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Corto Circuito
di Piero Olivieri
Pubblicato su SITO


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l mio nome è Nicolai, e questo è un fatto. Non una opinione o una verità opinabile, ma un fatto. E’ scritto anche sulla mia carta di identità. In questo momento è già un punto di partenza. Forse è meglio che inizi a raccontarvi tutto dall’inizio. Io sono Nicolai e questo è il mio compagno di disavventure Paul. Dico di disavventure perché la nostra vita è stata un continuo andirivieni dalle patrie galere. Non per colpa nostra, beninteso, ma perché il destino o le circostanze hanno voluto così. Evito di raccontarvi la nostra vita perché il breve tempo che ho a disposizione non mi permette di dilungarmi sui motivi sociologici o psicologici che l’hanno bruciata. Molto probabilmente è stato il libero arbitrio di cui dio ci ha donato a portarci a questo. Quello che vi posso dire è che questa mattina ci trovavamo come al solito, pistole in pugno e passamontagna in testa, a prelevare la nostra paga settimanale nel negozio di turno. Questa volta era toccato al supermarket a nord della città. Era giorno di paga e in cassa avremmo trovato parecchi liquidi. Solo che l’imprevisto è sempre in agguato in una vita come questa, o meglio l’imprevisto è in agguato in ogni vita. Ma nelle nostre spesso è fatale. Non ci pensi mai che possa capitare. Sei consapevole del rischio ma te ne credi immune. Questa mattina, invece, ci siamo andati molto vicino. Siamo entrati come al solito, urlando a tutti di sdraiarsi a terra. Avrebbe dovuto essere tutto facile, ma quando mi volto lui è lì, con la sua divisa immacolata, la pistola che mi mostra la sua bocca. Tutto è successo in un attimo, un mix di rumore metallico di otturatori che scarrellano, bossoli che rimbalzano ovunque e rimbombi secchi delle deflagrazioni. Anche se i flash che escono dalle canne quasi mi accecano riesco a vedere dove finiscono i miei colpi. Creano merletti rosso sangue sulla camicia candida della sua divisa. Ma i suoi dove sono finiti ? Prima di cadere al suolo la sua pistola è rimasta con l’otturatore aperto. Questo significa che sono stati sparati tutti. Ma dove sono finiti ? In quella manciata di secondi durata una eternità la sua pistola ha sparato 12 colpi, e nessuno sembrava essersi infilato nel mio corpo E’ incredibile come cambia la percezione del tempo nel momento in cui rischi la vita. E’ come se il cervello iniziasse a snocciolare un decimo di secondo alla volta, come se non li volesse lasciar andare.
Comunque, tutto dice che me la sono cavata. Il mio corpo risponde perfettamente. Sto correndo come non ho mai corso e anche se non sono allenato ancora non è sopraggiunto l’affanno. E’ incredibile l’effetto delle scariche di adrenalina dopo una paura fottuta. Anche Paul se l’è cavata. Sta correndo al mio fianco. E questo è un altro fatto, non un’ opinione. Ricapitoliamo. I nostri nomi sono Paul e Nicolai. E siamo vivi. Per miracolo ma siamo vivi. Finiamo la corsa nel nostro appartamento. Più che un appartamento ha l’aspetto di una tana. Nessuno sa dove è, solo noi ne siamo a conoscenza. Almeno questa è sempre stata la nostra illusione. La cosa strana è che ci siamo ritrovati qui senza che mi ricordi minimamente il tragitto. Ricordo solo di aver corso e niente altro. Come essersi risvegliati da un trip, ricordi tutto come in sogno. Ricordo gli spari, la corsa, ed ora siamo seduti sul divano polveroso a riassumere quello che è successo. Una domanda torna frequente: “come ha fatto a mancarci ?”. Era troppo vicino per mandare a vuoto tutti e dodici i colpi. Ma i fatti erano questi, noi eravamo lì seduti, vivi, respiravamo come tutti i giorni. Quindi ci aveva mancato.
Le eccezioni, le cose strane, gli episodi che cambiano la vita non arrivano mai da soli ma sempre a grappoli . E quello era decisamente uno di quei giorni.
