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Volare sulle ali della musica


 

 

Mimmo Mancini è un ex assistente di volo Alitalia che “messo in musica” le sue esperienze professionali, realizzando quattro dischi molto apprezzati dai colleghi ed appassionati del settore. Con lui parliamo del rapporto creativo che intercorre fra il lavoro e l’arte.

Mimmo, com’è nata l’idea di scrivere queste canzoni?
I primi anni di volo ero molto coinvolto da questa mia nuova condizione ed osservavo intorno a me paesi, persone, cose che cambiavano nel giro di poche ore come un bambino guarda le vetrine dei giocattoli a Natale, tutto era talmente veloce e scintillante che non potevo, nè volevo, fermarmi a pensare troppo. In seguito, quando questa mia fame di novità si stabilizzò e viaggiare divenne una routine a volte perfino noiosa cominciai a guardarmi intorno, ero circondato da milioni di persone, tutte diverse, particolari , mi attraevano i loro comportamenti e soprattutto il perchè di questi. Un esempio? Mi incuriosiva il fatto che la maggior parte delle persone che entravano nel famigerato “tubo di ferro” mutavano in parte i loro comportamenti, sia che fossero passeggeri che addetti ai lavori, e questo oltre ad incuriosirmi mi stimolava a cercare una forma per descrivere in qualche modo questo fenomeno.
Sapevo di dover trovare una chiave per aprire la porta della curiosità altrimenti nessuno mi avrebbe ascoltato, e pensai che non ci fosse niente di meglio che la musica per stimolare l’interesse di colleghi tutti muniti di moderni lettori portatili con cuffiette auricolari sempre pronte durante i lunghi e noiosi trasferimenti in bus da e per gli aeroporti.
Cominciai appunto a descrivere prima le anziane e severe capo cabina di quegli anni, poi il collega raccomandato, poi il comandante “cattivo…”; quasi contemporaneamente al mio primo disco (inciso addirittura su cassetta), cominciò questa violenta crisi del trasporto aereo dovuta al caro carburante, forse alla nascita di compagnie low cost che sconvolgevano il mercato, fino ad allora almeno in Italia del tutto imbalsamato, ed ovviamente i miei interessi cominciarono a spostarsi verso quegli argomenti, allora così sentiti dalla categoria, come l’erosione continua ed inarrestabile di norme contrattuali, lo svilimento di accordi sindacali, la cancellazione di conquiste del passato.

Come l’ha presa la compagnia, quando è venuta a sapere di questa tua passione?
Le mie canzoni in breve tempo cominciarono ad essere conosciute, incuriosiva questo fatto di parodiare brani famosi inserendo le problematiche del lavoro di bordo, e molti mi dicevano che si rivedevano perfettamente in alcuni dei miei testi. Cominciarono, addirittura a circolare copie pirata delle audiocassette da me incise, proprio come gli….artisti veri , e questa cosa mi inorgogliva molto.
Un giorno mi telefonò a casa il responsabile del settore comunicazione, Fabio De Simone, invitandomi nel suo ufficio, mi presentai al colloquio aspettandomi una richiesta, magari gentile, di interrompere questa mia “goliardata”, ero ovviamente consapevole di non aver fatto nulla di proibito tanto piu’ che nei miei testi non compariva il nome dell’azienda o di chicchessia, ero altresì certo che se avessero voluto farmi smettere avrebbero trovato gli argomenti giusti…
Invece il colloquio fu esattamente il contrario di quello che mi aspettavo, Fabio De Simone fu prodigo di complimenti e mi spinse a preparare una serata dal vivo dedicata a tutto il personale navigante, addirittura pubblicò un articolo su un giornale interno, riservato al personale navigante, per pubblicizzare questa occasione di incontro.

Ed i tuoi colleghi?
Alcuni colleghi di lavoro sapevano che cantare nei locali era per me una grande passione e fu quando cominciai a far sentire loro i primi pezzi parodiati, tra una tratta di volo e l’altra , che capii che la cosa funzionava.
Alcune volte, durante le soste notturne, davo ad ognuno dei componenti l’equipaggio una mia cassetta , la mattina dopo sentivo le reazioni, quello che più mi colpiva è che tutti dicevano di aver sorriso ma di avere anche provato un senso di amarezza quando le parole delle canzoni risvegliavano disagi latenti in quasi tutti i naviganti; ovviamente capivo se era piaciuto il lavoro a seconda del numero di audiocassette che mi restituivano la mattina dopo devo dire con malcelato orgoglio sempre poche davvero.

