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Via crucis po-polare
di Cinzia Baldini
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Via crucis po-polare

Ho visto cose che nessuno di voi riuscirebbe nemmeno a immaginare.
Ho compiuto gesta che avrebbero fatto impallidire il Pelide Achille.
Ho valicato il limite orbe terraqueo e spazio-temporale oltre il quale neanche il capitano Kirk di Star Trek con l’Enterprise si sarebbe spinto.
Sì, invidiatemi pure, perché con il petto gonfio di orgoglio, potrò dire ai miei nipoti: io c’ero!
Predestinazione? Sorte? Fato? Destino? Non saprei…
L’unica certezza è che tutto è accaduto per colpa di una scolorita linea gialla di gomma bullonata. Oltrepassandola ho dato una svolta definitiva all’inutile esistenza che avevo condotto fino a quel momento.
Mai avrei immaginato di poter sopravvivere a esperienze invernali (ma, caldamente replicate al contrario, anche estive) così assideratamente esaltanti sulla ferrovia che collega il mare alla Capitale!
Ebbene sì, devo ammetterlo: vivere ben quaranta (se favoriti dalla sorte, altrimenti ancora di più!) minuti di ”animazione sospesa” non ha prezzo (… e te credo!)
No, no! Non è un esperimento di letargo collettivo scientificamente indotto per verificare gli effetti dell’adattamento umano alla quiescenza biologica in vista del prossimo lancio spaziale verso Marte, come qualcuno potrebbe immaginare.
E nemmeno un ammollo in misture di azoto liquido e qualche viscida e puzzolente soluzione chimica.
Neanche un ritorno virtualmente simulato all’era glaciale.
Spiacente di deludervi, ma non ci sono nemmeno effetti speciali.
Qui, e provare per credere, non c’è trucco alcuno. E’ tutto rigorosamente reale e concreto.
Di cosa parlo?
Ma dell’aria sparata, senza interruzione, a meno novantanove virgola novecentonovantanove gradi centigradi, per la delizia degli affezionati clienti del servizio ferroviario più sfigato della penisola.
C’è qualcuno, una sparuta e trascurabile minoranza di accaldati, che la definisce sfarzosamente aria condizionata…
Nulla da eccepire sul primo termine. Ma, è sul secondo che nutro qualche riserva… Salvo che non si sottintenda: condizionata da qualche malefico anatema che ne impedisce lo spegnimento!
Però, potreste rimproverarmi, che noia polemizzare su tali sottigliezze! Sempre a praticare il passatempo più in voga del Bel Paese: il mugugno, il lamento, l’ingratitudine.
E basta!
Avete ragione! Smettiamola una buona volta di cavillare sulle sciocchezze, di discutere sul sesso degli angeli. Invece di sprecare il fiato, approfittiamone per prendere confidenza con l’ambiente polare in vista della prossima gita ferragostana in Antartide prenotata con il cral aziendale! E se vi manca il fisico iscrivetevi al centro anziani “Villa Arzilla” e andate a Rimini
Dopo questo dovuto richiamo all’ordine, pensiamo positivo e predisponiamoci con animo lieto a riprendere il filo del discorso.
Dove eravamo rimasti? Ah, sì, che in fondo ma moooolto in fondo, è una piacevole esperienza, seppur solidificante, di congelamento rapido in assenza… di gravità penserete voi. Sbagliato! In assenza di freezer è la risposta esatta, una magia al cui cospetto Harry Potter fa la figura del pivello. E mentre battete i denti in un autentico e tribale rito apotropaico, lo spirito benigno di turno, come il caporale di giornata per il preappello, vi apparirà in una vera e propria visione mistica.
Che figata nevvero? Ammettetelo che state rosicando un pochino.
Per entrare nel circolo degli eletti del trenino Roma-Lido ci sono tre opzioni. Non chiedete raccomandazioni perché saranno i test attitudinali a decidere l’esatta collocazione.
Gruppo numero uno (in via di estinzione): obliteratori dei titoli di viaggio. Comprensibili termini tecnici neandertaliani usati dall’azienda dei trasporti capitolina per designare i compulsivi timbratori di biglietto.