Dovete sapere che la nostra tana non è altro che un vecchio ufficio nella zona periferica della città. L’edificio è stato abbandonato già da parecchi anni ed è in attesa di essere demolito. Noi nel frattempo ce ne siamo appropriati. Si trova in una zona isolata lontana da occhi indiscreti. Certo il posto fa veramente schifo, ma abbiamo fatto il possibile per renderlo confortevole. Abbiamo utilizzato i vecchi mobili che erano rimasti lì, mobili da ufficio in truciolato rivestito, ormai rigonfi di umidità ma che per noi andavano più che bene. Era rimasto anche un vecchio telefono in disuso, o almeno noi credevamo così. Non aveva mai suonato e non avevamo mai sentito nessun segnale di collegamento telefonico, il classico ” TU TU “, per intenderci. Ma vi ho già detto che questo giorno doveva essere speciale, perché proprio mentre ce ne stavamo seduti lì tentando di digerire quello che era appena accaduto, ecco che il telefono, per la prima volta, inizia a squillare. Ci guardiamo per cercare una conferma. “Sono io o lo senti anche tu?” Come è possibile che quel telefono suoni ?
Paul, dopo un attimo di esitazione, si alza e prende il ricevitore, lo porta lentamente all’orecchio ed inizia ad ascoltare. C’è qualcuno che parla, perché Paul accenna qualche “si” dopo momenti di pausa, prende appunti e sorride. Più passa il tempo e più sorride. Cerco di farmi dire con chi parla , ma lui mi fa cenno di stare zitto ed aspettare. Anche se la curiosità è fortissima, mi trattengo ed aspetto impaziente. Finalmente Paul abbassa il ricevitore, sorride ancora e guarda fuori dalla finestra, silenzioso. Basta, non mi trattengo più e sbotto: “Beh! Allora?”. Lui si gira lentamente, mi guarda e dice: “abbiamo finito di vivere come topi, ci hanno offerto un lavoro da 6 milioni di euro”. Sgrano gli occhi: “ 6 milioni di euro!!! “ Non chiedo altro perché ho paura di sapere altro. Sei milioni di euro sono tanti, dovrei essere contento, finisco con questa vita di merda e me ne vado in qualche posto esotico a fare il nababbo. Ma c’è qualcosa che mi rende inquieto. La sensazione che questa giornata ci riserverà qualcosa di terribile,. Fino ad ora potevo definirmi fortunato.
Ero sopravvissuto ad una sparatoria ravvicinata, mi era stato offerto un lavoro da 6 milioni di euro, ma sentivo che questo era solo il preludio ad una catastrofe. Non era certo il rimorso per quello sfigato che abbiamo accoppato questa mattina, non è la prima volta che capita. Ma questa mattina è stato diverso. La sensazione che mi ha lasciato è diversa. Ho l’impressione che si sia spezzato qualche equilibrio. Sento che è successo qualcosa o sta per succedere, ma non riesco a focalizzare cosa. Tutto ciò che percepisco chiaramente è l’inquietudine che mi cresce dentro. Avrei voluto rifiutare quel lavoro. Sapevo che per 6 milioni di euro avrei sicuramente dovuto accoppare qualcuno o avrei dovuto rischiare, ma 6 milioni sono troppi per rifiutare e non volli ascoltare quella voce che mi diceva “RIFIUTA”.
Vorrei raccontarvi che successe subito dopo, ma come vi ho già spiegato le sensazioni di questa giornata vanno e vengono ad intermittenza, quindi non so dirvi come mi ritrovai lì, ma mi ci ritrovai. Eravamo nel luogo in cui dovevamo incontrarci con il nostro- per così dire- datore di lavoro. L’unica cosa che posso dirvi è che ora sapevo qualcosa di più su quello che c’era da fare, evidentemente durante il tragitto io e Paul ci eravamo parlati, ma non ricordo altro.
La stanza è polverosa e ampia. Una porta di ingresso sulla sinistra. Un’altra sulla destra. Sul fondo una grossa finestra a riquadri e fuori la vista di un agglomerato industriale, qualcosa di simile ad una raffineria. Sotto la finestra una panca del tipo sala da attesa di una vecchia stazione anni 50. Sulla parete un orologio che segna le 6 meno 20 ed un calendario che segna il 6 giugno. Una luce arancione ad intermittenza, di quelle che avvertono che c’è un macchinario in funzione, filtra dalla finestra e crea una atmosfera irreale.
