Una
recensione di Annalisa
Ghigo
USA
1981
Diretto da John Boorman
Sceneggiatura:
Thomas Malory (book)
Rospo Pallenberg (adaptation)
Cast:
Nigel Terry .... King Arthur
Helen Mirren .... Morgana
Nicholas Clay .... Lancelot
Cherie Lunghi .... Guenevere
Paul Geoffrey .... Perceval
Nicol Williamson .... Merlin
Robert Addie .... Mordred
L'ascesa
e la caduta di Re Artù e dei
suoi Cavalieri della Tavola Rotonda.
Boorman ha un senso della natura strepitoso
(vedi "Un tranquillo weekend di
paura") e quindi chi meglio di
lui avrebbe potuto instillare nel film
il concetto panteista dell'uomo facente
parte della Natura e della Natura stessa
che rappresenta un dio per l'uomo? La
scena clou della ricerca del Graal vede
appunto Parsifal che risponde giustamente
alle domande preliminari che rivelano
che l'uomo e la terra e il re e la terra
sono tutt'uno.
Questo film non è solo filosofia,
però, anzi è spettacolo
puro in certe parti, soprattutto nella
prima dove le vittorie di Artù
e la creazione di Camelot la fanno da
padroni, prima del declino e della terribile
ricerca del Graal che donano una tinta
oscura a tutta la seconda parte. Da
molti è stato notato che questo
film ha assorbito la lezione di "Guerre
Stellari" (le corazze sempre luccicanti,
e soprattutto la trama con i padri e
le madri che non sono mai quelli veri):
certamente il giovane Artù ricorda
moltissimo il suo gemello Luke Skywalker,
ma le somiglianze fra i due film ci
sono perchè anche Lucas si ispirò
dichiaratamente alla leggenda di Artù.
Chiunque si accinga a trattare questo
ciclo di storie si trova di fronte ad
una galleria di personaggi assolutamente
affascinanti e non può che tentare
una riduzione: Boorman si concentra,
oltre che su Artù, su Merlino
(di cui coglie perfettamente l'essenza
tra ironia e dramma), su Lancillotto
(anche qui è ottimamente delineato
il suo strazio nel non poter amare la
moglie dell'amico Artù), su Parsifal
e la ricerca del Graal, e infine su
Morgana (l'alter ego femminile di Merlino).
Indimenticabile il momento in cui Uther
attraversa il mare cavalcando sull'alito
del drago, il giovane Mordred e la sua
corazza dorata, l'albero dei cavalieri
impiccati, il ponte levatoio oltre il
quale si trova il Graal, il momento
in cui Parsifal fa bere Artù
dal Graal e lo risveglia a nuova vita
e nuove speranze, la cavalcata fra gli
alberi in fiore al suono dei Carmina
Burana, la battaglia finale e il vascello
che si allontana all'orizzonte con le
spoglie mortali di Artù. Grande
anche la colonna sonora con i suoi temi
che non potevano che essere wagneriani.
(F.T.B.)
La
saga arturiana, elaborata e filtrata
dal genio creativo di John Boorman,
attinge a svariati miti e leggende medievali
bretoni, generando una suggestiva mescolanza
di stili e di contenuti. Il prologo
narra le imprese più o meno eroiche
(ed erotiche) del cavaliere Uther (un
irriconoscibile Gabriel Byrne), ambizioso
e violento condottiero che aspira a
diventare re di tutta la Britannia.
Boorman dipinge un Medioevo a tinte
fosche, dove spietati cavalieri senza
scrupoli si contendono il potere in
un incessante alternarsi di scontri
e alleanze. Uther s'invaghisce di Igrein,
moglie del Duca suo alleato e convince
Merlino a donargli le sembianze del
marito per poterla sedurre. Prima di
acconsentire a compiere uno spettacolare
sortilegio, Merlino costringe Uther
a giurare che il frutto del suo amplesso
sarà proprietà del Mago.
Il tradimento rende Uther indegno di
diventare re e il piccolo Artù,
strappato ancora in fasce alle amorose
cure della madre, verrà affidato
a un padre adottivo. Vivrà come
umile scudiero fino a quando riuscirà
per puro caso a estrarre Excalibur,
la mitica Spada del Potere, dalla roccia
in cui Uther l'aveva "imprigionata"
prima di morire durante un'imboscata.
Da quel magico e inaspettato evento
nasce la figura di Re Artù, coraggioso
e leale condottiero che riuscirà
a portare finalmente pace e prosperità
nel suo Regno.
