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Il dottor Rufus Lurie
di Stefano Ridolfi
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Gli studi del dottor Rufus Lurie su quella che venne in seguito chiamata “sindrome di Lurie” rappresentano un caso anomalo all’interno della medicina. Costituiscono infatti il primo e finora unico tentativo riuscito di fondere dicibile e indicibile in un sistema simbolico-cognitivo comune. Con la sua celeberrima “non-definizione” (e ci riferiamo ovviamente al caso della giovane Natalia Reimstag), il dottor Lurie superò l’empasse provocata dal suo connazionale e rivale di studi Hugo Waisbren, la cui espressione “estrinsecazione emozionale pre-linguistica” aveva dovuto arrendersi all’impossibilità di collocare concettualmente una nozione estranea alla medicina e alla stessa esistenza.
Seguendo gli appunti dell’esimio dottor Lurie possiamo ricostruire la vicenda per come davvero avvenne, prima che la sua morte permettesse alle maldicenze del professor Waisbren di infangarne la memoria.

Malgrado i quasi trent’anni di studio sulla psicocinetica, il dottor Rufus Lurie raggiunse la fama con l’anomalo caso di Natalia Reimstag. Era allora il 1831: di lì a due anni, Londra sarebbe stata invasa da una epidemia di colera e il governo britannico avrebbe ufficialmente rifiutato la schiavitù. Ma nei primi mesi del 1831 fu proprio il caso di questa giovane (austriaca di nascita e inglese di adozione) ad occupare le prime pagine dei giornali.
La ragazza fu presentata al dottore dal professor Waisbren, che l’aveva avuta in cura per qualche mese senza che la paziente riportasse alcun miglioramento. In realtà, nessuno credeva nelle possibilità di guarigione di Natalia, essendo le sue condizioni già piuttosto “gravi” – così almeno si espressero i colleghi del Lurie. Piuttosto, la stranezza della giovane li aveva indotti a pensare che potesse essere un utile “cavia da laboratorio” per il loro collega e i suoi esperimenti sul paranormale.
Natalia era allora una ragazza di appena vent’anni. Si sarebbe potuta dire bella, finanche molto bella, se l’aura che irradiava non avesse provocato tanto disagio in chi le stava attorno. All’epoca in cui il suo caso fu affidato al dottor Lurie (28 febbraio 1831, recita l’agenda del professore), la ragazza era rinchiusa già da mesi in un silenzio tombale. Il suo mutismo non era peraltro l’unico sintomo, accompagnato com’era da una ancora più anomala mancanza di espressione, che rendeva la sua bellezza perfino più eterea e (come ebbero modo di dire tutti quelli che riuscirono a vederla di persona) “disturbante”.
I quarantadue tomi di cui si compone il corposo (e, secondo alcuni, incompiuto) studio del dottor Rufus Lurie sono interamente sottesi a diagnosticare la “malattia” della giovane Natalia. Tramite sofisticatissimi metodi di indagine, il dottor Lurie riuscì in prima istanza a capire che non si poteva parlare in termini medici di una e vera e propria “malattia”. Lo stesso dottore abbandona ben presto questa definizione, optando per l’oscuro termine “inazione compulsiva”. I primi quattro tomi dell’opera del Lurie si risolvono in una dialettica autocritica della sua stessa definizione: era possibile che una “inazione” potesse essere reiterata nel tempo? Proponiamo di seguito uno stralcio dagli appunti personali dell’esimio:

"Ciò che più mi spaventa è la classificazione. Più vado avanti più mi accorgo che il mio lavoro si riduce a questo: qualificare e catalogare, valutare e schedare. Si può pervenire a una nuova definizione mediante l’accostamento di due parole apparentemente opposte? Non è forse questo un aggirare il problema e, in ultima istanza, un farsi beffe della mia stessa attività? Non è confondere la scienza con la poesia?"
Tomo IV, cap. 9

I detrattori del Lurie non tardarono a far sentire il loro disappunto. Famoso a questo proposito è l’intervento del professor Waisbren durante il XII Congresso dell’Unione dei Medici Inglesi, riportato a pagina 14 del “London Times” del 19 maggio 1831.

“Come si può rinnovare un processo senza che lo stesso non tragga da questa rigenerazione nuova linfa vitale? Si può ripetere ciò che non si fa? Parlare di “inazione compulsiva” è come dire “decesso temporaneo”, o “mutevole stabilità”. Il dottor Rufus Lurie sembra voler supplire con una dubbia manovra stilistica al totale fallimento del suo presunto trattamento nei confronti della signorina Reimstag. Così facendo non solo riduce la scienza alla più barbarica soggettività, ma dimostra di avere una ben misera opinione dei suoi colleghi, e, ciò che è più importante, della sua stessa paziente.”