Mi sembra una vita che siamo qui, e mi rivolgo a Paul: “ Sono due ore che aspettiamo, comincio ad averne abbastanza”.
“Innanzi tutto sono solo 20 minuti, e poi datti una calmata, sei un po’ troppo nervoso.” Risponde Paul insofferente.
Sono nervoso ed incalzo: “In questi lavori la puntualità è indice di garanzia. Come puoi fidarti di uno che si presenta con oltre 20 minuti di ritardo? E poi, ancora non sappiamo che cosa ci aspetta. Ci dice di presentarci armati e poi? Niente di più. No, non mi piace, a me non piace lavorare così, dovresti saperlo. Io devo pianificare tutto per tempo, devo sapere quando, dove, come e soprattutto ‘quanti’. Devo organizzare piani di fuga alternativi nel caso qualcosa andasse storto…”. Mi interrompe bruscamente: “Hai finito? E’ stato tutto organizzato, questa è gente che lavora ad alto livello, noi siamo solo ingranaggi del loro grande giocattolo. Loro decidono, pianificano, organizzano, … e poi pagano”. Ridendo scompostamente aggiunge: “Noi dobbiamo solo eseguire ed incassare. Fesso! Tutto il lavoro è già fatto, a noi non resta che spendere 6 milioni di euro. Ma dico li hai mai visti 6 milioni di euro?”
“No, .. ed ancora non li ho visti, e finche non li avrò…”
“Ma sei proprio malfidato fin nelle ossa, stai insinuando che vogliono fregarci? e perché dovrebbero farlo?”
“Spiegami tu piuttosto perché non premono il grilletto da soli e si risparmiano i 6 milioni, visto che hanno organizzato tutto perché non finire il lavoro da soli?
A cosa serviamo noi ?”.
Paul con la sua solita aria saccente - non l’ho mai sopportato quando assume questo tono: ”Tutto è rigorosamente a compartimenti stagni, c’è chi si occupa di seguire e di indagare sugli spostamenti degli obiettivi, c’è chi fa da esca, chi preme il grilletto - cioè noi in questo caso - chi ripulisce il luogo e fa sparire i cadaveri. Nessuno dei partecipanti conosce gli altri. Nessuno. Solo chi organizza tutto - e paga - conosce tutti, anche le vittime. E soprattutto il perchè. Ora hai capito?”
Certo che avevo capito, ma non potevo certo dirgli quello che pensavo. Volevo alzarmi ed andarmene senza voltarmi e rinunciare a quei 6 milioni. La sensazione di angoscia che montava era troppo forte, ma forse era solo la paura di questa mattina a mettermi in quello stato di ansia.
Quindi, secondo il ragionamento di Paul, l’unico a sapere tutto era il signor Lived. Così si era presentato al telefono.
La domanda a questo punto era inevitabile: “Come avrà fatto a trovarci?”.
Paul esita, poi risponde: ” Si sarà informato, ci avrà fatto seguire, oppure …”
Continuo nel mio ragionamento senza ascoltarlo: “E’ saltato fuori all’improvviso, subito dopo il colpo. Non è strano?”
“E allora ? Non crederai mica che è uno sbirro ? Non essere idiota, lo sanno tutti chi è.”
Già tutti sanno chi è, ma io non ricordo di averne mai sentito parlare, anche se il nome in effetti mi è sembrato familiare fin dall’inizio. Ma poi tutti chi?
Voglio continuare nella mia indagine e gli chiedo: “Tu lo avevi mai incontrato ?”
Lui esita, poi dice:” Ma si , certo,…. credo..”. Questo ‘credo’ buttato lì, esplode nella mia testa facendomi perdere il controllo e gli urlo in faccia : “Come credo! Ma è possibile che non riesci ad essere più preciso, mio dio! Stiamo per ammazzare delle persone e non sappiamo chi ci paga e sopratutto chi è che ce lo chiede, è tutta una follia!”
Paul, alzandosi, cerca di placarmi : “Ma vuoi abbassare quella voce, vuoi che ci sentano?”