Gruppo numero due (in quantità crescente): saltatori di tornelli, ossia i promotori dell’istituenda disciplina olimpionica.
Gruppo numero tre (la maggioranza): accodatori, ossia i gemelli siamesi degli obliteratori che, attaccati per le spalle a questi ultimi, come cozze agli scogli, sono inseparabili.
Ma è solo una volta entrati in vettura che inizia l’avventura (…carina la rima…), ed è proprio qui che la legge è salomonicamente uguale per tutti.
Il getto crioterapico, infatti, non è razzista, sessista, femminista, animalista, populista, insomma non c’è “ista” che lo trattenga! Probabilmente è pure mezzo daltonico perchè: bianco, nero o giallo, verde di bile o rosso di collera, ti colpisce in pieno.
Inutile cercare un angolino riparato, il tecnologico vento catabatico t’insegue e ti circonda, ti prende le misure come un professionalissimo addetto alle pompe funebri e ti si spiaccica addosso come una seconda pelle (ho evitato di proposito il termine sudario per non incorrere in sgraditi effetti collaterali quali scaramantici sfregamenti corporali di zone periferiche).
A nulla serve battere i piedi, alitarsi sulle dita o nascondere le mani sotto le ascelle.
La luminescenza opalina emanata dal pallore dei pochi centimetri di pelle esposta si riflette nel vagone e segnala ai miscredenti che la trasformazione da banalissimo pendolare a pregiato stoccafisso dell’Atlantico è, ormai, irreversibilmente compiuta.
Gli studiosi di tale fenomeno, hanno accertato che esso si ripete senza interruzione e si mantiene costante, senza interventi esterni (sigh!), da capolinea a capolinea.
La loro strabiliante conclusione è stata (e qui il sottofondo musicale della sigla di Super Quark ci sta tutto!) che il getto criogeno terapico -con buona pace del secondo principio della termodinamica- è la dimostrazione provata del moto perpetuo! Una vera e propria sfida alle conoscenze della fisica odierna (CERN di Ginevra capita mi hai?).
Scalzando gli appiedati pastori dei sette colli, i pendolari della linea vincitrice del Premio Nazionale Caronte d’oro 2016-17-18 e piazzatasi al 2° posto nel 2019 (pensa i primi classificati come stanno!), stringendosi al petto gli ambiti trofei, sono ormai entrati a pieno titolo nei libri di storia.
Essi, irrigiditi –e non potrebbe essere diversamente!- nei rari seggiolini azzurri (più frequentemente in piedi) sono gli Highlanders, gli Immortali, i gajardi e tosti eroi del servizio pubblico nostrano.
Quando, alla fine del tunnel si scorgono le luci, mentre l’aria persecutrice impazza imperterrita con pinne e testacoda da brividi (mai termine fu più azzeccato), Capitan Findus alla guida del Titanic (vi avevo avvisati delle possibili visioni mistiche!) con voce evocativa annuncia: «Prossima fermata: Porta San Paolo, uscita lato sinistro. I signori viaggiatori sono pregati di scendere, la corsa è terminata» è il segnale della riscossa… pardon, del disgelo!
All’apertura delle porte, persino il possente vento di Tramontana che, tronfio e borioso, aveva spazzato la banchina fino a un minuto prima, umiliato e con la coda tra le gambe, si trasforma in un mesto refolo di Ponentino estivo.
Taaa daaaaa!!! Per il pendolare, invece è l’inizio di una nuova vita!
Ci si scrolla di dosso il permafrost e, con il volto rossopaonazzofosforescente e pruriginoso per il rifluire del sangue, si schizza verso l’uscita.
Conquistato l’approdo, come Colombo l’America, s’innalzano con un senso di patriottico orgoglio i vessilli da irriducibili paladini ferroviari: lo zaino, il trolley, i dieci borsoni che si hanno al seguito e si santificano, in vernacolo romanesco, gli dei Manco (abbreviazione evoluta del più arcaico “manco a li cani”), ossia tutte le meglio anime dei defunti dei responsabili dell’azienda dei trasporti per il fantasmagorico servizio ricevuto.

© Cinzia Baldini





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