La base strumentale la “prendi in prestito” da canzoni famose. Come fai ad abbinare le parole alla musica? Cosa ti ispira?
Generalmente cerco di usare canzoni famose che possono riscuotere l’approvazione di chi le ascolta, un brano molto famoso, usando assonanze giuste, oltre ad essere gradito musicalmente, strappa più facilmente il sorriso se parodiato.
Sono proprio le parole del pezzo originale che scatenano la mia fantasia, e allora il dramma dell’uomo nella canzone di Ranieri “perdere l’amore” diventa il dramma del navigante in “perdere il must-go”; oppure Valeria Rossi in “solo tre parole sole, cuore, amore”, durante una attesa di dieci ore a Mxp, chiusa per nebbia, diventa “solo tre parole, sono fuori ore” e cosi via…
Di solito mi ispirano proprio le storie raccontate dal testo originale.
Quello che in realtà davvero mi attrae è riuscire a raccontare una storia intera pur avendo un obbligo ben preciso: far coincidere perfettamente il mio testo con la base musicale. Non so bene perchè, però mi affascina l’idea di riuscire a far viaggiare la mia fantasia su due binari comunque predefiniti, già esistenti.

Tecnicamente come fai a confezionare la canzone?
Prima cosa ascolto con attenzione l‘originale, a meno che non faccia parte già del mio repertorio, poi lo canto fino ad averne una buona padronanza, solo dopo comincio ad inserire il mio testo, ancora grezzo, che sarà corretto più volte prima dell’incisione per fare in modo che tempi, tonalità, stacchi musicali, tutto coincida perfettamente.
Ultima cosa da fare preparare in maniera adeguata la mia modesta “sala di incisione”, (oggi il computer fa fare miracoli perfino a me….), regolare bene tutti i livelli per la registrazione ed, infine, cantare…, la parte davvero più divertente, dopo qualche giorno riascolto più volte salvando solo le incisioni che ritengo adeguate che diventano “il CD”.

Parliamo un po’ dei testi: Con Airone prendi in giro i colleghi della concorrenza.
Non era una presa in giro nei confronti dei colleghi, piuttosto quasi una presentazione di quello che stava succedendo nel mondo dell’aviazione civile: la tendenza a svilire un ruolo che, fino ad allora, aveva rivestito un’importanza fondamentale , commercialmente fondamentale.
Certo la storia dei cornetti caldi che dovevano influenzare la scelta del cliente fu, ovviamente, pretesto per denunciare, invece, le diversità di trattamento tra i naviganti delle due compagnie e la mancanza di un contratto nazionale che dettasse le regole di impiego e tutto il resto.
Quando nella mia canzone il collega airone dice: “guarda invece i fortunati quelli fissi e confermati…” si riferisce a noi…beh il senso del brano è tutto lì: solidarietà, testimonianza di affetto verso naviganti, allora, meno fortunati. Oggi la situazione per i colleghi Airone è di gran lunga migliorata e, credo, abbiano superato in quanto a qualità di vita lavorativa colleghi di compagnie più blasonate.
Negli anni abbiamo comunque visto che quel grimaldello per scardinare una certa logica, affermata, del trasporto aereo fu usato in maniera impeccabile da sicuri professionisti.

Perché dedicare una canzone ad un aeroplano?
Beh in realtà ho dedicato canzoni a due aeroplani, quelli che piu’ di tutti mi hanno “sbatacchiato” in giro per il mondo in un eta’ fondamentale per la mia evoluzione, (ho cominciato a volare a 23 anni): il Boeing 747, mitico, eroico jumbo, signore dei cieli e il Dc 9/30.
A differenza di quanto si potrebbe credere non sono mai stato un appassionato del lato tecnico di un aereo, mi ha sempre di piu’ attratto il suo “contenuto umano”, ma un giorno mentre ero involo su uno degli ultimi 747 rimasti in flotta, (era il volo di ritorno da JFK NYC, la 611) , il comandante ci informò che quell’aereo il giorno dopo il nostro arrivo sarebbe andato in hangar, sarebbe stato sverniciato e preparato per essere venduto; era il suo ultimo volo, almeno con noi ! Provai un po’ di tristezza e nello stesso tempo realizzai che molti anni erano passati senza che me ne accorgessi, immerso in un lavoro che mi aveva portato settimanalmente da un continente all’altro.
Pensai che il 747 meritasse una canzone famosa, la più famosa di tutte, e quale se non “Nel blu dipinto di blu” di Modugno: “Penso che un aereo così non ritornerà più me lo ricordo elegante salire nel blu”.
L’operazione per il Dc9/30 fu più tecnica, la canzone fu scritta un pò…. a tavolino, mentre per il 747 provai davvero quel senso di vuoto che si prova, quando qualcuno che si ama non c’e’ più!?! (…maledetto nasone…, ma si può definire così un aeroplano ? Si, si può).