La trama è complessa e si presta
a svariate interpretazioni, specie nel
finale quasi mistico. Fulcro del racconto
è il sofferto passaggio dal mondo
pagano, dominato dagli Dei e dalla magia,
all'epoca cristiana che unisce tutti
gli uomini sotto l'egida di un unico
Dio. La metamorfosi genera inevitabili
lacerazioni: Merlino è consapevole
della sua imminente fine e rimpiange
l'istintivo rapporto armonico con la
Natura, destinato a spezzarsi e a perdersi
per lasciar posto ad altri valori. Nella
nuova Era non ci sarà più
posto per la magia: invaghitosi con
sgomento della sorellastra di Artù,
la perfida e infida Morgana (Helen Mirren),
Merlino accetta di affidarle le arti
magiche da lui applicate con misura
e saggezza, mentre Morgana tenterà
di usarle per far trionfare il Male
sul Bene. Nicol Williamson interpreta
con sapiente ironia un ambiguo Merlino,
motore della storia, poetico ambasciatore
di saggezza e preveggenza, ma anche
artefice d'incolmabili conflitti. La
"Sacra Magia Del Fare", con
la quale Merlino intesse l'intreccio
di tutta la storia, nelle mani di Morgana
si trasforma in strumento di potere
e di sopraffazione. Merlino ne è
la prima vittima: imprigionato nel Mondo
dei Sogni, riuscirà però
a trasformarsi in benevole visioni premonitrici
nel riposo degli uomini giusti, mentre
diverrà mortale incubo per la
stessa Morgana, abilmente raggirata
facendo leva sulla sua ambiziosa protervia.
Il ritmo del racconto è scandito
dalle frasi perentorie di Merlino. Quando
Uther infrange l'accordo stipulato con
il Duca seducendone la moglie e violandone
il castello, innescando in tal modo
una lotta all'ultimo sangue, Merlino
proferisce la sentenza "Anni Per
Costruire, Attimi Per Distruggere".
Al culmine della prosperità e
della pace raggiunte con tenacia e lealtà
da Artù, Merlino, incapace di
partecipare alla gioia comune, esclama
"La Tragedia Degli Uomini è
Che essi Dimenticano". Durante
un convivio alla mitica Tavola Rotonda,
Artù chiede a Merlino un parere
sulle doti che un vero cavaliere dovrebbe
possedere e il Mago esclama "La
Dote Più Importante Per Un Cavaliere
è la Verità, poiché,
se un uomo mente, assassina una parte
del Mondo". La funzione delle frasi
chiave è di anticipare e allo
stesso tempo d'innescare gli eventi
futuri. Le premonizioni di Merlino sono
però prive di efficacia di fronte
a una forza naturale e invincibile,
quella dell'amore, che neppure la magia
può controllare.
Senza mai apparire, la figura mitologica
e terrificante del Drago domina tutta
la storia, rappresentato come una sorta
di ventre primordiale dove "Tutto
è possibile, dove Merlino scoprì
il Potere, dove gli opposti s'incontrano
e il Male si fonde col Bene." Una
lettura freudiana identificherebbe il
Drago con l'inconscio, che nasconde
pulsioni, traumi e visioni per farli
affiorare all'improvviso, nel tempo
e nello spazio.
La fotografia di Alex Thomson esalta
lo splendore dei costumi curati da Bob
Ringwood, contribuendo a fare di Excalibur
un piccolo grande gioiello nella storia
del cinema.I Carmina Burana fungono
da ammonimento contro il male, la guerra
e la violenza, gli Eleison sottolineano
la spiritualità dell'amore tra
Artù e Ginevra, destinato a esaurirsi
non tanto sotto il peso dell' adulterio
con Lancillotto, quanto per la dolorosa
consapevolezza di Artù di non
poter condurre una vita normale, ma
di essere in qualche modo predestinato
a intessere le sorti di un presente
che travalica il passato e getta radici
nel futuro. Nobile la figura di Parzifal,
ingenuo ragazzo di campagna che non
conosce il mondo ma è assetato
di verità, tanto da riuscire
a diventare cavaliere per difendere
la regina da una bieca calunnia ordita
ancora una volta da Morgana. Una geniale
intuizione lo porterà a trovare
il sacro Graal, calice ricolmo del sangue
di Cristo, che infonderà ad Artù
le perdute energie. La chiave per scoprire
il Graal è la consapevolezza
che Artù e la Terra sono tutt'uno,
che Artù è nato da un
sortilegio per compiere una missione
sacra e profana al contempo. Il Crepuscolo
Degli Dei di Richard Wagner, Leitmotiv
della storia, sembra sottolineare in
musica la fine annunciata del mondo
pagano e il tramonto della magia.
Il film presenta non pochi limiti: gli
scadenti effetti speciali, l'eccessiva
lentezza di alcune sequenze, ma soprattutto
errori nella sceneggiatura, realizzata
dallo stesso Boorman ma basata sul racconto
"La Morte D'Arthur" di Thomas
Malory, goffamente adattato da tal Rospo
Pallenberg.
Nonostante le sue avventure ci siano
state tramandate sotto forma di leggenda,
pare che Artù sia realmente esistito,
non nelle vesti di re, bensì
di dux bellorum, vale a dire condottiero.
La leggendaria Tavola Rotonda, divenuta
il simbolo delle vicende di Artù
e dei suoi cavalieri, quasi certamente
è pura invenzione letteraria.
Inoltre, la mescolanza di saghe e miti
attinti da diverse fonti genera una
trama a tratti intricata, confusa e
di difficile interpretazione. Nel complesso
però, il film è avvincente
e ben realizzato, tanto da meritare
un posto d'onore nella storia dell'arte
cinematografica.
   
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