Gli faccio notare che per me è meglio che ci sentano così dovranno spiegarci qualcosa di più, quando sento la sua mano ruvida che preme sulla mia bocca ed un sibilo vicino la faccia: “No! Se pensano che abbiamo dei dubbi non vengono a spiegarci nulla, vengono ad ammazzarci, quindi ora tieni a freno quella lingua e rilassati”. Mi fa sedere e continua: “Siamo intesi? Fra poco verrà qualcuno a darci delle spiegazioni”. Mi guarda fisso come per sincerarsi della mia calma: “ Cerca di trattenere la tua curiosità , io vorrei andarmene da qui sulle mie gambe con 6 milioni dentro un sacco… e non con noi dentro un sacco.”
Ci sediamo e smettiamo di parlare, ognuno rinchiuso nel suo pensiero. Guardo la porta chiusa e mi chiedo chi ci troverò dietro, una , dieci o cento persone. Comincio ad analizzare tutto. Innanzi tutto questo fantomatico signor Lived come aveva fatto a far squillare quel telefono, poi perché ha scelto proprio noi, non ha i suoi scagnozzi per questi lavori? Forse aveva bisogno di persone esterne alla sua organizzazione, magari le vittime facevano parte proprio di questa. Una cosa è certa: non vedo nessun motivo perché voglia farci la festa. Le nostre deboli ali non ci permettono di volare così in alto da dare fastidio ai suoi affari. In ogni caso se avesse voluto farci fuori non aveva certo bisogno di tutto questo. Mi trovavo ad un passo da 6 milioni. Certo non era chiaro chi avessimo dovuto uccidere, ma è normale in storie come queste. Guadagnare 6 milioni in mezza giornata richiede dei rischi. Eppure continuavo a sentirmi sempre più inquieto e la voce che mi diceva di alzarmi e andarmene si faceva sempre più insistente. Il mio pensiero ritornava all’episodio della mattina, qualcosa mi diceva che le cose erano collegate ma non riuscivo a capire il perché. Mentre mi aggrovigliavo in questi pensieri, si sentono passi fuori la porta di ingresso a sinistra, la maniglia si abbassa, la porta si apre, entra Lived. Non lo avevo mai visto, ma sapevo che era lui. Ben vestito, sembra più un manager, uno di quelli con le mani in pasta nell’alta finanza per intenderci. E’ deciso ma serafico, il suo modo di muoversi e di parlare è simile a quello di un monaco tibetano. Anche se il suo sguardo è decisamente diverso, direi più diabolico, accompagnato da un sorriso. Ha in mano una grossa borsa di pelle, chiude la porta e posa la borsa. Inizia a parlare. Ogni parola è pesata e scivola via soave:” Buon giorno signori, siete pronti? Mancano solo cinque minuti. Alle sei in punto aprirete quella porta e farete fuoco all’interno della stanza, lo scoccare del sesto rintocco sarà il segnale. Avete domande ? ”
Io gli faccio segno di si. Lui dopo uno sguardo penetrante mi dice: “Vuole farmi qualche domanda? Le domande sono il suo forte, vero signor Nicolai? Non sa vivere senza farsi delle domande. Peccato non sia mai stato in grado di rispondere. Non ha importanza sapere chi c’è dall’altra parte della porta. L’unica cosa che posso dirle è che è estremamente necessario. L’umanità non sentirà la loro mancanza. Nell’istante in cui voi due aprirete quella porta non avranno più modo di riscattare le loro squallide vite, di pentirsi, di espiare. Nel caso opposto darete a loro una speranza. Ammesso che siano capaci di approfittarne.“ Questo voleva dire che erano più di uno al di là della porta. Ma come faceva a sapere quello che volevo domandargli ? E lui mi risponde ancora, come se mi leggesse nel cervello: “Lei è piuttosto prevedibile signor Nicolai.”. Evito di chiedergli quanti sono, perché già lo so. Non chiedetemi perché lo so, ma lo so. Sono due. E’ come se anche io avessi imparato a leggere nel cervello. Vedete che le cose strane accadono a grappoli. Improvvisamente decido di sfidarlo e dico: “E se decidessimo di volergli dare quella speranza ?”. Lui asciutto risponde: ”Pace e patta, ve ne andrete da quella porta senza voltare le spalle e senza un soldo.” Con un piede spinge la borsa verso di noi e aggiunge che dentro si trovava metà del compenso, esattamente 3 milioni.