E chi era il Barone Rosa?
Quello che piu’ mi ha colpito in questi ultimi dieci anni nel nostro ambiente è stata la scomparsa di personaggi, positivi o negativi, ma che si distinguevano in maniera netta, decisa, dal resto dei naviganti, quelle cinquanta persone su ottomila conosciute da tutti, perfino fuori dell’ambiente, per le loro capacità di stupire, sorprendere, o semplicemente per il loro modo di interpretare il ruolo e la vita stessa; eroi a volte positivi a volte no.
Il “barone rosa è uno di questi, un comandante di lungo raggio noto per la sua avversione nei confronti degli assistenti di volo e per molti altri in verità, uno che non perdeva mai occasione di ribadire il suo ruolo anche quando davvero non c’era bisogno, esasperando gli animi di tutti compresi i suoi colleghi piloti, uno che sembra uscito da un film antico, lui creava un clima durante il volo che davvero si conciliava male con la pesantezza di un attività che, a mio modo di vedere, necessita di serenità e collaborazione.
Cosi’ facendo, negli anni, ahimé, egli stesso contribuì alla creazione della macchietta ridicola di cui tutti si ricordano benissimo.
Personaggi così, a dire il vero, oggi ci mancano un pò. La sensazione è che l’appiattimento e la necessità di omologazione feroce, richiesti dalla società, stiano creando gravi danni alla fantasia.
“Il barone rosa” incarna le manie, le fissazioni, gli atteggiamenti ridicoli di tanti personaggi diventati famosi e descritti, spero bene , nelle mie parodie.
Oggi tutti noi abbiamo poco tempo e voglia per soffermarci ad osservare, ad ascoltare, ed elementi anche di un certo “spessore”, privi di un pubblico, faticano di più ad emergere, proprio come gli attori, quando il teatro è quasi vuoto.

Sfatiamo un mito: le hostess hanno un loro perché, ma non sono tipini facili…
Essere oggi assistenti di volo donne è interpretare un ruolo che è del tutto differente da quello che una certa letteratura continua a proporre, un ruolo che negli anni è cambiato molto e poco è rimasto di quel mondo affascinante e un po’ peccaminoso di cui ci parlano i rotocalchi degli anni Settanta e Ottanta.
Oggi è un mestiere molto impegnativo, con pochi spazi liberi, poche soste in luoghi esotici, e tanto transitare per Malpensa e Fiumicino dove di sultani pronti a scarrozzare le hostess su lussuosi tappeti volanti non si ha più notizia!
Come in tutti gli ambienti di lavoro puo’capitare una storia simile a quella raccontata dalla canzone, oltretutto finita malissimo per l’avventore di turno. Consiglio a tutti di non trascurare che una donna che fa questo lavoro, sa muoversi da sola nei paesi piu’ a rischio, che sa rinunciare o quasi alla sua vita privata per venti giorni al mese, sa anche sicuramente come difendersi da attenzioni indesiderate …mi sa che non sono tipini facili per niente !

I passeggeri Millemiglia sono davvero così petulanti da meritare una canzone tutta per loro?
Qualcuno ha inventato un meccanismo perverso, ma perfettamente funzionante, che induce a volte le persone a ritenere di avere acquisito chissà quali importanti diritti per il solo fatto di possedere una tessera o un distintivo. Vedevo gente salire a bordo senza dire buongiorno ed esordire dicendo: “…poi me la da una mano a calcolare i miei punti millemiglia ?” Ed il messaggio lanciato a squarciagola attraverso la cabina doveva essere chiaro per tutti; c’era chi teneva ben in mostra la sua etichetta di “freccia alata” sul bagaglio a mano, facendo miracoli all’entrata perchè la stessa non si girasse e rimanesse così ben visibile al mondo intero. Una volta, sulla tratta Roma –Stoccolma, mi sono sentito dire: “Mi scusi sono un millemiglia. Sa a che ora parte il treno da Stoccolma per Uppsala ?” Ma dai...non lo sapevo nemmeno se eri nostro Signore.
E’ così che nacque la canzone “Il millemiglia”, una macchietta come tante altre talmente esagerata da non riuscire nemmeno più a risultare antipatica, anzi ….
Credo, invece, che i millemiglia abbiano portato molto all’azienda e, quindi, affermiamo che è solo per questo che meritano una canzone, non per il fatto di essere petulanti!

