi impalpabili e fragili, dalla consistenza eterea, così come lo è la vita e ci insegnano l’ascolto e la pazienza. E dentro questi luoghi ci siamo noi, con le nostre vite (vissute o non vissute), isole tra parentesi, precarie ed imperfette.
“Luoghi sospesi” è una raccolta poliedrica, come poliedrica è la vita. Un libro fortemente polisemico, che si nutre di un humus ricco e profondo in cui ci sono semi, germogli, gemme, innesti, ramificazioni protese all’ascolto. Si avverte da un lato lo sguardo introspettivo rivolto a sé e alla quotidianità, dall’altro un occhio analitico che scruta e che si allunga oltre la finestra, in un’ispirazione variegata e cosmica che si spinge al di là di ogni orizzonte visibile, sconfina in spazi lontani e siderali e abbraccia il tutto che ci circonda.
Tanti sono i riferimenti ai sistemi astronomici e numerosi sono anche gli spunti di riflessioni cosmiche (di leopardiana memoria) “terra mia terra circolare/ vecchia ruota obbediente all’innesco primordiale/ magnifica sfera votata all’attrazione/ tu che sopporti dell’umano ogni gravità” (p. 37), che attribuiscono alla sua poesia una valenza metafisica e “cosmica”. La scrittrice infatti ha bisogno di sentire il respiro profondo del mondo, di ragionare sul senso del nostro esserci (piccole, infinitesimali “molecole”) attraverso un pensiero ampio e articolato che il più delle volte non dà risposte, ma si costruisce su interrogativi e dubbi. Una poesia meditativa, dunque, mai banale, che usa una leggera ironia per smontare ciò che vediamo, l'atto stesso del vedere e del sentire, spiazzando e depistando.
Le tematiche dei suoi versi corrono lungo l’alfabeto della solitudine, della finzione e dell’imperfezione e si aprono a ventaglio su infinite possibilità: un ritorno all’utero (a una voce embrionale), la ricerca di una forma di condivisione (d’amore? di scrittura?) “scrivo perché resti dell’umano /almeno un seme” (p.59). E' una poesia la sua, che ci guida alla ricerca dell’essere umano nella sua più completa imperfezione e che raggiunge la saggezza nell’accettare questa sua condizione non con fatalità, ma con consapevolezza e rispetto verso la propria identità “l’infinito accoglie te come/ il tutto e insieme il nulla/ dunque non farti inutili domande” (p.37) e con slancio vitale “fuori dalla finestra/ piovono segni gli stessi che incontravo/ lungo l’infanzia tremando/ e imparavo/ nomi come terra confini altrove// sentivo d’essere anch’io sconfinata/ altissima/ assetata di luce (p.91).
Lo stile è sempre personale e attento al dettaglio, sospeso tra ricerca poetica e riflessione filosofica, E anche la selezione del lessico che si apre al colloquiale, non è mai né scontato nè casuale. Ne emerge una singolare e raffinata composizione poetica costellata di domande ‘ininterrotte’, interrogativi aperti che non hanno una risposta o risposte che rimandano ad altre domande, "in ogni possibile risposta –infatti- dovrebbe esserci un'altra domanda" afferma la poetessa polacca Wisława Szymborska, perché l’etica del dubbio è qualcosa di irrinunciabile per chi vuole attraversare con consapevolezza e rivelazione la propria vita.
Sentiamoci in cerchio
- uso esortativo plurale per con-solazione -
tocchiamo la magnifica interazione
si animano le parole
sì davvero creano anima
quando siamo dico siamo insieme
insieme anche nel perdere
ché se solo uno perde
perdiamo tutti ma
sarà come vincere
(Anna Maria Ferramosca, p.79)