Rifiutato dalla comunità dei colleghi, abbandonato dai suoi stessi pazienti, il dottor Lurie si rifugiò nello studio del caso della giovane Natalia, l’unica, nella sua apatia, a non aver cambiato atteggiamento nei suoi confronti.
Dopo aver provato senza successo di comunicare con la paziente con tutte le tecniche conosciute dalla medicina dell’epoca, il dottor Lurie si dedicò allo studio privato di procedure meno ortodosse, disconosciute dai suoi colleghi, nella ferma intenzione di smuovere la giovane dal suo torpore. Possiamo seguirne gli sviluppi leggendo i tomi pubblicati e gli appunti personali del dottore. Proprio in questi ultimi (rinvenuti recentemente nello studio dell’insigne scomparso), Lurie si scaglia contro il collega Hugo Waisbren:

"Come si può parlare in coscienza di “estrinsecazione emozionale pre-linguistica”? E’ un triplo errore la cui superficialità grida vendetta. Primo: Natalia non si esprime in alcun modo; in altre parole, non estrinseca. Secondo: non vi è nulla, in Natalia, che abbia a che fare con la sfera emotiva. Terzo: le sono stati forniti tutti gli strumenti linguistici, benché la ragazza non ne faccia uso. Bisogna quindi partire da quest’ultimo e, a catena, si manifesteranno gli altri due elementi."

Se alla ragazza erano stati forniti gli elementi linguistici, il loro non-utilizzo doveva presupporre un rifiuto. E questo rifiuto significava una scelta: ciò che non avveniva a livello esteriore si produceva quindi a livello più profondo. La svolta negli studi del dottor Lurie si ebbe quindi quando decise di focalizzarsi sul processo discernente della paziente. In altre parole, quando capì la priorità del comprendere il criterio catalogativo di Natalia. Ecco che il bandolo della matassa sembrava dipanarsi. Riportiamo di seguito un discorso pubblico del professore, datato 21 gennaio 1832, in cui, rifacendosi ai nuovi studi nell’ambito della filosofia di Schelling e della scuola di Wolff, illustra mirabilmente la sua intuizione:

“Quello che ha impedito, finora, a me e ai miei colleghi di scorgere una luce nel fosco quadro della signorina Reimstag, è l’esserci ostinati nel perseguimento del fine con mezzi convenzionali. Non abbiamo capito (ma forse sarebbe meglio dire: non abbiamo voluto capire) che la distinzione conscio-inconscio è quanto mai inadatta e, forse, già definitivamente superata. Ostinandoci a catalogare la sua malattia (se ancora c’è qualcuno convinto che di malattia si tratti), non ci siamo presi cura di come la paziente, a sua volta, selezionava ciò che le stava attorno. E io oggi vi dico: la paziente seleziona. La paziente distingue. La paziente valuta!”

Ma ciò che oggi appare come una intuizione geniale non fu allora accolta allo stesso modo. Fu infatti questa la ultima, dibattuta, uscita pubblica del dottor Rufus Lurie. Se oggi la sua figura è sconosciuta ai più è perché i colleghi dell’esimio fecero di tutto per infangarla, pur di non essere costretti a una radicale rivalutazione del loro schema interpretativo. Lurie fu emarginato sempre di più dalla comunità accademica, capitanata dal professor Hugo Waisbren, ed etichettato come pazzo. Frustrato e abbandonato, l’esimio reagì chiudendosi letteralmente nel suo studio, e mai nessuno tornò a vederlo. Solo un meticoloso lavoro di ricerca e catalogazione cronologica dei suoi scritti consente, oggi, di seguire gli sviluppi dei suoi studi. Lavoro reso ancor più penoso dalla scrittura di volta in volta più insicura e indecifrabile, particolare che i suoi detrattori aggiunsero alla faretra della loro malafede per provare l’instabilità mentale del dottore.

Più gli studi di Lurie andavano avanti, più diventava chiaro che la scelta “apatica” di Natalia non si sviluppasse a livello conscio, nel senso comune che diamo alla parola. I ripetuti esperimenti dell’insigne non lasciano adito a dubbi: quello di Natalia non era un semplice rifiuto a comunicare, la cui stessa rinuncia avrebbe avuto ripercussioni visibili sul piano empirico. Era piuttosto il risultato di una scelta che avveniva sì a livello conscio, ma la cui interiorizzazione si era talmente radicata da aver attecchito a livello inconscio. E se il suo comportamento era il risultato di una decisione, andava letto come un flusso comunicativo passivo. Una “passività” consciamente assimilata e inconsciamente attivata. La ragazza che era stata rapidamente etichettata come incapace di esprimersi, si rivelava allora non solo abile a farlo, ma addirittura portatrice di un nuovo modo di comunicare.
Sciolto questo nodo, il dottor Lurie capì l’imprescindibilità di uno studio integrato di più discipline. Per quasi 3 anni si dedicò anima e corpo all’approfondimento della semiotica e della filosofia, e gettò le basi, con quasi cent’anni di anticipo rispetto a Freud, per quella che verrà in seguito chiamata “teoria della mente”. Si concentrò quindi sulla definizione di “comunicazione”, che egli descrisse inizialmente come “intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa”. La prima parte di questo nuovo corpus di studi, che occupa dal tomo XXX al XXXVI dell’opera complessiva, è quindi segnato da una visione pessimistica, in cui possiamo cogliere i prodromi della distinzione che Schopenhauer effettuerà, pochi anni più tardi, tra dialettica e logica. Ma Lurie, lungi dal voler approfondire questo aspetto, era interessato piuttosto alla ricerca di un nuovo tipo di comunicazione, di cui era sicuro che Natalia fosse la portatrice. Possiamo distinguere in questo filone più “filosofico” del Lurie un progressivo spostamento dell’analisi sull’asse “attivo-passivo”. Se i primi approcci dell’esimio si concentravano sulla comunicazione attiva (e quindi per forza “impositiva”), gradualmente si spostarono verso una concezione “comunitaria”. In quest’ottica, l’originale significato etimologico della parola “comunicazione” è ritrovato dal dottor Lurie in “messa in comune”, spostando quindi l’accento sulla condivisione. Riportiamo uno stralcio chiarificatore dei suoi appunti, limitandoci a notare come, con il procedere degli studi, negli scritti del Lurie il nome della giovane Natalia venga menzionato sempre più raramente.