Una bravata diventata leggenda: “Brucia l’albergo di Bangkok”.
L’albergo di Bangkok, qualcosa di magico unico al mondo. Ci credete se dico che nella hall c’era una affascinante musicista thai nel suo classico e suntuoso costume che suonava l’arpa? Beh immaginate il resto: le camere la piscina i ristoranti….Eppure quel posto fu, ahimé, profanato dal fumo acre e denso che un giorno cominciò a fuoriuscire da una delle camere dove era in corso un allegro barbecue a base di carne! E chi, chi aveva osato tanto (considerando anche che le finestre non si potevano aprire in quanto sigillate per via dell’aria condizionata)? Beh non lo voglio dire, so solo che nei mesi successivi ogni volta che un nostro equipaggio metteva piede in quella meraviglia esotica veniva guardato dal personale dell’albergo con giusta circospezione e sana preoccupazione. Per fortuna, sigh, alla fine tutto si risolse: ci cambiarono hotel !!!

Non è tutto oro quel che luccica ovvero “Ciao Mamma, guarda come mi diverto”.
Vedo tanti mestieri al mondo che inesorabilmente spariscono o si trasformano: il nostro è uno di questi che, per fortuna, non è sparito, ma si e’ trasformato profondamente nel corso degli ultimi dieci quindici anni.
Io ho vissuto questo cambiamento ed è scontato che debba affermare che questa prima era un’attività eccellente ed interessantissima, le lunghe soste all’estero, le ore di volo limitate, un trattamento che, specie se visto con l’ottica di oggi, era più che buono da parte di un’azienda consapevole dell’importanza del personale front line, se non per lungimiranza almeno per interessi di parte.
Fondamentalmente c’era più rispetto dei ruoli, ed uno spiccato senso di appartenenza da parte dei lavoratori, un valore che si è totalmente polverizzato sotto l’incedere incalzante della precarietà e della meritocrazia fittizia.
E’ qui che nasce la storia di “Ciao mamma”, la storia di uno stagionale alla settima, ottava, nona, non si sa più quale stagione, anziano o quasi di compagnia ormai e tuttavia senza ancora un giorno vero d’anzianità, esperto però considerato un perenne novizio, con pochi diritti e molti moltissimi doveri, non ultimo anche quello di fare tutto quello che gli altri non vogliono fare o hanno il diritto di non fare, con la disillusione di chi è forse arrivato tardi ad una tavola dove è rimasto ben poco da mangiare.
E a casa questo stagionale cosa racconta “mamma come mi diverto”, “ho anche la valigia di alluminio”, “e vivo all’Axa in condominio”, cerca di dare segnali positivi, poi cede ,“ma forse era meglio quando lavoravo al bar di Alberto”.
Bisognerebbe incoraggiare chi si avvicina al mondo del lavoro, con la precarietà perpetuata negli anni si stanno deprimendo le potenzialità e le capacità di quasi una generazione di giovani lavoratori.

Per non dire delle hostess che devono essere simultaneamente delle brave lavoratrici e mamme.
E lo sono. Ho visto tante foto di bambini a bordo, di chi credete fossero queste foto? Nel “figlio della hostess” ho cercato di far sorridere ma sapevo che non era facile, l’argomento figli per chi fa questa attività è davvero una spina nel fianco. Immaginate una giovane mamma, quando per la prima volta lascia a casa il neonato. E’ vero, passano alcuni mesi dopo il parto, ma è comunque una “prima volta” e deve essere devastante , poi c’è la seconda volta, non credo sia molto diversa dalla prima, non ci si abitua mai del tutto. Non è come per un’altra lavoratrice, questa torna a casa la sera, dopo il lavoro, e comunque gravita generalmente in un raggio d’azione ristretto, ma per chi dorme a 15000 km di distanza, a dieci quindici ore di volo ore da casa, abitualmente, non può essere la stessa cosa. Essere brave professioniste, invece, non è un optional quando si è mamme, e, nonostante gli inevitabili sacrifici che il duplice ruolo comporta, non ho visto spesso persone approfittare di questa condizione.