Avremmo dovuto tornare l’indomani per prelevare il resto. Non faccio in tempo a chiedergli perché avremmo dovuto rivederci lì, perchè lui è sparito. Non l’ho visto uscire, ma deve averlo fatto, perché la borsa è li a terra e lui non è più nella stanza.
Alzo lo sguardo e mi accorgo che sono le sei. Sta passando l’ultimo minuto. La vocina si fa sempre più insistente, mi dice ancora di andarmene, quando iniziano i rintocchi. Don.
Guardo la porta a destra e la porta di uscita. Don. Tocco l’arma e guardo Paul. Anche lui fissa la porta e conta i rintocchi. Don. Faccio in tempo ancora ad andarmene, mi dice la voce. Don. Ma ormai sono qui e vado fino in fondo, anche se l’angoscia è arrivata ad uno stato quasi insopportabile. Don. Siamo al quinto rintocco. Metto il colpo in canna. La pausa fra il 5 e il 6 rintocco è infinita. Di nuovo il tempo si è distorto. Per un attimo mi sembra di aver già vissuto quel momento. Tento di fare mente locale. Il sesto rintocco arriva improvviso. DON . La porta si spalanca. Gli otturatori scarrellano frenetici. E’ la seconda volta oggi. I bossoli rimbalzano ovunque. I flash che provengono dalle canne ancora una volta mi accecano. Il tonfo sordo delle deflagrazioni mi rimbomba in testa. Tutto si svolge nel solito, infinito attimo. La luce si spegne. La porta si richiude. Rimane solo l’odore pungente della polvere da sparo che si espande lentamente per tutta la stanza. Non so chi sia morto là dentro. Erano di spalle i due. La voce è sparita, non la odo più. E’ sparita anche l’angoscia. Al suo posto una sensazione di vuoto e di non ritorno. E mentre mi allontano sento sempre più di aver già vissuto quel momento. Ma quando ?
Ci troviamo di nuovo qui. Questa volta nella stanza dove abbiamo accoppato i due poveracci. Alle nostre spalle la porta che abbiamo aperto ieri. Siamo tornati a prendere il resto del compenso. Non chiedetemi come ho passato la notte e la giornata di oggi. Non lo ricordo. Continua quella sensazione di vivere sotto l’effetto di un acido. Devono essere le forti emozioni provate in un tempo così ristretto. O forse sto iniziando a impazzire. Forse sto diventando psicotico o paranoico, o qualcosa del genere. Fatto è, che mi ritrovo ancora qui, alla stessa ora. Potrei pensare anche lo stesso giorno, visto che sul muro oltre ad un orologio che segna pochi minuti alle sei c’è un calendario al quale non è stata ancora cambiata la data. Segna il 6 giugno. Hanno ripulito e rimesso in ordine, ma non hanno cambiato la data del calendario. Il tutto mi da una sensazione macabra, come se avessero voluto ricordarmi quello che ho fatto ieri: stesso posto, stessa ora, stessa data. Improvvisamente arriva Lived. Od era già li? Non saprei dirlo, perché non l’ho visto entrare. Ho alzato gli occhi e me lo sono trovato davanti. Continua ad andare e venire senza che me ne accorga. Ci guarda con aria soddisfatta ed un sorriso beffardo, mentre ci consegna la borsa con il resto del denaro, senza dire una parola. Ci fissa e basta. Si siede e ci chiede a freddo, con assoluta noncuranza, così, come se niente fosse : “Come pensate sia la morte?”. Io e Paul ci guardiamo interrogativi. Dopo un attimo di pausa inizio io e dico che sono ateo, e che non credo ci sia nulla di particolare dopo la morte. Solo buio e niente più.
