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Letteratura
italiana contemporanea
A cura di Gordiano Lupi
tratto da PB15
Oggi arriva una rivista nella mia cassetta
della posta e fin qui c'è poco di nuovo.
Però questa non è una di quelle
riviste che ci scambiamo perché noi gente
che si scrive si sa che ci piace che qualcuno
ci legga. Va così il mondo. A questa
rivista ci si abbona perché tutti quelli
che ci scrivono sopra li pubblica qualche editore
importante, lascia stare se poi vendono cento
copie e nessuno li conosce, quel che conta è
l'editore. E poi lavorano tutti nelle scuole
di scrittura creativa, che oggi in giro c'è
pieno di scuole di scrittura creativa come se
a scrivere si potesse imparare senza fare la
fatica di leggere, magari solo ascoltando lo
scrittore carino, quello che fa una trasmissione
importante in televisione. Fanno bene le scuole
di scrittura. Fanno bene al portafoglio degli
scrittori, che in Italia nessuno legge però
tutti pensano di poter scrivere e allora vai
a insegnare come si fa, che la pancia lo scrittore
che nessuno legge in qualche modo la deve riempire
e non può mica fare un mestiere come
un altro, lui. È uno scrittore, lui.
Mica un impiegato del catasto.
Io la fatica di leggere continuo a farla. E
mica parlo di Bukowski e Carver, no. E neppure
di Nori e Pinketts, guarda. Con loro mica è
fatica. Che proprio ieri ho comprato l'ultima
raccolta di poesie di Bukowski e non riesco
a smettere di leggere, uno che fa poesia e scrive
che intorno c'è pieno di cretini, guarda
per me solo per questo è un poeta. Un
precursore. Uno che aveva capito tutto già
un po' di tempo fa.
Dicevo che la continuo a fare la fatica di leggere,
così tanto per capire, per guardarmi
intorno, leggo proprio di tutto. Compro riviste,
libri, persino autori italiani.
Ieri mi capita che si avvicina uno in libreria
e mi chiede se conosco un autore brasiliano,
un certo Amado. "Senti" mi fa "te
che leggi tanto, mica lo sai se si trovano i
libri di Amado?".
"Amado?" ho pensato "Amado? Certo
che si trovano i libri di Amado, razza di idiota.
Amado è uno degli scrittori più
famosi e pubblicati del mondo. Amado".
Però mica glielo ho detto.
Come si fa a fare una domanda così cretina?
Aveva ragione Bukowski, penso.
Mi avesse detto Pagliazzo, Unicorno, Civacich,
Tenna, Crevisan. Che io conosco pure quelli.
Purtroppo. Ma Amado, via. Guarda credo che Amado
lo conosca pure mio padre che in vita sua ha
letto soltanto Moravia e qualcosa di Hemingway.
"Cerca tra quelle cose là"
ho risposto.
E ho indicato i libri economici, i best seller,
i tascabili.
Lui se ne è andato via felice ed è
tornato che stringeva in mano "Donna Flor
e i suoi due mariti" e correva spedito
verso la cassa.
"Voglio leggere qualcosa di nuovo"
ha detto.
Io non ho commentato.
Ora, a parte che Amado è un grande, tanto
di cappello ad Amado con le sue fantastiche
storie del porto di Bahia, che poi a me la letteratura
sudamericana mi fa impazzire e ho letto tutto
quel che c'è da leggere. Ma mi fa un
po' incazzare 'sto fatto di stare in un buco
di culo del mondo dove ti vengono a chiedere
se conosci Amado. Tutto qui. Mi avesse detto
Padura Fuentes, guarda. Gutierrez, tanto tanto.
Cortazar, Lima, Guillén, Carpentier
che sono tutti dei grandi, guarda bene, però
magari è anche giustificato che uno non
li conosca. Ma Amado, via.
Comunque dopo tutto questo sbrodolare non mi
ricordo da dove sono partito e mi sa che devo
rileggere da capo come si faceva alle elementari.
Dunque dunque, dicevo che è arrivata
una rivista, una di quelle che scrivono gli
scrittori bravi. La storia è su questa
cosa, se non sbaglio. Se no bisogna che mi iscriva
a una scuola di scrittura anch'io, una di quelle
dove si insegnano a mettere i titoli ai racconti
e a costruire una trama, che questo racconto
col cazzo che ce l'ha una trama. Però
da un po' di tempo a questa parte mi vengono
tutti così, poi magari mi passa e torno
a parlare dei gabbiani e dei tramonti sul mare,
così faccio contenta mia madre che è
tanto che me lo dice perché non scrivo
una bella storia d'amore.
"Per Natale ti regalo un abbonamento a
Dolly" le ho detto "mica c'è
bisogno che le scriva io le storie d'amore,
c'è pieno di gente che scrive storie
d'amore".
Il problema è che io non so neppure più
cosa scrivo, adesso. Se uno mi dice che genere
di scrittore sono gli rispondo che non lo so,
che non so neppure se sono uno scrittore, ma
che comunque se c'è qualcuno che mi legge
devo pur esserlo e caso mai sono uno scrittore
di genere e non un genere di scrittore, perché
le uniche cose che ho fatto sono un paio di
romanzi noir.
Il fatto invece è che c'è pieno
di tipi convinti di essere scrittori, che dico
scrittori, Letteratura, Letteratura Italiana
Contemporanea, di quella con la elle maiuscola,
che poi quando muoiono li mettono nelle antologie
e i ragazzi li studiano a scuola.