Sparliamo dei piloti: non sono poi cosi “splendidi” come sembrano...
I piloti mi hanno portato in giro per quasi 30 anni….figurati se ne parlo male! E poi, non ci crederete, ma ho tanti di quei fans tra loro che voi neanche immaginate. Come in ogni ambiente ne ho incontrato di splendidi e di meno brillanti, e se oggi io…sono a terra… ringrazio tutti loro, che potrebbe sembrare una cosa brutta, invece vi assicuro è una cosa bellissima…
A volte durante le soste fuori si diceva “che andiamo a cena con i piloti?”, c’era sempre chi rispondeva “aho’ quelli parlano sempre de aeroplani!” La verità e che la loro passione è spesso incomprensibile per noi che un aeroplano lo vediamo più come il luogo di lavoro e basta, ovvio poi che a cena dopo quattro tratte è poca la voglia di sentire storie di turbine, o d’improbabili evoluzioni aeree tra mitiche ed impenetrabili nebbie padane.
E’ il discorso di prima negli anni tanti personaggi singolari, fuori della norma, unici nella loro a volte fastidiosa originalità, hanno fatto la storia di un’azienda anche essa relativamente giovane, personaggi con un carisma a volte dirompente, a volte solo “rompente” ma personaggi, attori con un ruolo, uno solo e sempre quello. Oggi i ritmi lavorati inibiscono forse la crescita dei nuovi talenti, tanto che risulta difficile anche trovare spunto per nuove storie.

A bordo non è facile riposare…eppure nella canzone “Bunker 777” si respira un clima quasi romantico.
Romantico no, immagina: naso secco che se lo muovi si spezza e cade. Infilati come salme in loculi su misura, divisi dalla collega che dorme accanto da una leggera paratia e ti chiedi quanto tempo era che non dormivi così vicino ad un’altra donna, così vicino eppure così diviso, e mentre ci pensi, complice anche un sobbalzo dell’aereo, ti passa il sonno. Alla fine ti addormenti due ore dopo, proprio cinque minuti prima del cambio del turno di guardia, quando devi riprendere a lavorare. Scendi un pochino intontito, pronto però ad affrontare il tuo ruolo ed ecco che, mentre attraversi la cabina passeggeri, uno ti chiede: “scusi a quanti metri di altezza stiamo ?” Scherzi a parte il bunker è un bunker per tutte le compagnie che lo usano, ma generalmente su un volo di lungo raggio, e di notte, non è un lussuoso optional, semmai un necessario angolo dove riprendere le forze quando si e’ in giro da 14 -15 ore tutto compreso.
Diciamo che in “bunker 777” ho cercato di convincermi che ci fosse un clima romantico in quel posto un po’ spaziale, ma come dice Bennato…“sono solo canzonette”.

Dedicato…a?
Dedicato a tutti quelli che credono che la conoscenza teorica sia sufficiente a pontificare e che l’esperienza acquisita sul campo sia un noioso contrattempo, possibilmente da aggirare; dedicato a quelli che credono che una “circolare informativa” possa davvero come per incanto risolvere i problemi, dedicato a quelli che non fanno tesoro delle risorse più vicine, immediate e a costo zero, ma inventano “nuove” e spesso disgraziate strategie scegliendo le strade meno praticabili; dedicato ai colleghi con la freccia sempre accesa, bramosi di sorpassare tutto e tutti, che per molto poco si vendono ad una causa in cui nemmeno loro credono, rinunciando a tanti sorrisi di approvazione che non portano nulla ma aiutano tanto, e dedicato a quelli che ieri erano come te ed oggi quando ci parli “ti sembra di parlare con Sua Santità…”

E per concludere, l’ultima fatidica domanda: mi racconti com’è andata la prima esibizione davanti a colleghi e responsabili?
E’ andata bene, molto meglio di quanto io potessi mai immaginare.
Arrivato al locale mi resi conto che stavano arrivando davvero tante persone, molte piu’ di quelle che avevano prenotato.
Iniziai a cantare che non c’era più nemmeno un posto in piedi disponibile e, pur essendo abituato a cantare in pubblico, provai anche un attimo di emozione, che volete d’altronde era la prima volta che presentavo di mio almeno i testi, sempre alle prese con cover di artisti famosi e celebrati. Tra un pezzo e l’altro raccontavo delle storie buffe: perchè era nato il pezzo, come era nato, spiegavo i personaggi, e le risate fragorose dei colleghi ed anche di alcuni dirigenti, che erano venuti a vedere, mi davano una spinta incredibile.
Nel mio piccolo, ovvio, fu un gran successo, ne ebbi conferma nei giorni successivi quando, tornato a volare, incontravo colleghi che chiedevano se avevo con me la registrazione della serata.
Mi sono divertito molto a scrivere queste parodie, dopo ci sono state altre serate ma, come si dice, la prima non si dimentica mai…come non si possono davvero dimenticare trenta anni passati a volare per i cieli del mondo.

Per gentile concessione di Andrea Coco
e Mimmo Mancini

 

inserito 04/10/07
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