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ORE
PICCOLE
un articolo di Gordiano Lupi
Ricevo
il numero dieci di Ore piccole, una
delle tante riviste letterarie prodotte
con passione in questa Italia di scrittori
e di editori dove in pochi leggono e quei
pochi che lo fanno non comprano certo riviste
letterarie ma Moccia e Faletti. Mi chiedo
- come sempre - se abbia un senso occuparsene
e scriverci un pezzo, perché se in
pochi leggono le riviste letterarie ancora
di meno leggeranno un articolo che commenta
una rivista letteraria. Lo faccio lo stesso
perché non leggo Moccia e Faletti
e di loro non mi posso occupare. Da un po'
di tempo a questa parte, però, non
leggo nemmeno Nove, Pinketts, Covacich,
Mozzi, Nori, Scarpa e un sacco di altri
scrittori italiani che i critici veri definiscono
letteratura, non so perché, mi facevano
incazzare e io non leggo per incazzarmi,
ma per distrarmi, o al limite per pensare.
Basta con la polemica. Ne ho fatta sin troppa
in due interi libri e ho deciso di smettere.
Per questo non leggo più chi non
mi piace. Solo cose belle, mi sono detto,
pure cazzate di tanto in tanto, ma presentate
come tali, non travestite da letteratura.
Se mi arriva un libro che non mi piace non
lo leggo, comincio un paio di capitoli e
poi lo butto via, benedetto Pennac che mi
ha risolti i problemi di coscienza, meno
male che ha scritto Come un romanzo. Altrimenti
finisce che leggo cosa vogliono loro e va
bene che ai recensori i libri li regalano,
ma io non li voglio, preferisco scegliere
e leggere cose che amo. Non mi pagano per
leggere. Non ancora, almeno. Se un giorno
dovesse accadere magari cambierò
filosofia, ma per adesso non è così
e allora niente best-seller, nessun scrittore
sponsorizzato da tv, giornali o Sanguineti
(che poi è la stessa cosa, mi pare),
pochissimi italiani, razionati come fossero
a tessera, ché la maggior parte degli
italiani - scusate l'espressione volgare
- mi fa cacare (in Toscana cacare si scrive
con la c strascicata, ma la c non si pronuncia,
mi scuso con i nordici che preferiscono
la g dura, ma non la posso mettere, sono
di Piombino).
Ho divagato, come sempre. Tornando a bomba,
dicevo che ricevo il numero 10 di Ore piccole
e lo vedo sin dalla copertina quanta passione
ci mette il buon Gabriele Dadati per fare
la rivista, quindi non voglio scrivere stroncature,
ci mancherebbe altro. Devo dire, però,
che trovo quanto meno azzardato affermare
che Matteo B. Bianchi è uno scrittore
molto amato in Italia, ché se lui
è molto amato in Italia io sono uno
scrittore molto amato in Corea del Nord,
mi sa che il paragone è azzeccato.
Matteo B. Bianchi - che io non ho mai saputo
cosa voglia dire quella B puntata infilata
tra il nome e il cognome, di lui forse è
la sola cosa che m'interessa sapere, tutto
il resto lo lascio ai Mozzi di turno, a
me non me ne può fregare di meno
- scrive un racconto che lo vedrei bene
pubblicato su Intimità, al limite
Grazia o Gioia dei bei tempi, una soap opera
femminile che non ci si fa ad arrivare alla
fine senza saltare le pagine, comprenderei
mio figlio che lo fa pure con Aldo Zelli
e Giani Rodari, ma con Matteo B. sarebbe
giustificato.
Dadati sostiene che uno dei compiti di Ore
piccole è quello di individuare voci
giovani che dimostrano di aver intrapreso
un cammino originale e infatti nel numero
9 pubblica un ottimo Morozzi che sa fare
narrativa dal niente, lui è davvero
uno dei più grandi scrittori italiani
viventi. Peccato che accanto al bel racconto
di Morozzi che ci narra con leggerezza come
è diventato scrittore, pubblica un
pippa fastidiosa e lunghissima di Francesca
Mazzucato che ci racconta i (non richiesti)
fatti suoi. Siamo al solito discorso della
letteratura ombelicale, unica e poco fantasiosa
variante della narrativa italiana contemporanea.
Spigolando trovo il ragazzo prodigio Paolo
Di Paolo. Ne dicono tutti bene, chi sono
io per parlarne male? Non ne parlerò,
anche se qui non pubblica un racconto ma
si lascia andare ad amene considerazioni
sulla televisione, su Benigni, Ungaretti,
gli sceneggiati di una volta e via di questo
passo. Di poesia non ne capisco proprio
perché ho trovato orribile Made in
Italy di Simone Cattaneo, ma è colpa
mia che non amo la letteratura italiana
contemporanea. Se la legge Sanguineti di
sicuro dice che è un capolavoro.
E allora mandatela a Sanguineti, così
è contento. A me no, per favore.
Io non m'intendo di letteratura italiana
contemporanea, da un po'di tempo a questa
parte leggo solo cubani, mi piacciono di
più, li vedo più vicini alle
cose che amo. Sono anni che non leggo un
numero del Maltese. Fernandel mi dicono
che ha chiuso i battenti. Altre riviste
non le compro e per fortuna me ne arrivano
sempre meno. Leggo Desde Cuba, Generación
Y, El Nuevo Mundo, ma gli italiani no, per
favore, tanto lo so che mi raccontano l'ombelico
e a me non me ne frega niente dei loro tiramenti.
Se devo leggere un italiano me lo cerco
da solo, voglio che sia fuori dal giro delle
solite conventicole, lo voglio puro e underground.
Chiedo troppo?
(c) Gordiano
Lupi
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dal 02/02/2009
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