Penso a mio figlio e non lo invidio. Doversi
sorbire le menate di Unicorno e Civacich. No,
non lo invidio davvero. Meglio Dante, guarda.
Meglio Manzoni.
Allora, la rivista che dicevo prima la trovo
nella cassetta della posta insieme a un bel
po' di buste e pacchetti, che tutti i giorni
qui ne arrivano a bizzeffe. La mia cassetta
raccoglie pure la posta di Pagine al Vento,
la rivista che facciamo e che come tutte le
riviste è presa d'assedio da un nugolo
di scrittori esordienti che spediscono di tutto.
E io via a leggere anche questa roba, di solito
lamenti patetici, poesie romantiche, stronzate
galattiche. Però capita che si pesca
del buono talvolta e allora merita sorbirsi
un mare di cazzate se ogni tanto trovi un Alberto
Ghiraldo che scrive un libro che poi noi lo
pubblichiamo e ce lo recensisce Pulp, che in
questo paese dove vivo manco sanno cosa sia
Pulp però La Gazzetta dello Sport la
conoscono di sicuro.
Oggi però c'è la rivista importante
e allora prima guardiamo quella, via.
Si intitola Il Cipriota, che io non l'ho mica
mai capito perché l'hanno chiamata così
quella rivista. Dicono che quelli che la facevano
si trovavano a bere birra in un posto con quel
nome. Pare. Tutte le volte che mi capita davanti
Il Cipriota chissà perché mi faccio
questa domanda e penso che magari chi l'ha fondata
era stato in vacanza a Cipro e sognava di viverci
tutta la vita in compagnia di una bella ragazza
greca e allora quando è tornato a casa,
che lui sta in un posto sperduto nelle valli
vicino Cuneo dove d'inverno fa un freddo bestia
e non si vede mai il sole, moriva di nostalgia
e l'ha chiamata così: Il Cipriota. Un
po' come se io la mia l'avessi chiamata Il Cubano.
Tu pensa che bel titolo. Poi però magari
mi davano del comunista e di questi tempi meglio
di no, via.
Però del titolo in fondo me ne importa
poco e il solito dubbio svanisce davanti al
disegno di copertina.
Hanno fatto un numero a tema, penso.
Un numero sulle grane, le seccature, le scocciature,
le rotture di palle, insomma. Un argomento molto
letterario. Perché loro fanno letteratura,
non c'è che dire. Loro sono letteratura.
E poi a sottolineare la pesantezza delle riflessioni
c'è un fumetto, ma non uno di quelli
dozzinali che si trovano un po' dappertutto,
no. Un fumetto serio. C'è una rana che
scoppia come nella favola di Esopo e sotto ci
sta scritto: "Mentre aspettate che scoppino
le grane vi facciamo vedere lo scoppio di una
rana".
Che finezza. Che arguzia di pensiero.
Un prodotto come questo già dalla scelta
estetica del fumetto si distingue dai mille
e più prodotti simili che sono le riviste
letterarie.
E poi via con i racconti.
Sempre i soliti autori.
Pagliazzo, Unicorno, Civacich
Provo a leggerne uno.
Non lo capisco.
Un altro.
Non lo capisco.
Un terzo.
Non lo finisco.
Sono troppo intelligenti per me questi del Cipriota,
penso. Non li capisco mai. Devo andare a una
scuola di lettura un giorno o l'altro, così
mi insegnano a capire la letteratura italiana
contemporanea, se no quando mio figlio va a
scuola e trova Unicorno sull'antologia cosa
gli dico? Studia Pavese che è meglio?
Lui poi magari mi risponde che Unicorno è
bravo perché non ha mai letto Pavese,
lo ha scritto anche sul Cipriota un po' di tempo
fa. E io ci resto male, ci resto. E poi un po'
mi vergogno di essere uno scrittore di genere,
uno che ha letto Pavese e Pasolini, magari anche
Salgari e Zelli da piccino e ha sempre pensato
che più si leggeva e più si imparava.
E non lo sapevo mica che bastava fare una scuola
di scrittura creativa, una di quelle giuste.
A un certo punto trovo una lettera piegata in
due nel bel mezzo della rivista, chissà
perché non l'avevo notata prima. La apro.
È un prestampato. Mi avvisa che il mio
abbonamento è scaduto e che devo subito
rinnovarlo, altrimenti corro il rischio di perdermi
la rivista che pubblica la migliore letteratura
italiana contemporanea e che sarei costretto
ad andare a comprarla nella più vicina
libreria Feltrinelli.
Un bel rischio davvero, la più vicina
è a Firenze, penso. E sorrido. E penso
alla rana, a Esopo, anche a Fedro e a La Fontaine
che l'hanno raccontata dopo, perché è
meglio un mestierante che racconta cose già
dette di un presuntuoso arrogante che scrive
cazzate. La rana che scoppia. Mi sa che quelli
del Cipriota non l'hanno letto perché
scoppiava la rana. Eh già, loro i classici
mica li leggono. Loro sono moderni. Loro.
Prendo la lettera e la faccio in tanti piccoli
pezzi rettangolari. Poi stringo tra le mani
Il Cipriota. Guardo di nuovo la copertina a
colori con quel disegno che pare schizzare fuori
dalla pagina.
Apro e chiudo il volume per qualche istante.
Sono incerto sul da farsi.
Poi mi decido e lo ripongo in libreria accanto
ai romanzi italiani contemporanei.
Non si sa mai.
Meglio essere preparato quando dovrò
spiegare Unicorno a mio figlio.
© Gordiano Lupi, per gentile
concessione
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