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È l’alba di un gelido mattino invernale, con il fiato che si condensa in bianche nuvole e infagottata in un caldo giaccone impermeabile arrivo alla stazione. Sono ferma da qualche minuto sulla banchina in attesa del treno che mi porterà al lavoro quando all’improvviso il suono di una musica malinconica e struggente mi risuona nelle orecchie. Mi guardo attorno incuriosita ricercando la provenienza di quelle note. Con stupore mi accorgo che gli altoparlanti per le comunicazioni di servizio del personale ferroviario tacciono e a quell’ora antidiluviana e con quel freddo che si insinua infidamente nelle ossa non c’è alcun suonatore ambulante. Né, tra i pendolari che, come me, attendono insonnoliti, ce n’è alcuno che abbia una radio portatile. Sorrido pensando che quella inconsueta melodia sia nata dalla mia immaginazione. Poi mentre i fari rotondi del treno in arrivo mi occhieggiano in lontananza, la musica riprende con un ritmo serrato. Questa volta però, essa è più languida, quasi sensuale e un desiderio improvviso si fa strada nella mia mente. Volto le spalle alle persone ormai in procinto di salire sul treno ed ai loro sguardi incuriositi. Con andatura decisa imbocco l’uscita, il mare mi sta lanciando il suo richiamo… Folate gelide di tramontana accompagnano i miei passi, quasi volessero farmi desistere da quell’insolita passeggiata mattutina. Ma più mi avvicino al lido e più il richiamo delle onde frustate implacabilmente dal vento mi affascina e mi attira verso la spiaggia deserta. In silenzio assisto al risveglio del mare in una fredda alba invernale mentre penso stregata, “Ecco… anch’io, come Ulisse, sto obbedendo al richiamo delle dolci note del canto delle sirene”. Mi siedo e, incurante degli spruzzi salmastri e della sabbia umida, lascio che il vento si insinui tra i capelli. Respiro l’odore aspro e voluttuoso, inebriante e seducente mentre, di nuovo, si innalza, puro, quel suono ancestrale. La musica si fa sempre più intensa. È un crescendo di note dolci e serene che di colpo si abbassano divenendo amare e dolenti… Quindi riprendono allegre e lentamente si levano squillanti ed argentine verso il cielo striato di rosa, oro ed arancio. Infine, flautate, ridiscendono a lambire quell’umore liquido, ribollente di vita. È un’armonia che dai gorghi impetuosi tracima nell’anima e intangibile ma chiara e potente vibra sulla pelle ed echeggia nelle mie orecchie. Sono le note della musica del mare, composte dalla sua essenza selvaggia. E mentre la mente è cullata da quella cadenza infinita, quel concentrato naturale di forza e passione mi sommerge con ondate spumose e gorgoglianti. Essa mi avvinghia, trascinandomi al ritmo festoso della marea, nell’intenso azzurro di remote profondità. Incredula mi ritrovo a condividere la mia anima con lo spirito di quella sconfinata distesa sempre più travolgente e dilagante e con profonda emozione raccolgo i suoi pensieri nei miei. Sento il mare sospirare e in un bisbiglio emozionato narrarmi la sua vita immortale. Mi parla di quando, come limpida rugiada tra l’odore di muschio e di funghi, scivolava su dolci fronde silvestri. O di come, trasformato in pioggia battente, nel cupo frastuono di un temporale estivo, aveva dissetato l’arsura della terra e si era innamorato di un fulgido raggio di sole. Da quel lontano amore, ne era scaturito un vivido arcobaleno che a volte tornava a specchiarsi sulla sua superficie. Ricorda di essere stato, in una notte di luna argentata, l’umido calore di un bacio sfuggito, tra gemiti e sospiri, dalle labbra appassionate di due furtivi amanti. E quando, da occhi ingenui, timida lacrima lucente, era scivolata sulle gote rosee e paffute del volto di un bimbo che, piangente, cercava il nettare dolcissimo del seno materno. Ed io abbracciata alle sue onde altalenanti sono divenuta rivo, fiume, lago e oceano scambiando con lui la mia essenza mortale di quando ero il pescatore affannato a raccogliere le reti gettate in acque avare e impietose mentre i flutti ribollenti e schiumanti bagnavano il mio corpo e piegavano le mie spalle. O mentre ero il marinaio che intrigato dai fulvi bagliori di un tramonto sul mare, fissando l’orizzonte lontano, cercavo di affogarvi la struggente nostalgia. Oppure di quando, guardiano del faro, accendevo l’amico fascio di luce, indicatore della via per quei viandanti che spersi in meandri paludosi e immobili, cercavano la speranza in una notte senza luna. Il sole è ormai alto sull’orizzonte quando il vento, esaurita la sua furia, cala all’istante trasformando in stanchi refoli le sue rabbiose sferzate. Tutto si cheta, solo nell’aria rimane sospeso l’eco di una musica carica di travolgente malia…
©
Cinzia Baldini
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