Paul tenta di cimentarsi in una spiegazione pseudo-cattolica con angioletti e un Dio barbuto al centro. Non credo ci abbia mai pensato. Il livello intellettivo di Paul è sempre stato primitivo. I suoi unici pensieri sono sempre stati i soldi e le donne, niente più. Lived sorride e poi, con il tono di quello che esprime una opinione sul campionato di calcio, dice: “Se fossi io a dover giudicare chi muore farei in modo che questi non si accorgano di esserlo”. Legge nelle nostre facce una espressione interrogativa e continua. “E’ molto semplice. Farei in modo che non si rendessero conto di essere morti e li metterei davanti ad una scelta. Farei loro una proposta allettante ma moralmente disgustosa. Non sapendo di essere morti, farebbero la scelta che avrebbero fatto in vita. In sostanza, si giudicano da soli. In questo modo può salvarsi anche il peccatore più incallito, se nella sua ultima scelta si ravvede. Se invece accetta la proposta, entrerà in un circolo infinito di dolore, una specie di corto circuito temporale, che lo intrappola in una situazione dalla quale non uscirà più. Un loop infinito per intenderci. Per tutta l’eternità. Ma sapete quale è la cosa più terribile? Farei in modo che si rendessero conto di quello che è accaduto, non una sorta di follia inconsapevole. No ! Sarebbero pienamente consapevoli, sentirebbero in continuazione le stesse sensazioni, lo stesso dolore, la stessa angoscia. Che non finirà mai più.” Si alza e va verso la parete in fondo. Io, nel frattempo , ho controllato frettolosamente la borsa. Voglio uscire di li. Ho seguito il suo discorso. Mi ha messo inquietudine. Non so se sentirmi un imbecille per essermi fatto influenzare così o iniziare a correre. Ma se avevo capito bene , dove avrei potuto andare? Lived , voltato di spalle, continua: “Non vi sembra geniale? Lascerei fare tutto al defunto. Non perderei tempo a rivedere la sua vita. Non dovrei sopportare il peso di dare un giudizio”. E se questa mattina fossimo morti in quel conflitto? E ora ci troviamo davanti a… Ma che cavolo mi viene in mente ? A questo punto oso, voglio togliermi il dubbio, e con tono di sfida dico: “Vuoi farci credere di essere Dio?”. Paul ci guarda allibito. Non capisce cosa succede. Lived mi risponde: “Se fossi Dio non avrei bisogno di certi sotterfugi, Nicolai. Mi deludi !”. Allunga una mano e la parete si apre, c’è una porta. Non l’avevo vista.
Prima che esca gli chiedo: “Chi sei allora?”. Si volta. Sorride. Estrae un biglietto da visita e lo posa su un ripiano davanti ad uno specchio. Il biglietto è totalmente bianco, con al centro una scritta nera:“LIVED”.. Mi sorride di nuovo e mi dice: “Guarda le cosa da prospettive diverse Nicolai”. Mi indica l’orologio, si volta e sparisce. In quell’istante, inizia il primo rintocco delle sei. Don. Vado di fronte al biglietto. Ha detto prospettive diverse? Don. Guardo il biglietto attraverso lo specchio. E’ una prospettiva diversa in fondo. Don. Leggo, e inizio a ridere. Don. Il tipo è veramente spiritoso. Ha preparato anche i biglietti da visita per i suoi scherzi idioti. Don. Ma ora mi torna netto in mente che io quel momento l’ho già vissuto. E la risata mi si gela in bocca. Don. Scocca il sesto rintocco. Ed io so già quello che sta per succedere. La porta dietro le nostre spalle si apre improvvisa. Sento di nuovo il suono degli otturatori che scarrellano, i bossoli che saltano. La mia schiena è come colpita da pugni, poi inizia a bruciare. Il dolore si irraggia veloce. Sembra di nuovo che il tempo non passi mai, mentre sento la vita che scivola via insieme al dolore... Sento che sto per morire. So anche chi mi ha ucciso. Sono stato io! La luce si spegne lentamente e una lacrima scivola via. Muoio. E mi porto dietro il rimpianto di aver ucciso la mia vita. Avrei voluto…
Sono davanti ad una porta armato. Non chiedetemi come ci sono arrivato.
E’ un po’ che la mia vita è indecifrabile. Ammesso che sia vita.
Sento il rintocco dell’orologio che segna le sei…
Non sembra anche a voi di aver già vissuto questo momento ?

© Piero Olivieri





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