"Quanta violenza presuppone ogni atto comunicativo! Quanto egoismo, quanta arroganza! Se solo si riuscisse a far sì che la comunicazione sia veramente un gesto di condivisione! Ma non è possibile […]. Una conversazione non sarà mai condivisione, e la ragione risiede nel suo carattere frammentato, e in ultima analisi, nella sua natura puntuale. Si parla uno alla volta, secondo schemi precostituiti e macchinosi, che non si discostano poi tanto dalla partita di carte. Ognuno aspetta il suo turno, e alla fine si perverrà sempre, in modo più o meno esplicito, ad un vincitore."
Tomo XXXV, cap. 13

Il dottor Lurie ambiva quindi a qualcosa che fosse continuo, nella lucida consapevolezza che ogni azione, ogni gesto, è spezzettato, ha una fine.
Gli ultimi due tomi dell’opera dell’esimio vedono un ulteriore cambiamento di prospettiva, arrivando alle estreme conseguenze di quell’asse “attivo-passivo” di cui si accennava. In queste pagine, si avverte nel Lurie la ferma convinzione della necessità di una rivalutazione totale dell’atto comunicativo. Secondo questa nuova, radicale angolazione, la comunicazione deve essere innanzitutto “ricevente”. Alcuni studiosi hanno a ragione visto in questa prospettiva (anche se Lurie stesso preferiva chiamarla “non-prospettiva”) il germe che porterà, centocinquanta anni dopo, alla nascita del postmodernismo e del pensiero decostruttivista di Derrida.

"C’è un solo modo per rifuggire dai soprusi impliciti della comunicazione, ed è la non-comunicazione, l’inazione. Ma come distinguere le due cose? Come esprimere la propria scelta di non agire, di non comunicare, lasciando allo stesso tempo intravedere il gesto rivoluzionario che ciò comporta? Perché azione e inazione non possono coincidere, essendo contrari. Dire non dicendo e esprimersi non esprimendosi. Che Natalia sia arrivata alla quadratura del cerchio, là dove gli opposti si incontrano dando luogo a nuovi significati? Che abbia ragione lei?"
Tomo XXXIX, cap. 8

Siamo qui arrivati al grado massimo di astrazione raggiunto dagli studi del dottor Lurie. Ciò che era nato come puro interesse medico divenne, con il passare degli anni, una vera e propria autoanalisi. Lo stile dei suoi appunti si fece sempre più oscuro, e la grafia a ogni pagina più inintelligibile. Tutti elementi, lo ripetiamo, che servirono ai suoi detrattori per provarne la pazzia, anche attraverso la riproposizione decontestualizzata di stralci dei suoi appunti. Limitandoci a riproporli in ordine cronologico, cerchiamo di dimostrarne piuttosto la genialità, sottolineando l’influenza che i suoi studi hanno esercitato sulle più svariate branche del sapere.

"Scrivere significa escludere. L’oggetto dello scrivere dovrebbe quindi essere il perché dell’esclusione di tutte le possibili storie “altre”. Ma è una spiegazione impossibile: spiegare è comunque raccontare. Bisognerebbe quindi prima raccontare e poi spiegare, a margine, il perché della scelta, o meglio, della non-scelta. Ma in questo modo si finisce, come al solito, per mettere queste storie “altre” in secondo piano. E’ un gatto che si morde la coda. Non scrivere? Ma anche lì è un prendere posizione. Vivere vuol dire prendere posizione?"
Tomo XLII, cap. 4

Sono queste le ultime parole vergate dall’esimio, datate 25 marzo 1836. Lurie poi scomparirà, portandosi con sé la giovane Natalia. I suo detrattori lo hanno presto dimenticato, come si fa coi pazzi e le persone scomode. Nella loro ottusità, hanno sancito il fallimento professionale e umano del dottore. Nessuno sa cosa sia stato di lui. L’unica cosa sicura è che smise di scrivere, lasciando quasi mille pagine intonse a seguire le sue ultime parole: dimostrazione, per i più, dell’incompiutezza degli studi dell’insigne. Ma le pagine vuote che seguono i suo studi ne sono in realtà il loro consapevole compimento, e ci dicono molto più di tutte le altre.

© Stefano Ridolfi





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